Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11056 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11056 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10335/2023 proposto da
COGNOME; COGNOME NOME COGNOME; COGNOME; COGNOME; RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t.; rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrenti
–
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte d’Ap pello di Venezia, n. 2330/2022, pubblicata in data 2.11.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/03/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 30.12.2019 condannava la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in via tra di loro solidale, al pagamento della somma di euro 908.058,45 oltre rivalutazione e interessi a titolo di risarcimento del danno da concorrenza sleale ex art. 2598 comma 1 e 3 c.c., a favore della RAGIONE_SOCIALEsocietà costituita e partecipata dalla RAGIONE_SOCIALE, concessionario statale dell’Aeroporto ‘Marco Polo’ di Venezia, per la gestione dei parcheggi in area aeroportuale -per illegittimo esercizio, da parte della RAGIONE_SOCIALE, nelle aree di proprietà COGNOME, COGNOME e COGNOME, dell’attività di parcheggio e bus navetta da e per l’aeroporto di Venezia ‘Marco Polo’.
Con sentenza del 2.11.2022, la Corte territoriale rigettava l’appello dei convenuti originari, premettendo che esulava dal perimetro dell’impugnazione la sentenza non definitiva del medesimo Tribunale, n.2153/2016, passata in giudicato che, statuendo sull’ an debeatur , aveva accertato l’illecito anticoncorrenziale in quanto: la Venezia RAGIONE_SOCIALE, utilizzando quale parcheggio vaste porzioni di aree aventi destinazione florovivaistica, aveva violato le norme pubblicistiche, esercitando una attività commerciale in contrasto con la destinazione dei terreni; tale violazione aveva consentito alla predetta società di ottenere un vantaggio anticoncorrenziale a danno dell’avviamento della RAGIONE_SOCIALE; anche i proprietari delle aree, COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano svolto attività illecita.
Premesso ciò, la Corte d’appello osservava che: in relazione al quantum debeatur la causa era stata istruita e decisa dal Tribunale sulla base della documentazione prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE, sottoposta al vaglio tecnico del CTU, al dichiarato fine di ridurre il più possibile il grado di approssimazione che inevitabilmente caratterizza la liquidazione in via equitativa; era infondato il primo motivo con il quale gli appellanti lamentavano l’omessa pronuncia da parte del Tribunale riguardo alla questione concernente l’esatta estensione temporale del petitum a ttoreo, l’arbitraria determinazione dello stesso da parte del CTU, con conseguente violazione dell’art.112 c.p.c.; la RAGIONE_SOCIALE sin dall’atto di citazione aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno per condotta anticoncorrenziale prendendo in considerazione il periodo dal 16 novembre 2008 fino 31 agosto 2012 (periodo che sarebbe stato da riconsiderare nel proseguo della causa ove l’attività fosse perdurata nei mesi successivi, come stava avvenendo), di complessivi 1385 giorni; solo a seguito della comunicazione alle parti convenute, in data 25 agosto 2014, dell’ordinanza che, in accoglimento del reclamo avverso il precedente rigetto cautelare, aveva vietato alla Venezia RAGIONE_SOCIALE ed alle persone fisiche proprietarie delle aree lo svolgimento dell’attività accertata come anticoncorrenziale e condannato la società al pagamento di una penale di euro 1.500,00 per ogni giorno, era stato pertanto possibile procedere alla definitiva determinazione della durata, in conformità di quanto già pr ospettato nell’ atto di citazione; correttamente, pertanto, il CTU, sulla base della definitiva individuazione del periodo in cui si era protratta la condotta illecita, cessata solo a seguito di ordinanza inibitoria, aveva tenuto conto, ai fini della quantificazione del risarcimento del danno, del periodo dal 16 novembre 2008 (data del primo accesso dei Vigili Urbani, indicata dagli
attori in atto di citazione) sino al 25 agosto 2014 (data di chiusura del parcheggio a seguito della comunicazione dell’ordinanza cautelare inibitoria del Tribunale di Venezia del 3 luglio 2014), sottraendo i periodi in cui il parcheggio gestito dalla Venezia RAGIONE_SOCIALE era stato sequestrato dalla Procura di Venezia (19 giorni nel 2009 dal 5 novembre 2009 al 24 novembre 2009) e 19 giorni nel 2012 (dal 13 settembre 2012 al 2 ottobre 2012); era evidente che non ricorreva la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato perché sin dall’atto di citazione parte attrice aveva precisato che la condotta anticoncorrenziale era ancora in essere e che quindi il periodo indicato avrebbe dovuto essere ‘riconsiderato nel proseguo della causa’, e solo a seguito della cessazione della condotta illecita per effetto dell’ordinanza; era infondato il secondo motivo, con il quale gli appellanti avevano contestato la corretta applicazione da parte del Tribunale della liquidazione equitativa del danno effettuata in sentenza, assumendo che il Tribunale avrebbe omesso di considerare elementi di fatto essenziali ai fini della valutazione in base ad equità e violato gli artt. 1226 e 2056 c.c. in relazione al disposto degli artt.113, 114, 115 e 116 c.p.c.; in particolare gli appellanti lamentavano che il Tribunale non avrebbe preso in considerazione ‘elementi di fatto’, tra cui ‘quello concernente l’esistenza e l’operatività in loco , nel periodo 16.11.2008 / 31.8.2012, di importanti ed avviate attività di pubblico esercizio, di intrattenimento musicale e ballo, di piscina e solarium all’aperto, che indubbiamente incidevano in termini significativi sul numero dei posti auto legittimi collocati al di fuori delle fasce di rispetto’, ove dun que i veicoli presenti non potevano essere considerati ‘abusivi” ; le aree adibite lecitamente a parcheggio dalla Venezia RAGIONE_SOCIALE erano: a) quelle asservite all’attività florovivaistica; b) quelle ubicate nella c.d. ‘fascia di rispetto stradale’; con riferimen to alle aree di cui
sub a), si trattava di n. 35 posti auto oggetto della prima DIA ‘commerciale’ del 25 settembre 2007; con riferimento alle aree di cui sub b), si trattava di ulteriori n. 174 posti auto oggetto della SCIA del 31 luglio 2013; la doglianza degli appellanti era relativa alla asserita mancata considerazione da parte del Tribunale che le auto parcheggiate al di fuori delle aree consentite potevano dipendere da molteplici ‘causali’, per lo più riconducibili all’esercizio di attività commerciali e non, dunque, in f unzione dell’accesso all’aeroporto; dall’esame della documentazione prodotta da parte attrice esaminata dal CTU ( i dati ricavabili dai vari accessi effettuati) e posta alla base della quantificazione operata, emergeva inequivocabilmente che nella quasi totalità dei casi i parcheggi risultavano effettuati in aree non autorizzate, lasciando libera (totalmente o in parte) l’area pertinenziale all’attività florovivaistica ed alle attività ad essa ‘connesse’ ; non rispondeva al vero, pertanto che il numero di parcheggi in zone non autorizzate era stato calcolato, sulla base di quanto accertato in sede di sopralluogo, comprendendo anche le auto degli utenti delle attività commerciali, considerato che in almeno tre occasioni i sopralluoghi erano stati effettuati, in orario notturno, quando gli esercizi commerciali erano chiusi e comunque in quanto risultava che nella quasi totalità dei casi i parcheggi (autorizzati) pertinenziali alle attività commerciali erano occupati solo in parte ed era assolutamente inverosimile che un cliente del vivaio, o del bar o della piscina avesse scelto di parcheggiare in una zona (quella non autorizzata) distante dagli esercizi commerciali piuttosto che nel comodo parcheggio antistante gli stessi; quanto poi sostenuto dagli appellanti, per cui ciascuna delle attività economiche esistenti nelle aree di proprietà dei Benetazzo ‘co mporta, per legge e per strumento urbanistico, la dotazione obbligatoria di parcheggi tanto di uso pubblico (per l’utenza,
i visitatori, i fruitori, etc.) quanto ad uso privato (proprietari, personale dipendente, gestori, collaboratori)’ e che vi sarebbero state nelle aree in questione ‘attività aperte al pubblico ulteriori rispetto a quelle della DIA commerciale del 25.9.2007 (il florovivaismo e la piscina) che legittimamente imponevano la presenza di posti auto propri’, oltre ad essere un argomento nuovo, mai speso in primo grado, e quindi inammissibile, non trovava riscontro, in quanto i convenuti non avevano provato l’esist enza di titoli diversi da quelli agli atti di causa, ossia la DIA commerciale del 25 settembre 2007; né, da ultimo, meritava considerazione l’affermazione per cui vi sarebbe stata una seconda fascia di rispetto stradale a nord dell’area, ulteriore a quella sulla SS Triestina valorizzata dal CTU in quanto la sentenza non definitiva n.2153/2016, non impugnata e passata in giudicato, non ne faceva menzione, limitandosi a fare riferimento alla fascia di rispetto stradale che confinava direttamente con la SS Triestina, di cui alla SCIA del 31 luglio 2013; era infondato il terzo motivo con il quale gli appellanti lamentavano l’erroneità ed illogicità del criterio assunto dal CTU nella ‘tabella’, fatta propria dal Tribunale, per determinare il numero delle ‘auto medie irregolari’ ai fini della quantificazion e del danno; come correttamente rilevato dal Tribunale, la RAGIONE_SOCIALE ‘ha fornito seri elementi dimostrativi del danno, e tali da consentire un giudizio di liquidazione equitativa di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto’; infatti, oltre alla documentazione relativa agli accessi effettuati dalla Polizia Municipale e dall’Ufficio Tecnico dell’Edilizia del Co mune di Venezia, la Marco Polo Park aveva prodotto diverse fotografie sia delle auto in sosta presso i parcheggi ‘abusivi’, sia dei due bus navetta che accompagnavano i clienti dai parcheggi all’aeroporto e vice versa; era stato inoltre prodotto un tabulato relativo ai passaggi in area
aeroportuale, in entrata ed in uscita, dei predetti bus; peraltro, non rispondeva al vero che gli accessi erano avvenuti solo in periodo di picco stagionale, essendo stati effettuati in vari mesi dell’anno (aprile, giugno, agosto, dicembre, gennaio); la sentenza impugnata aveva inoltre dato conto, condividendola, della considerazione del CTU per cui ‘Il tutto lascia dunque intendere che l’attività venisse svolta da VMPP in modo continuativo e per notevoli volumi di autovetture stazionate nelle aree di compe tenza’ e che, rilevati 50/60 passaggi giornalieri per ciascun bus navetta (l’uno con capienza 7 passeggeri, l’altro con capienza di 8) ‘il numero di viaggi è certamente compatibile con una presenza giornaliera nel parcheggio per cui è causa di diverse centinaia di vetture, in verosimile coerenza, dunque, con il numero medio di autovetture in precedenza desunto dalle verifiche effettuate in loco dai diversi organi comunali’; il CTU aveva così esaurientemente replicato al rilievo del CTP di parte convenuta, c he aveva rilevato che ‘soli 8 giorni’ (ossia quelli riferibili alle verifiche in loco) fossero ‘un campione troppo poco rappresentativo’; con il motivo di impugnazione in esame, dunque, gli appellanti non avevano apportato ulteriori ragioni di critica rispetto a quelle già fatte valere in primo grado, esaminate dal CTU e disattese, con argomenti condivisi dal Tribunale con motivazione ampia ed esaustiva; era altresì infondato il quarto motivo con il quale gli appellanti lamentavano che il Tribunale avrebbe ‘corretto’ in aumento il numero delle ‘auto medie irregolari’ rispetto a quanto indicato dal CTU, senza motivazione ed aderendo alla prospettazione del CTP attoreo; non si riscontrava il denunciato difetto di motivazione, in quanto il Tribunale aveva adeguatamente espresso le ragioni per cui aveva ritenuto di discostarsi dal criterio seguito dal CTU (il quale aveva ritenuto che, laddove non desumibile dai verbali di accertamento e/o dalle relative planimetrie quante autovetture stazionassero nelle fasce
di rispetto, quest’ultime erano da ritenere ‘saturat e ‘ con n. 174 posti), in quanto tale criterio confliggeva con il fatto che nella documentazione di quegli accessi, da cui si ricavava il posizionamento di auto nella fascia di rispetto, non erano mai state riscontrate ivi 174 auto; sul punto ai fini della valutazione equitativa del danno era ragionevole, nei giorni in cui non era dato sapere quante auto vi fossero nella fascia di rispetto, poter utilizzare come adeguato criterio equitativo quello esplicitato dal CTP attoreo ovvero di n. 50 auto da computare come presenti nella fascia di rispetto, con un risultato medio giornaliero di n.310 auto in aree non passibili di utilizzo quale parcheggio; contrariamente a quanto da ultimo asserito dalla difesa tecnica dei convenuti, non era stato compiutamente comprovato che vi fossero altre fasce di rispetto stradale utilizzate dalla società convenuta oltre a quella fatta poi oggetto di SCIA del 31.7.2013; a fronte di tale esaustiva motivazione, basata su dati evincibili dalla documentazione prodotta e sostenuta da un ragionamento impeccabile, parte appellante non aveva offerto nessun argomento plausibile; era infondato anche il quinto motivo con il quale gli appellanti avevano lamentat o l’erroneità della sentenza impugnata per avere recepito la consulenza tecnica d’ufficio nella parte in cui il CTU aveva individuato quali parcheggi ‘sostituti accettabili’ del parcheggio della Venezia Marco Polo Parking quelli della Marco Polo Park che applicavano una tariffa non superiore ad euro 10,00 giornalieri, quale costo massimo che, in mancanza del parcheggio gestito dalla Venezia RAGIONE_SOCIALE, la clientela dell’aeroporto sarebbe stata disposta a spendere; il CTU aveva ben motivato, con percorso argomentativo logico e coerente, le ragioni per cui, nell’ ipotesi in cui il parcheggio della Venezia RAGIONE_SOCIALE avesse registrato sempre la saturazione dei propri posti ‘leciti’ non accogliendo ulteriore clientela, l’eccedenza di
autovetture per cui era stato riscontrato lo stazionamento abusivo si sarebbe potuta riversare preferenzialmente nei parcheggi gestiti dalla Marco RAGIONE_SOCIALE, anche ad un costo superiore a quello praticato dal primo; occorreva peraltro tenere presente che il parcheggio della Venezia RAGIONE_SOCIALE era ubicato ad una distanza di poche centinaia di metri dall’aeroporto, a differenza degli altri parcheggi diversi dal Marco Polo Park; il CTU aveva ridotto il numero di parcheggi di quest’ultima considerabi li come ‘sostituti accettabili’ rispetto a quello condotto dalla Venezia RAGIONE_SOCIALE, limitandoli a quelli che, in tutti gli anni oggetto di indagine, offrivano servizi di parcheggio per un prezzo giornaliero non superiore ad euro 10,00 IVA inclusa; di conseguenza, il CTU, sulla scorta dei prezziari allegati, aveva ritenuto che per il 2008 nessun parcheggio poteva essere considerato quale valida alternativa al parcheggio della Venezia RAGIONE_SOCIALE; anche in questo caso, dunque, con il motivo di impugnazione in esame gli appellanti non avevano apportato ulteriori ragioni di critica rispetto a quelle già fatte valere in primo grado, esaminate dal CTU e disattese, con argomenti condivisi dal Tribunale con motivazione più che adeguata; era infondato il sesto motivo con il quale gli appellanti contestavano l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, recependo le conclusioni del CTU, aveva ritenuto che nel danno da lucro cessante risarcibile a Marco Polo Park era da comprendere anche il 42% dell’incasso lordo da versare a RAGIONE_SOCIALE s.p.a., a titolo di royalty per la subconcessione demaniale; era inammissibile il settimo motivo con il quale gli appellanti avevano lamentat o l’erroneità della sentenza per avere condannato in solido al risarcimento del danno anche le persone fisiche (COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) proprietarie dei terreni ove ha avuto luogo l’attività illecita di parcheggio, in quanto la responsabilità solidale dei proprietari dei
terreni era stata accertata con la sentenza non definitiva n.2153/2016, non impugnata e passata in giudicato; era infondato l’ottavo motivo con il quale gli appellanti avevano lamentat o l’erroneità della sentenza per avere riconosciuto la rivalutazione monetaria con riferimento all’intero importo di cui alla condanna, quale debito di valore, soggetto pertanto a rivalutazione, con decorrenza dalla data di cessazione della condotta illecita, ed interessi sulla somma rivalutata di anno in anno; infine, era infondato il nono motivo relativo al fatto che il Tribunale aveva condannato la Venezia RAGIONE_SOCIALE a corrispondere all’attrice ‘ulteriori € 1.200,00 per compensi del sub procedimento ex art.669 decies c.p.c., oltre a spese generali, IVA e CPA’, in quanto la decisione impugnata era coerente con il principio per cui la regolamentazione delle spese di lite ha luogo con la sentenza definitiva, indipendentemente da fatto che con la sentenza non definitiva il Tribunale abbia statuito l’inammissibilità della domanda di revoca dell’ordinanza cautelare, proposta dai convenuti; correttamente, quindi, il Tribunale aveva rinviato la decisione sulle spese alla sentenza definitiva, provvedendo esclusivamente alla regolamentazione delle spese di lite rispetto ai soggetti estromessi (RAGIONE_SOCIALE, NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME).
Avverso la suddetta sentenza ricorrono in cassazione i soggetti appellanti con tre motivi, illustrati da memoria. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e vizio di motivazione in relazione al primo motivo d’appello.
In particolare, i ricorrenti, premesso che il Tribunale aveva pedissequamente recepito le valutazioni effettuate dal C.T.U. in ordine
al periodo temporale (16.11.2008 -25.8.2014) entro cui occorreva determinare il danno derivato dagli accertati atti di concorrenza sleale, lamentano che il giudice d’appello si è limitato ad un generico e non motivato riferimento ad uno specifico atto processuale (prima comparsa conclusionale attorea), con ciò rendendo del tutto incomprensibile l’ ite r argomentativo in ordine al fatto decisivo de ll’estensione temporale del presunto illecito dal 31.8.2012 al 25.8.2014, e senza dare conto del supporto probatorio di tale estensione temporale.
Orbene, secondo i ricorrenti, tale fatto decisivo, laddove preso debitamente in considerazione in applicazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c. nonché in applicazione del corretto riparto probatorio ex art. 2697 c.c. in relazione alla domanda attorea (ex art. 2598 comma 1 n. 3 c.c.), avrebbe condotto all’accoglimento del primo motivo d’appello, con conseguente riduzione dell’arco temporale di riferimento sino al 23.8.2012 (per un totale di 1385 giorni, come quantificati in atto di citazione) e correlata riduzione delle somme dovute di euro 419.463,49 (pari a 724 giorni in relazione al periodo dal 23.8.2012 al 24.8.2014). Il secondo motivo denunzia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (ovvero l’esistenza di una seconda fascia di rispetto stradale nonché l’esistenza di altre attività commerciali), tutti oggetto di discussione nel giudizio di primo grado nonché supportati da documenti in atti, che se presi in considerazione avrebbero condotto ad un giudizio equo in sede di liquidazione del quantum , con sensibile riduzione (se non addirittura azzeramento) del danno complessivamente quantificato a carico dei ricorrenti.
Sotto tale profilo, quest’ultimi lamentano altresì che la Corte d’appello ha redatto una motivazione apparente, del tutto priva di sostanza argomentativa.
Il terzo motivo deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e vizio di motivazione, lamentando che la motivazione era fondata su travisamento probatorio degli stessi fatti, che implicava la constatazione che l’informazione probatoria assunta dal giudice d’appello era in palese contrasto con gli atti processuali e i documenti probatori acquisiti.
Secondo i ricorrenti, tali fatti decisivi (ovvero la riserva del parcheggio P4 ai Tour Operators, il prezzo medio del parcheggio P3 di euro 12,42 sino al 2 luglio 2012 nonché il funzionamento del parcheggio P5 soltanto dal 2011), laddove presi in considerazione, avrebbero condotto ad un giudizio equo in sede di liquidazione del quantum , con sensibile riduzione del danno complessivamente quantificato a loro carico.
Il primo motivo è inammissibile, perché diretto al riesame dei fatti.
La Corte d’Appello ha preso esplicita e motivata posizione sull’estensione temporale dell’illecito, precisando che era stato rispettato l’art. 112 c. p c. (‘ perché sin dall’atto di citazione parte attrice aveva precisato che la condotta anticoncorrenziale era ancora in essere e che quindi il periodo indicato avrebbe dovuto essere ‘riconsiderato’ ). Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione
e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass., n. 29730/2020; n. 22801/2009).
Nella specie , la Corte d’Appello ha esplicitamente e compiutamente argomentato di accogliere le conclusioni del C.T.U. sull’estensione temporale dell’illecito, a loro volta fondate sulle ‘emergenze processuali’ evidenziate dalla difesa della parte appellata nella fase conclusionale e non contestate.
Invero, l ‘operato del C.T.U. si è svolto in piena aderenza all’incarico ricevuto, avendogli il Tribunale chiesto, nell’ordinanza istruttoria del 12.5.2016 , di tener conto ‘degli esiti dei sopralluoghi della Polizia Municipale documentati in causa’, incluso quindi anche il sopralluogo della Polizia Municipale del 2.9.2014, descritto altresì nella nota del Corpo di Polizia Municipale di Favaro Veneto 18.9.2014, e riferito proprio al periodo ulteriore rispetto a quello inizialmente dedotto in sede di citazione.
Il secondo motivo è inammissibile . La Corte d’Appello ha preso esplicita posizione su entrambi i fatti dedotti, ritenendoli non provati o comunque irrilevanti ai fini del decidere, e tale decisione di merito, attinente alla valutazione delle prove dedotte in giudizio, non è suscettibile di alcun sindacato di legittimità.
Al riguardo, in tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle
fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass., n. 15276/2021).
Il terzo motivo è parimenti inammissibile perché sostanzialmente fondato sulla critica dell’esame e valutazione dei m ezzi di prova da parte della Corte territoriale circa i criteri di risarcimento del danno, con riguardo ai parcheggi che, a dire dei ricorrenti, non avrebbero potuto essere assunti dal C.T.U. e dal giudice di merito, nella quantificazione del danno, ‘quale parametro di riferimento secondo il criterio di segmentazione del mercato sulla base del prezzo’.
Orbene, la valutazione del materiale probatorio – essendo destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudice – è espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità (con la conseguenza che non è denunciabile, dinanzi a quest’ultima, come vizio della decisione di merito, a segui to della definitiva riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c.) restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio’ ( Cass. n. 37382/2022; n. 26853/2022; n. 20553/ 2021). Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 14.200,00 di cui 200,00 per esborsi- oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 28 marzo 2025.