Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4975 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 4975 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
Oggetto: concorrenza
sleale
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4390/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente principale, intimato in via incidentale contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso il loro studio, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente, ricorrente in via incidentale –
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
NOME, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente, intimato in via incidentale – avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1228/2020, depositata il 2 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del l’11 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale condizionato;
uditi gli AVV_NOTAIO, per delega dell’AVV_NOTAIO, per la ricorrente, NOME COGNOME, per la RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME, per NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 2 luglio 2020, che, in accoglimento dei riuniti appelli della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME, ha respinto la sua domanda di condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni per concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, cod. civ.
D all’esame della sentenza si evince che a sostegno della domanda la odierna ricorrente (all’epoca , RAGIONE_SOCIALE) aveva allegato che, quale concessionaria per l’attività di raccolta delle scommesse sportive, gestiva, sin dal 29 gennaio 2000, un punto di raccolta scommesse situato nel comune di Montemurlo e che, a far data dal 19 giugno 2000, NOME COGNOME, quale franchisee della RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE), aveva iniziato ad esercitare analoga attività , all’interno del medesimo comune, benché privo dei necessari titoli abilitativi.
La Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure aveva accolto la domanda dell’attrice condannando NOME COGNOME, in solido con
la RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento dei danni, quantificati in euro 60.000,00.
Ha, quindi, accolto gli appelli interposti evidenziando che la normativa nazionale in tema di licenze e concessioni doveva disapplicarsi, nel rispetto dei principi espressi dagli artt. 43 e 49 Trattato CEE, in quanto la RAGIONE_SOCIALE era stata illegittimamente esclusa dalla gara che aveva condotto all’attribuzione , nel 1999, delle concessioni per la commercializzazione di scommesse su competizioni sportive.
Il ricorso è affidato a un motivo.
Resistono con distinti controricorsi sia la RAGIONE_SOCIALE, la quale propone ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi, sia NOME COGNOME.
Ciascuna delle parti deposita memorie ai sensi dell’art. 370 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
a) Il ricorso principale
C on l’unico motivo del suo ricorso la ricorrente principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2598, n. 3, cod. civ., 49 e 56 T.F.U.E., 1, comma 287, l. 30 dicembre 2004, n. 311, d.m. 1° marzo 2006, n. 111, e 88 t.u.l.p.s., per aver la sentenza impugnata escluso la responsabilità degli originari convenuti sul fondamento della insussistenza di un loro obbligo di munirsi della concessione statale e della licenza ai sensi del predetto art. 88 t.u.l.p.s. al fine di esercitare l’attività di raccolta delle scommesse.
Contesta, in particolare, la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto che la disciplina nazionale di settore, che subordinava lo svolgimento dell’attività al conseguimento di siffatti titoli abilitativi, fosse incompatibile con il diritto dell’Unione europea e, in quanto tale, dovesse disapplicarsi.
Il motivo è fondato.
La decisione impugnata, dopo aver dato atto che la RAGIONE_SOCIALE esercitava, per il tramite di NOME COGNOME, un’attività organizzata di raccolte di scommesse pur essendo priva della relativa concessione e che, conseguentemente, anche l’attività di quest’ultimo non era assistita da ta le concessione, oltre che dalla licenza di pubblica sicurezza, ha rilevato che la società inglese era stata esclusa dalla gara espletata nel 1999 per l’assegnazione delle concessioni per l’esercizio dell e scommesse su competizioni sportive, poiché, quale operatore avente la veste di società di capitali quotata nei mercati regolamentati, non poteva (all’epoca) ottenere una concessione per i giochi d’azzardo .
Ha, dunque, affermato che tale esclusione fosse illegittima per contrasto con la normativa comunitaria e che, per tale ragione, la disciplina nazionale dovesse disapplicarsi.
Ha, quindi, ritenuto che la contestata condotta posta in essere da NOME COGNOME non potesse essere valutata non conforme ai principi della correttezza professionale, ai fini del l’ illecito per concorrenza sleale prospettato dal 19 giugno 2000 (data di inizio dell’attività del COGNOME) sino al 1° gennaio 2004, data di cessazione dell’attività della ricorrente principale).
Orbene, va osservato che , ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496, l’organizzazione e l’esercizio di giochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in denaro, sono riservati allo Stato.
La riserva statale sull’organizzazione dei giochi trova il suo fondamento nell’esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica, di contrastare il crimine organizzato, di proteggere la pubblica fede contro il rischio di frodi e di salvaguardare i minori di età e i soggetti più deboli da una diffusione del gioco incontrollata, indiscriminata e senza regole.
Anche la giurisprudenza costituzionale in materia di giochi è
costante nell’affermare che rientra nella competenza esclusiva statale non soltanto la disciplina dei giochi d’azzardo, ma, inevitabilmente, anche quella relativa ai giochi che non sono ritenuti giochi d’azzardo (come quelli di cui al comma 6 dell’art. 110 t.u.l.p.s.), considerati i caratteri comuni dei giochi -aleatorietà e possibilità di vincite in denaro -cui si riconnettono un disvalore sociale, la conseguente forte capacità di attrazione e concentrazione di utenti e la probabilità altrettanto elevata di usi illegali degli apparecchi impiegati per lo svolgimento degli stessi anche nel caso dei giochi leciti (cfr. Corte Cost. sentenze 11 maggio 2017, n. 108, 26 febbraio 2010, n. 72, e 26 giugno 2006, n. 237).
La gestione dei giochi e delle scommesse è effettuata direttamente dallo Stato o, a seguito di apposita concessione, per mezzo di persone fisiche o giuridiche che diano adeguata garanzia di idoneità (cfr. artt. 2 del richiamato decreto legislativo n. 496 del 1948 e 3, comma 73, l. 23 febbraio 1996, n. 662). Tale modello trova applicazione anche alla gestione del gioco in via telematica, riservata allo Stato, che la esercita per mezzo di un’apposita rete, di proprietà dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e affidata in concessione a soggetti terzi, i quali sono tenuti ad assicurare la corretta ed efficace gestione telematica degli apparecchi, nonché del gioco lecito effettuato anche mediante videoterminali di gioco e sono titolari dell’autorizzazione amministrativa (c.d. nulla osta) per l’installaz ione e la messa in esercizio degli apparecchi.
I concessionari possono effettuare la raccolta delle giocate avvalendosi di una propria organizzazione o di terzi, nella persona degli esercenti, ossia di coloro che detengono i locali in cui le macchine sono installate e nei quali vengono materialmente effettuate le giocate, ovvero dei gestori, ossia, dei possessori degli apparecchi, cui è affidata, tra le altre attività, quella di raccolta delle giocate.
E’ stato evidenziato che i terzi incaricati della raccolta delle
giocate, benché non partecipino direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolgono, comunque, un’attività di natura imprenditoriale, assicurando la disponibilità di locali idonei e la ricezione delle proposte, trasmettendo al bookmaker l’accettazione della scommessa, l’incasso e il trasferimento delle somme giocate, nonché il pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker medesimo (cfr. Cass. 30 marzo 2021, n. 8757).
L ‘ ordinamento prevede, poi, che ai fini dell’esercizio del gioco e delle scommesse il concessionario e i soggetti da questi incaricati si muniscano della relativa licenza di polizia (art. 88 t.u.l.p.s.) e sanziona penalmente l’esercizio abusivo delle stesse (art. 4, l. 13 dicembre 1989, n. 401).
L ‘imposizione alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo del l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e la limitazione del rilascio di una siffatta autorizzazione ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione non si pone in contrasto con gli artt. 49 e 56 T.F.U.E., atteso che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’ azzardo è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa, sempre che tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (cfr. Corte Giust. UE 19 dicembre 2018, causa C-375/17, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ; Corte Giust. UE 12 settembre 2013, cause C-660/12 e C-8/12, COGNOME ).
Un sistema di concessioni può, infatti, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti, spettando al giudice nazionale verificare se tale sistema, nella parte in cui limita il numero di soggetti che
operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti e se le relative restrizioni risultino proporzionali.
La condizione rappresentata dalla titolarità dell’autorizzazione di polizia contribuisce chiaramente all’obiettivo mirante a evitare che tali operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente e si presenta quale misura del tutto proporzionata a tale obiettivo.
Sotto altro profilo, può aggiungersi che considerato l’ampio margine discrezionale degli Stati membri riguardo agli obiettivi che essi intendono perseguire ed al livello di tutela dei consumatori da essi ricercato e vista l’assenza di un’armonizzazione in materia di giochi d’azzardo, allo stato attuale del diritto dell’Unione non esiste alcun obbligo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate dai vari Stati membri, per cui la circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione che gli con sente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un altro Stato membro subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio (cfr. Corte Giust. UE 15 settembre 2011, causa C-347/09, COGNOME e COGNOME ; Corte Giust. UE 8 settembre 2010, causa C-316-358-360-409-410/07, COGNOME e a. ).
Deve, tuttavia, osservarsi che, in merito alla disciplina nazionale, applicabile ratione temporis , che non consentiva alle società di capitali, i cui singoli azionisti non erano identificabili in ogni momento, e quindi della totalità delle società quotate nei mercati regolamentati, la partecipazione alle gare per l’attribuzione delle concessioni disposta con bando del 1999 (art. 2, sesto comma, d. Ministero delle Finanze 2 giugno 1998, n. 174), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che una siffatta disciplina costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei
servizi non giustificata da motivi imperativi di interesse AVV_NOTAIO, in particolare, dall’obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo siano implicati in attività criminali o fraudolente (cfr. Corte Giust. UE 6 marzo 2007, causa C-338-359360/04, RAGIONE_SOCIALE ).
In tale decisione ha osservato che «tale esclusione totale va oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo siano implicati in attività criminali o fraudolente. Infatti … esistono altri strumenti di controllo dei bilanci e delle attività degli operatori nel settore dei giochi di azzardo che limitano in modo minore la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, come quello consistente nel raccogliere informazioni sui loro rappresentanti o sui loro principali azionisti».
Ha aggiunto che «la mancanza di autorizzazione di polizia, di conseguenza e in ogni caso, non potrà essere addebitata a soggetti quali gli imputati nelle cause principali che non avrebbero potuto ottenere tali autorizzazioni per il fatto che la concessione di tale autorizz azione presuppone l’attribuzione di una concessione di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto comunitario».
Ha, quindi, concluso che in una situazione di esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia da parte di operatori impossibilitati a ottenere tali titoli a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, non era consentita l’applicazione delle sanzioni penali per l’esercizio abusivo di una siffatta attività ostandovi gli artt. 43 e 49 CEE.
Analoga contrarietà a tali principi, oltre che ai principi di parità di trattamento e di effettività, è stata espressa anche con riferimento alla successiva disciplina con cui lo Stato italiano ha inteso rimediare alla precedente violazione mettendo a concorso un numero rilevante di
nuove concessioni, nella parte in cui proteggeva le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti (cfr. Corte Giust. UE 16 febbraio 2012, cause C-72-77/10, COGNOME e COGNOME ).
Sostiene la ricorrente principale che alla non antigiuridicità penale della descritta condotta non segue la liceità della stessa sotto il profilo civilistico e, in particolare, la neutralità della stessa al fine della valutazione della sussistenza degli elementi della invocata fattispecie di responsabilità per concorrenza sleale in relazione all ‘utilizzo di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale idonei a danneggiare l’azienda altrui.
Afferma, inoltre, che la condotta contestata sarebbe vietata anche per violazione del divieto di intermediazione nella raccolta delle scommesse sancito da ll’art. 2, quinto comma, d.m. n. 111 del 2006.
Il Pubblico ministero concorda con la tesi della ricorrente principale, sia pure ponendo a fondamento un ragionamento giuridico non del tutto sovrapponibile.
Questo Collegio ritiene persuasiva l’ argomentazione della ricorrente principale in ordine al fatto che la disapplicazione della norma penale interna non può comportare, di per sé, l ‘ irrilevanza, ai fini che qui interessano, delle condotte dei gestori dei centri di trasmissione dati che operano quali punti di commercializzazione distribuiti sul territorio privi dei provvedimenti concessori e autorizzatori.
Infatti, l’ esclusione della natura illecita dell’attività di gestione delle scommesse senza la prescritta concessione e l’ autorizzazione di pubblica sicurezza va circoscritta, in coerenza con i principi affermati dalle richiamate decisioni della Corte di Giustizia, alle sole condotte in cui l’assenza di tali titoli sia riconducibile al rifiuto dello Stato italiano di concedere tali titoli abilitativi in ragione dell’applicazione delle
prescrizioni normative discriminatorie e lesive delle libertà riconosciute dal Trattato.
In tal senso, è il consolidato orientamento di questa Corte la quale, sia pure in ambito penale, esclude la illeceità penale della raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero solo qualora il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza sia stato negato «per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE» e non già per altre ragioni (cfr. Cass. 2 marzo 2023, COGNOME; Cass. 3 dicembre 2020, COGNOME; Cass. 9 gennaio 2016, COGNOME).
Anche la giurisprudenza amministrativa, richiamando tale orientamento, ha espresso il principio secondo il quale la «sorta di sanatoria per i soggetti che lo Stato italiano aveva illegittimamente escluso dalle gare … non è estensibile al di fuori da questo caso particolare», ossia dal caso in cui il mancato possesso dei titoli abilitativi fosse riconducibile al rigetto delle relative domande motivato con l’applicazione delle disposizioni nazionali che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto incompatibili con gli artt. 43 e 49 Trattato CEE (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 20 giugno 2023, n. 6042; Cons. Stato, sez. VII, 9 marzo 2022, n. 1685).
Non può, invece, essere esaminato l’ulteriore profilo di contrarietà alla normativa nazionale rappresentato dalla violazione del divieto di intermediazione nella raccolta delle scommesse sancito dall’art. 2, quinto comma, d.m. n. 111 del 2006 , trattandosi di questione che non risulta essere stato ritualmente introdotta nel corso del giudizio di merito.
La Corte di appello si è limitata a far discendere dalla illegittima esclusione della RAGIONE_SOCIALE alla gara per il
rilascio delle concessioni indetta nel 1999 la liceità della condotta in esame, senza procedere alla necessaria valutazione relativa alle ragioni in base alle quali è stato negato al COGNOME il rilascio dei prescritti titoli abilitativi per l’esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse sportive: il giudice del rinvio dovrà procedere a un siffatto accertamento.
b) Il ricorso incidentale condizionato
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, par. 3, e 6, n. 1, Reg. (CE) n. 44/2001, per aver la Corte di appello disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano.
In esso si osserva che tra le domande proposta nei confronti degli originari convenuti, domiciliati in Stati diversi, non vi era un nesso così stretto che richiedeva la loro trattazione congiunta, avuto anche riguardo alla non configurabilità di decisione alternative, per cui non condivisibile era la statuizione resa sul punto dalla Corte territoriale.
Il motivo è infondato.
Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla sussistenza dei presupposti -ritenuti esistenti dalla Corte territoriale -del criterio di competenza giurisdizionale speciale previsto dall’art. 6, n. 1, Reg. (CE) n. 44/2001, la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria è radicata dall’applicazione dell’ulteriore criterio di competenza giurisdizionale previsto dall’art. 5, n. 3, Reg. (CE) n. 44/2001, in virtù del quale, in materia di illeciti civili dolosi o colposi, la domanda può proporsi anche davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire.
Secondo la prospettazione dell’attore, infatti, l’evento dannoso -consistente nell’illecita sleale concorrenza si è verificato in Italia, in relazione all’attività di gestione delle scommesse realizzata dal COGNOME attraverso la raccolta delle stesse presso il relativo punto di accettazione.
Non è concludente l’argomentazione della ricorrente incidentale secondo cui i contratti di scommesse con la platea degli scommettitori italiani devono considerarsi conclusi in Inghilterra, ove questa era domiciliata, atteso che ciò che assume rilevanza ai fini dell ‘individuazione dell’evento lesivo della contestata condotta illecita non è tanto la conclusione dei contratti, quanto la sottrazione di clientela mediante l’operatività di un punto di raccolta delle scommesse esistente in Italia.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, primo comma, e 4, primo comma, lett. d), d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, 120, quarto comma, e 134, primo comma, cod. prop. ind. e 38, primo comma, cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale disatteso l’eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale di Prato, sollevata in favore di quella del Tribunale di Firenze, sezione specializzata in materia di impresa.
Il motivo è infondato.
Giova rammentare che non sussiste la competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa quando la domanda miri ad accertare una ipotesi di concorrenza sleale cd. pura, nella quale, cioè, la lesione dei diritti riservati non è in tutto o in parte, elemento costitutivo della lesione del diritto alla lealtà concorrenziale che esige la valutazione incidenter tantum delle privative in gioco (cfr. Cass. 27 ottobre 2016, n. 21776; Cass. 4 novembre 2015, n. 22584).
Nel caso in esame non risulta essere dedotto, quale elemento costitutivo dell’illecito denunciato, la lesione di privative per la cui tutela è prevista la competenza della sezione specializzata in materia di imprese, non essendo concludente il riferimento operato dalla ricorrente incidentale al fatto che il COGNOME avrebbe utilizzato la denominazione «RAGIONE_SOCIALE», atteso che tale circostanza non risulta essere stata elevata a elemento costitutivo integrante la fattispecie illecita invocata.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte accoglie ricorso principale e rigetta quello incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata con riferimento al ricorso principale accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale condizionato, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’11 gennaio 2024.