Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27678 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27678 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9471/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente e controricorrente incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso l’ordinanza del Tribunale di Firenze n. 802/2022 depositata in data 7/4/2020 e il decreto n. 120/2021 depositato in data 1/3/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/9/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE ammetteva in chirografo il credito di € 5.618.987,86 vantato da RAGIONE_SOCIALE, in qualità di rappresentante di RAGIONE_SOCIALE per
RAGIONE_SOCIALE, per crediti derivanti da due contratti di finanziamento stipulati in data 2 settembre 2013, non riconoscendo, tuttavia, la prelazione ipotecaria e pignoratizia richiesta.
Il Tribunale di Firenze, con ordinanza in data 7 aprile 2020, rigettava la richiesta di sospensione del procedimento ex art. 295 cod. proc. civ. e, con decreto del 1° marzo 2021, una volta ribadita l’inapplicabilità al caso di specie degli artt. 96 l. fall. e 295 cod. proc. civ., accoglieva l’eccezione di revocatoria dell’iscrizione ipotecaria e della costituzione dei pegn i sui marchi, rigettando l’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE
In particolare, una volta ricordato che la curatela aveva convenuto in giudizio la RAGIONE_SOCIALE Monte del Paschi di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. prima della sua insinuazione al passivo al fine di sentir dichiarare la nullità e l’inefficacia degli atti costitutivi delle garanzie reali, rappresentava che l’art. 96 l. fall. contempla la possibilità di ammissione con riserva di crediti la cui esistenza sia già, al momento dell’insinuazione al passivo, oggetto di un procedimento sub iudice nell’ambito del quale sia stata pronunciata una sentenza non ancora passata in giudicato prima della dichiarazione di fallimento, escludendo che la norma possa essere oggetto di un’interpretazione estensiva a ipotesi, come quella in esame, prive dell’attività giurisdizionale minima (la sentenza) che giustifica la riserva o di un’interpretazione analogica, stante la sua natura eccezionale.
Riteneva che fra il giudizio ordinario promosso dalla curatela e quello di opposizione a stato passivo esistesse un rapporto non di pregiudizialità in senso tecnico, intesa quale nesso di dipendenza intercorrente fra rapporti giuridici diversi, bensì di continenza, regolato dall’art. 39 cod. proc. civ..
Osservava che disporre la sospensione del giudizio di opposizione significava affidare al giudice ordinario l’accertamento della sussistenza di un diritto di prelazione meramente strumentale alla successiva collocazione del creditore nella graduazione dei crediti in sede fallimentare, attribuendogli un accertamento riservato dagli artt.
92 e ss l. fall. al tribunale fallimentare attraverso un rito speciale, esclusivo e che non contempla deroghe.
Sottolineava che la necessità di evitare un potenziale conflitto di giudicati andava sopperita, ove non fosse possibile un simultaneus processus , verificando la sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ. e disponendo la sospensione della causa promossa in sede ordinaria.
Sosteneva che i contratti di finanziamento stipulati (da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima poi fusa per incorporazione nella prima) in data 2 settembre 2013 erano stati conclusi in una situazione di tensione finanziaria al fine di consentire alle banche di rimodulare i propri finanziamenti e ottenere la costituzione di un’ipoteca di primo grado sull’unico imm obile di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e un diritto di pegno su una serie di marchi, segregando così, consapevolmente e a tutela delle propri e ragioni, l’intero patrimonio della compagine avente una qualche rilevanza economica in danno di tutti i creditori precedenti.
3. RAGIONE_SOCIALE, in qualità di società beneficiaria della scissione di RAGIONE_SOCIALE Monte del Paschi di RAGIONE_SOCIALE, nel cui compendio scisso sono stati ricompresi gli elementi dell’attivo e del passivo rinvenienti a RAGIONE_SOCIALE Monte del Pas chi di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. dalla propedeutica scissione infragruppo di RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per la cassazione di questa decisione, prospettando due motivi di doglianza, a cui ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE, il quale, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale condizionato all’ eventuale accoglimento dell’impugnazione, affidato a due motivi.
A seguito della proposta di definizione del giudizio, formulata da questa Corte ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. e ritualmente comunicata, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso.
Ambedue le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso risulta infondato per tutte le ragioni già illustrate all’interno della proposta di definizione anticipata del 15 marzo 2025, che il collegio condivide pienamente e fa proprie.
In particolare, tale proposta ha già opportunamente osservato che « il primo motivo assume la violazione degli artt. 39 e 295 c.p.c. e dell’art. 96 l.f., in quanto era pendente una causa preventivamente instaurata dalla curatela in sede ordinaria di cognizione per ottenere la declaratoria di nullità e inefficacia dei contratti di finanziamento e degli atti costitutivi delle garanzie reali -causa da considerare in rapporto di pregiudizialità-dipendenza (anziché di continenza) e tale da legittimare alternativ amente l’ammissione con riserva (artt. 96, comma 2, n. 1 e 3, l.f.) o, appunto, la sospensione necessaria del giudizio di opposizione al passivo. Il motivo non ha fondamento. Il rapporto intercorrente tra i giudizi va individuato in base alla constatazione che nella causa preventivamente adita vi era stata (per quanto risulta) la formulazione di petita incentrati sui medesimi fatti ai quali, poi, nella sede dell’opposizione al passivo, la curatela ha ancorato l’eccezione sollevata in via breve. Una tale sit uazione è definibile secondo il concetto di continenza. La continenza ricorre quando due cause pendenti contemporaneamente davanti a due giudici diversi siano caratterizzate da identità di soggetti e titolo e da una differenza soltanto quantitativa dell’oggetto, ovvero quando una di esse investa un rapporto giuridico che contiene in senso logico e giuridico quello dedotto nell’altra, condizionandolo nell’essere e negli effetti (come nel caso di parziale coincidenza di “causa petendi”); e anche quando la situazione sia caratterizzata dalla pendenza di cause in cui le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta, e da risolvere con efficacia di giudicato, costituiscano il necessario presupposto per la definizione del giudizio successivo, nel senso che tra le due cause sussiste un nesso di pregiudizialità logico-giuridica,
come nel caso in cui le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni (per tutte Cass. Sez. 3 n. 21102-05, Cass. Sez. 2 n. 11888-23). In tal caso non si pone alcun problema di sospensione (art. 295 c.p.c.), ma unicamente di riassunzione del giudizio dinanzi al giudice preventivamente adito, ove competente anche per la causa proposta successivamente. Sennonché nel caso concreto non si discute di competenza ma dell’inderogabilità del rito di accertamento del passivo. E ciò va detto a parziale correzione di quanto si legge nel provvedimento impugnato, che in modo inesatto ha fatto riferimento all’art. 24 l.f. Tale norma non viene in q uestione affatto, trattandosi appunto di norma sulla competenza, non sul rito. Viceversa, viene in questione il principio del concorso formale, che rende del tutto evanescente la questione prospettata. Il nesso di continenza comunque non consentirebbe, nel l’ambito concorsuale, di aver riguardo alla nozione e agli effetti di un giudicato suscettibile di formarsi fuori da quell’ambito. L’art. 52 l.f. impone che, dinanzi al fallimento, ogni credito, anche se munito di prelazione, sia accertato secondo le norme degli art. 93 e seg. stessa legge. Ove anche sia stata proposta una domanda di nullità o di revocatoria in via ordinaria prima della dichiarazione di fallimento, e il relativo giudizio sia ancora pendente, le azioni dei creditori dirette a ottenere la soddisfazione dei propri crediti nel fallimento devono tutte convergere nel procedimento di verificazione e successivo giudizio sulle opposizioni. E ivi convergono anche le questioni impeditive. Pertanto, la circostanza che in sede concorsuale sia stata propo sta un’eccezione di nullità o un’eccezione revocatoria basata sugli stessi argomenti posti al fondo della corrispondente azione esercitata preventivamente in sede ordinaria niente toglie al fatto che la domanda di accertamento del credito va scrutinata nel l’unica sede rilevante, anche in relazione ai fatti impeditivi prospettati, come suol dirsi, in via breve (v. Cass. Sez. 6-1 n. 13086-18). Dunque, la sorte
dell’opposizione al passivo non dipende dall’esito del giudizio ordinario e, d’altro canto, l’inderogabilità del procedimento di verifica dei crediti quale unico strumento finalizzato a far valere il diritto al concorso fa sì che il giudizio di opposizione non possa che proseguire nella sede propria. Il nesso tra l’oggetto dei giudizi, per quanto suscettibile di essere considerato secondo la nozione di continenza (in relazione a ciò che risulta prospettato, da un lato, in via di azione e, dall’altro, in via di eccezione), non sortisce l’effetto dell’art. 39 c.p.c., perché ai fini specifici del diritto al concorso l’esclusività d’ambito del giudice della verifica assorbe ogni questione, compresa quella della competenza del giudice preventivamente adito. E qualora non si possa giungere al risultato della translatio per ragioni di inderogabilità del rito (più ancora che della competenza: v. Cass. Sez. 1 n. 1185007) la possibilità di far leva sull’art. art. 295 c.p.c. onde evitare possibili contrasti di giudicato implica semmai, e al contrario, che la sospensione abbia a riguardare la causa promossa nella sede ordinaria (v. per riferimenti Cass. Sez. U n. 21499-04, Cass. Sez. U n. 23077-04). Donde in simile condizione non possiede alcun fondamento neppure il rich iamo della ricorrente all’istituto dell’ammissione con riserva. Il secondo motivo assume la falsa applicazione degli artt. 66 l.f. e 2901 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alle molteplici prove precostituite fornite dalle parti col fine di dimostrare l’insussistenza dei presupposti della revocatoria. Il motivo è inammissibile. Il tribunale ha ben spiegato le ragioni dell’accoglimento dell’eccezione di revocatoria delle garanzie. In tal senso ha fatto riferimento alle risultanze evinte dalle prove documentali puntualmente enumerate. Il motivo assume falsamente applicate le norme sulla revocatoria ordinaria in ragione dell’omesso esame di altri documenti. Ma vi è che l’art. 360 n. 5 c.p.c. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico relativo al solo omesso esame di ‘fatti storici’ la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo (vale a dire che, se esaminati,
avrebbero determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue non solo che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare in tal caso il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, ma anche e soprattutto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra mai, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il ‘fatto storico’, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. n. 8053-14). In verità il ricorso, sotto denuncia di un vizio di omesso esame di documenti e di conseguente falsa applicazione delle norme sostanziale evocate, mira a ottenere una rivalutazione del giudizio di fatto, che il giudice del merito ha svolto in base all’esame delle prove documentali acquisite, secondo il compito istituzionalmente a lui riservato dall’art. 116 c.p.c. Non sfugge che tutti i profili sui quali la ricorrente insiste sono state infatti vagliati dal giudice del merito all’interno di un ragionamento complessivo, del quale la ricorrente pretende la rivisitazione critica in netto contrasto coi noti limiti del giudizio di legittimità. Il ricorso incidentale resta assorbito ».
5. In virtù delle ragioni sopra illustrate, che non necessitano di alcuna ulteriore chiosa o aggiunta, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. qui adottata, risultante pienamente conforme alla proposta formulata ai sensi del primo comma dell’art. cod. proc. civ., deve trovare applicazione la conseguenza sanzionatoria prevista dall’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., come
Per effetto della decisione 380bis richiamata dall’ultimo comma del medesimo art. 380 -bis .
Le Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass 27433/2023 e Cass. 28540/2023) hanno, infatti, stabilito il principio per cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili,
improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. 149/2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 25.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Condanna, altresì, la ricorrente al pagamento, a favore della controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., della somma equitativamente determinata nella misura di € 25.000 nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende e in applicazione dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., della somma di € 2.500.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 24 settembre 2025.
Il Presidente