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Concorrenza sleale: quando l’imitazione è lecita?

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un complesso caso di concorrenza sleale tra due aziende produttrici di sistemi di sigillatura modulari. La Corte ha escluso l’imitazione servile quando la forma del prodotto è dettata da esigenze funzionali, respingendo le accuse di concorrenza parassitaria e appropriazione di pregi per mancanza di prove. Tuttavia, ha accolto il motivo relativo al mendacio concorrenziale, censurando l’uso della dicitura “halogen free” su prodotti pubblicizzati prima dell’entrata in vigore della normativa tecnica di riferimento, poiché potenzialmente ingannevole per i consumatori. La sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello per una nuova valutazione su questo specifico punto.

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Pubblicato il 26 agosto 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Concorrenza Sleale: la Cassazione traccia i confini tra imitazione lecita e pubblicità ingannevole

La concorrenza sleale rappresenta un campo minato per le imprese, dove il confine tra abile strategia di mercato e comportamento illecito è spesso sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre preziosi chiarimenti su diverse fattispecie, in particolare sull’imitazione servile di prodotti con caratteristiche funzionali e sul mendacio concorrenziale. L’analisi della Corte distingue nettamente quando copiare una forma è legittimo e quando, invece, una comunicazione commerciale diventa ingannevole.

I Fatti del Contenzioso

La vicenda vede contrapposte due società operanti nel settore dei sistemi di sigillatura modulare. L’azienda “Beta”, produttrice di moduli passacavi, conveniva in giudizio l’azienda “Alfa”, leader del settore, per ottenere un accertamento negativo sull’illiceità della propria condotta commerciale. L’azienda Alfa, a sua volta, proponeva una domanda riconvenzionale, accusando Beta di molteplici atti di concorrenza sleale: imitazione servile, appropriazione di pregi, concorrenza parassitaria e mendacio.

Il cuore della disputa riguardava i moduli passacavi, la cui forma a cerchi concentrici era stata originariamente tutelata da un brevetto di Alfa, poi scaduto. Beta aveva iniziato a produrre moduli simili, prima con una colorazione bicromatica e poi multicolor. I giudici di merito avevano parzialmente accolto le domande di entrambe le parti, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i dieci motivi di ricorso presentati da Alfa e il ricorso incidentale di Beta, fornendo una disamina approfondita delle diverse forme di concorrenza sleale contestate.

Concorrenza Sleale per Imitazione Servile: L’Importanza della Funzionalità

Il punto centrale della difesa di Beta era che la forma a cerchi concentrici dei suoi moduli non era un vezzo estetico, ma una necessità tecnica per consentire al prodotto di adattarsi a cavi di diverso diametro (soluzione “multidiametro”). La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo un principio fondamentale: l’imitazione servile, per essere illecita ai sensi dell’art. 2598, n. 1, c.c., deve riguardare caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante e capacità distintiva. Non può configurarsi quando la ripetizione dei connotati formali è resa necessaria dalle caratteristiche funzionali del prodotto. Poiché la geometria ad anelli concentrici era un’esigenza tecnica inevitabile, la sua adozione da parte di Beta non costituiva un atto di concorrenza sleale.

L’Appropriazione di Pregi e la Prova del Vantaggio Indebito

Per quanto riguarda l’accusa di appropriazione di pregi, la Corte ha ribadito che questa fattispecie si integra quando un imprenditore si auto-attribuisce qualità, peculiarità o caratteristiche riconosciute all’impresa concorrente, al fine di ottenere un indebito accreditamento presso la clientela. Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che le prove portate da Alfa (come alcune comunicazioni di distributori) fossero sporadiche, non chiaramente riconducibili a direttive di Beta e, pertanto, non idonee a dimostrare un’effettiva strategia di “agganciamento” parassitario.

Il Mendacio Concorrenziale: Il Caso della Dicitura “Halogen Free”

Il motivo di ricorso che ha trovato accoglimento è stato quello relativo al mendacio concorrenziale. Alfa lamentava che Beta avesse utilizzato la dicitura “halogen free” (privo di alogeni) sul proprio materiale pubblicitario in un periodo in cui la normativa tecnica di riferimento (CEI EN 50642) non era ancora in vigore in Italia. La Corte d’Appello aveva minimizzato la questione, ma la Cassazione ha ribaltato questa visione. Secondo gli Ermellini, la pubblicità menzognera costituisce atto di concorrenza sleale quando contiene affermazioni false su qualità essenziali del prodotto, idonee a ingannare i consumatori. L’avvento successivo di una normativa tecnica non sana l’illiceità di una comunicazione non veritiera effettuata in precedenza. La veridicità della dicitura “halogen free” andava accertata con test di laboratorio, indipendentemente dalla vigenza della norma tecnica. L’aver rappresentato una caratteristica non vera costituiva, di per sé, un potenziale illecito.

Le Motivazioni della Corte

La ratio decidendi della Corte si basa su una netta distinzione tra gli aspetti funzionali ed estetici di un prodotto e sulla rigorosa valutazione della veridicità delle comunicazioni commerciali. Per l’imitazione servile, la Corte sottolinea che la tutela non può estendersi a forme che sono la diretta conseguenza di una soluzione tecnica, altrimenti si creerebbe un monopolio di fatto su una funzionalità, aggirando i limiti temporali del brevetto. La funzionalità della forma a cerchi concentrici, essendo una necessità tecnica, prevale su qualsiasi presunta capacità distintiva, rendendo lecita l’imitazione.

Sul mendacio concorrenziale, la Corte ha affermato che la correttezza dell’informazione commerciale è un principio cardine della lealtà imprenditoriale. L’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario va valutata nel momento in cui viene diffuso. L’assenza di una norma tecnica specifica non autorizza un’impresa a fare affermazioni non veritiere sulle qualità del proprio prodotto. La falsità dell’informazione, se idonea a influenzare le scelte dei consumatori, integra di per sé l’illecito, a prescindere da successive evoluzioni normative.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Cassazione offre importanti spunti operativi per le imprese. In primo luogo, conferma che le forme dettate da esigenze puramente funzionali di un prodotto non sono monopolizzabili e possono essere imitate dai concorrenti una volta scaduta l’eventuale tutela brevettuale, senza incorrere nel rischio di una condanna per concorrenza sleale. In secondo luogo, l’ordinanza lancia un monito severo sulla comunicazione commerciale: ogni affermazione relativa a qualità essenziali di un prodotto deve essere rigorosamente veritiera e dimostrabile. Utilizzare diciture tecniche come “halogen free” senza poterle comprovare espone al rischio di una condanna per pubblicità ingannevole, anche se le norme di settore non sono ancora state formalmente recepite. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Milano, che dovrà riesaminare la questione del mendacio concorrenziale alla luce dei principi espressi.

Quando l’imitazione della forma di un prodotto non costituisce concorrenza sleale?
Quando la forma del prodotto è determinata da esigenze tecniche e funzionali inevitabili e non da scelte estetiche dotate di capacità distintiva. La riproduzione di caratteristiche funzionali non è considerata illecita ai fini dell’imitazione servile.

Una società è sempre responsabile per gli atti di concorrenza sleale commessi dai suoi distributori?
No, non automaticamente. È necessario dimostrare che l’imprenditore abbia concorso scientemente al compimento dell’atto del terzo (ad esempio, il distributore), o lo abbia approvato prestandovi consapevole acquiescenza. La sola corrispondenza dell’atto all’interesse dell’impresa non è sufficiente.

L’uso di una dicitura non veritiera su un prodotto (“mendacio concorrenziale”) è illecito anche se non esiste ancora una norma tecnica specifica che ne regoli l’uso?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la pubblicità menzognera è un atto di concorrenza sleale se si sostanzia in affermazioni false su qualità essenziali del prodotto, idonee a ingannare i consumatori. L’illiceità sussiste a prescindere dalla vigenza di una specifica normativa tecnica, poiché si fonda sulla non veridicità della comunicazione commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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