Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9261 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9261 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23845/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata all’indirizzo Pec dei difensori, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata all’indirizzo Pec dei difensori, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME unitamente all’avvocato NOME COGNOME
–
contro
ricorrente – nonchè contro NOME COGNOME NOME COGNOME
–
intimate –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 1374/2023 depositata il 14/09/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 16 dicembre 2011, alle ore 6,40, NOME COGNOME percorreva, a bordo della propria autovettura Fiat Panda, la INDIRIZZO nel Comune di Albino con direzione Clusone, quando veniva urtata dall’autovettura Fiat Punto, di proprietà di NOME COGNOME, condotta dalla signora NOME COGNOME e assicurata con UnipolSai Assicurazioni s.p.a., che fuoriusciva da INDIRIZZO posta sulla destra rispetto alla direzione di marcia di NOME COGNOME, e svoltava a sinistra senza rispettare il segnale di stop.
NOME COGNOME evocava allora in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME e la compagnia assicurativa, per chiederne la condanna in solido al risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non, subiti in conseguenza del sinistro.
Si costituiva resistendo RAGIONE_SOCIALE contestando la fondatezza della domanda attorea, sia sotto il profilo dell’ an che del quantum debeatur , e chiedendone il rigetto.
Con sentenza n. 1796/2020 del 15 dicembre 2020 il Tribunale di Bergamo, sul rilievo per cui l’attrice danneggiata aveva superato il prescritto limite di velocità e che, se fosse andata più piano, il sinistro si sarebbe verificato ugualmente ma con conseguenze meno gravi, ne accertava il concorso di colpa in misura del 20%; sotto il profilo del quantum risarcitorio, oltre ad applicare la riduzione ex art. 1227, comma 1, cod. civ. il tribunale escludeva sia il riconoscimento della personalizzazione del danno, sia la lesione alla capacità lavorativa specifica, per carenza di riscontri probatori.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva appello, insistendo per l’accoglimento integrale di tutte le voci di danno richieste e con esclusione di qualsivoglia suo concorso di colpa; si costituiva, resistendo al gravame, UnipolSai Assicurazioni s.p.a., mentre rimanevano contumaci le appellate NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con sentenza n. 1374/2023, la Corte d’Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo e si limitava a riformarla sotto il profilo del regolamento delle spese della c.t.u. cinematica, di quella medico-legale e della consulenza tecnica di parte, ponendole integralmente a carico solidale delle parti appellate. Per il resto, la corte bresciana, sul rilievo della ‘soccombenza complessiva sostanziale’ dell’appellante Carrara, la condannava alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste Unipolsai Assicurazioni con controricorso.
Le altre parti restano intimate.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La ricorrente e la compagnia assicurativa resistente hanno depositato rispettive memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma I, n. 5, c.p.c.’.
Censura l’impugnata sentenza là dove le ha addebitato una percentuale di concorso di colpa nella causazione del sinistro, per eccesso di velocità.
Lamenta che la corte territoriale ha omesso di considerare
che ‘lo stesso consulente tecnico d’ufficio ha affermato che non avrebbe comunque potuto evitare lo scontro nemmeno se avesse condotto l’autovettura alla velocità consentita di 50 km/h; per evitare l’impatto, infatti, avrebbe dovuto percorrere la strada ad una velocità di 40 km/h, precisando che tale condotta non era esigibile. Conseguentemente, il Giudice d’appello, dall’esame della Ctu esperita nel corso del giudizio di primo grado afferente alla condotta tenuta dalla signora COGNOME, avrebbe dovuto accertare e dichiarare che il superamento del limite di velocità da parte della ricorrente non configura – di per sé – un concorso di colpa della stessa che, ai sensi dell’art. 1227, co. 1 c.c., può legittimamente determinare una riduzione del risarcimento spettantele, in quanto la sua condotta non ha determinato il sinistro e tanto meno in giudizio è stato dimostrato che tale condotta abbia aggravato le conseguenze dannose del sinistro’ (p. 21 del ricorso).
Lamenta che la corte territoriale, trascurando le risultanze peritali, ha omesso di considerare il fatto, decisivo, per cui ‘nemmeno se la signora COGNOME avesse condotto l’autovettura entro i limiti consentiti avrebbe potuto evitare l’impatto, tenuto conto che non poteva essere esigibile tenere una velocità di 40 Km/h’ (v. p. 21 cit.).
1.1. Il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile, perché viene dedotto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. nonostante la presenza di cd. doppia conforme, e dunque in manifesta violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. ora art. 360, comma quarto, cod. proc. civ.
1.2. E’ infondato, perché dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte ha esaminato la consulenza tecnica d’ufficio ed ha espressamente rilevato la circostanza del superamento del limite di velocità da parte della danneggiata, per
cui non è incorsa in alcun omesso esame.
1.3. Osserva, infine, il Collegio che con il motivo in scrutinio la ricorrente perviene sostanzialmente a sostenere che, dato che l’espletata c.t.u. ha rilevato che il sinistro si sarebbe potuto evitare solo se ella avesse condotto il veicolo alla velocità di 40 Km/h, siccome ella aveva invece guidato ad una velocità maggiore, superiore non solo a tale limite ma anche rispetto al prescritto limite di velocità, la considerazione di tale eccesso di velocità non avrebbe potuto condurre i giudici di merito a ravvisare una sua responsabilità concorrente nella causazione del sinistro, giacchè esso si sarebbe ugualmente verificato anche ella se avesse rispettato il limite di velocità di 50/h.
L’infondatezza di siffatto ragionamento è manifesta.
Va anzitutto premesso che per costante orientamento di questa Suprema Corte l’accertamento del concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione di un danno, così come la determinazione del grado di efficienza causale di ciascuna colpa, in quanto involgono accertamenti di fatto, rientrano nel potere di indagine del giudice di merito e, pertanto, sfuggono al sindacato di legittimità, al quale è affidato il controllo delle valutazioni di diritto, ogni qual volta, come per l’appunto nel caso di specie, siano sorretti da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass., 03/09/2019, n. 21991; Cass., 22/03/2011, n. 6529; Cass., 05/07/2007, n. 15231; Cass., 08/04/2003, n. 5511); si è inoltre precisato che è sempre riservata al giudice di merito la specifica valutazione, che va peraltro debitamente motivata, delle ragioni di fatto che avrebbero in concreto giustificato l’adozione, da parte del conducente che pure stesse già rispettando il limite di velocità, di una ulteriore riduzione della velocità tenuta, di una condotta ulteriormente prudenziale in relazione alle caratteristiche del luogo teatro del sinistro (Cass., 28/03/2022, n. 9857).
Tanto premesso, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che con motivazione non solo graficamente esistente, ma anche scevra da vizi logico-giuridici, la corte territoriale ha condiviso e confermato l’affermazione del concorso di colpa resa dal giudice di prime cure dopo aver accertato la colpa della COGNOME nella causazione del sinistro e dopo aver anche indagato la correttezza della condotta di guida della danneggiata Carrara, ed in tal modo si è pronunciata conformemente sia ai suindicati principi sia all’ulteriore consolidato insegnamento di legittimità per cui ‘In tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054, comma 2, c.c., ma è tenuto a verificare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta’ (v. Cass., 19/12/2024, n. 33483; Cass., 04/04/2019, n. 9353).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ossia degli artt. 2054, comma II, e 1227 c.c.’.
La ricorrente censura l’impugnata sentenza là dove ha ravvisato ‘di per sé’ un concorso di colpa di essa conducente Carrara e, nuovamente, lamenta che nessun concorso di colpa poteva essere ravvisato, giacché l’evento dannoso si sarebbe ugualmente verificato anche se ella avesse rispettato il limite di velocità di 50 Km/h.
2.1. Il secondo motivo è inammissibile.
In primo luogo, è inammissibile per difetto di specificità e decisività.
Non si comprende infatti quale sia la violazione o falsa applicazione di norma di diritto, solo assertivamente invocata.
La ricorrente non si perita di illustrare le ragioni per le quali accertata l’imprudente condotta di guida dell’attrice – la corte
d’appello non avrebbe dovuto confermare il concorso di colpa già rilevato in prime dure.
Per il resto, come già rilevato nello scrutinio del primo motivo, il presente motivo è inammissibile nella misura in cui, per un verso, sollecita un riesame della ricostruzione del sinistro e della valutazione del concorso di colpa, che sono accertamenti di fatto che, se debitamente motivati, sono riservati al giudice di merito e, per altro verso, trascura che l’impugnata sentenza ha motivato conformemente al già citato orientamento di legittimità secondo cui in caso di scontro tra veicoli il giudice di merito ha l’onere di accertare in concreto se tutti i conducenti coinvolti abbiano o meno tenuto una condotta di guida corretta.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 138, terzo comma, D.L.vo n. 209/2005 e art. 115 c.p.c.’.
Lamenta che l’impugnata sentenza ha errato nel non riconoscere né la personalizzazione del danno né il danno da perdita della capacità lavorativa specifica.
La corte d’appello avrebbe trascurato di valutare le risultanze probatorie, obiettivamente emerse nel dibattito processuale, e di accertare che le stesse avevano ‘dimostrato il superamento delle conseguenze “comuni” del danno’ (p. 27 del ricorso); in particolare, la corte di merito non avrebbe considerato né la lettera con cui essa esponente era stata licenziata, né l’accertamento dell’INAIL della ricorrenza di una grave menomazione riconducibile al sinistro de quo, né quanto ulteriormente riferito sotto tali profili dai testi escussi in primo grado.
3.1. Il motivo è infondato, in entrambe le censure che lo compongono.
La ricorrente trascura di considerare che, in relazione alla domanda di personalizzazione del danno, la corte territoriale ha
rilevato che la danneggiata, odierna ricorrente, si era limitata a allegare, genericamente, di soffrire, a far data dell’incidente, di stati d’ansia, attacchi di panico e insonnia, motivando tale valutazione in fatto sulla premessa in diritto che il riconoscimento di ulteriori somme a titolo di personalizzazione, ai sensi dell’art. 138, terzo comma, del D.Lgs. n. 209 del 2005, soggiace ad un accertamento obiettivo e documentato della particolare incidenza che la menomazione ha avuto su specifici aspetti dinamico relazionali personali.
Così argomentando, la corte territoriale ha fatto puntuale applicazione del costante orientamento di legittimità secondo cui -posto che l’esigenza di una tendenziale uniformità della valutazione di base di una lesione non può d’altro canto tradursi in una preventiva tariffazione della persona, rilevando aspetti personalistici che rendono necessariamente individuale e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 31/5/2003, n. 8828; Cass., 25/06/2021, n. 18285), la misura “standard” del risarcimento del danno prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari, che siano state tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento (v. da ultimo Cass., 09/12/2024, n. 31681).
In difetto di idonea allegazione della parte danneggiata, il giudice non può far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, le specifiche circostanze di fatto, peculiari
al caso in esame, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno assicurata dalle previsioni delle tabelle, che siano di legge o di formazione pretoria: questo è il principio di diritto, che va qui ribadito, in forza del quale la corte bresciana ha correttamente escluso il riconoscimento di qualsivoglia personalizzazione del danno risarcibile.
3.2. Nel lamentare, poi, la mancata valorizzazione della circostanza del suo avvenuto licenziamento, la ricorrente trascura di censurare la diversa ratio su cui si fonda l’impugnata sentenza, che nel confermare il rigetto, già del giudice di prime cure, del risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, ha rilevato che l’espletata c.t.u . medico legale aveva espressamente escluso che le lesioni riportate dalla danneggiata nel sinistro potessero incidere sulla capacità lavorativa di operaia addetta alle pulizie.
Le censure della ricorrente non attingono per nulla tale passaggio motivazionale e dunque su tale ratio decidendi , non impugnata, la motivazione dell’impugnata sentenza si consolida (v. Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, in motivazione; Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 27/07/2017, n. 18641), dovendosi ritenere solo svolta ad abundantiam l’ulteriore argomentazione della corte -resa sempre nel confermare quanto già statuito in prime cure circa l’irrilevanza probatoria della lettera di licenziamento e dei capi di prova relativi alla impossibilità per la Carrara di trovare una nuova occupazione.
Infine, priva di pregio è l’invocata violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., posto che, per costante orientamento di legittimità, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della
violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e, dunque, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (v. Cass., 12 ottobre 2017, n. 23940), censura, quest’ultima, tuttavia non proponibile nel caso di specie, stante il divieto di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ. ora art. 360, comma quarto, cod. proc. civ., in presenza della c.d. doppia conforme.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed, in particolare, dell’art. 112 c.p.c.’.
La ricorrente censura l’impugnata sentenza in relazione al regolamento delle spese di lite e per le seguenti ragioni: in primo luogo, perché l’ha condannata alle spese di gravame, nonostante un suo motivo d’appello sia stato accolto; in secondo luogo, perché l’ha anche condannata alla rifusione delle spese di primo grado, in assenza di una specifica impugnazione sul punto da parte di UnipolSai Assicurazioni s.p.a.
4.1. Il motivo è infondato.
Premesso che la disciplina sulla condanna alle spese processuali è contenuta nell’art. 91 cod. proc. civ., consolidato orientamento di questa Suprema Corte afferma che il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale
(Cass., 10 novembre 2022, n. 33206; Cass., 23 febbraio 2022, n. 5890; Cass., 3 settembre 2021, n. 23877).
Orbene, lungi dal violare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., affatto attinente al caso di specie, la corte d’appello ha applicato il suddetto principio e, poiché ha parzialmente riformato la sentenza impugnata, ha proceduto d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere ha attribuito alla allora appellante, odierna ricorrente, sul motivato rilievo, in relazione all’esito complessivo della lite, della sua ‘soccombenza complessiva sostanziale’ (così p. 12 dell’impugnata sentenza).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 14 gennaio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME