Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21848 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21848 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17741 R.G. anno 2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso quest’ultimo ;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente e ricorrente incidentale
avverso la sentenza n. 1440/2024 depositata il 17 maggio 2024 della Corte di appello di Milano.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 giugno 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ RAGIONE_SOCIALE ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , società appartenenti all’omonimo gruppo, domandando l’accertamento negativo dell’illiceità della propria condotta commerciale integrata dalla produzione, promozione e commercializzazione di moduli passacavi. L’attrice ha esposto che le convenute operavano nel settore dei sistemi di sigillatura modulari, cioè di manufatti aventi la funzione di sigillare tubi e cavi che passano attraverso tubi e partizioni, e conseguentemente di isolarli da agenti esterni; ha aggiunto che RAGIONE_SOCIALE era stata titolare di un brevetto europeo che tutelava l’invenzione costituita da un modulo passacavi composto da una pluralità di strati sovrapposti (c.d. layers ) a loro volta definenti due semigusci cilindrici, da inserire all’interno di semigusci esterni. L’invenzione aveva usufruito di protezione fino all’8 novembre 2010, data di scadenza del brevetto. RAGIONE_SOCIALE ha quindi dedotto la liceità della realizzazione e commercializzazione dei propri prodotti, che svolgevano la funzione di espansori destinati ad essere installati nel telaio che conteneva i moduli passacavi e consentiva di comprimerli: ha specificato di aver prodotto in passato moduli passacavi di colore arancione e nero e di aver modificato la produzione realizzando moduli c.d. multicolor, costituenti oggetto delle domande di accertamento negativo di cui si è detto.
Le due società RAGIONE_SOCIALE hanno resistito alla domanda attrice e hanno agito in via riconvenzionale lamentando, per quanto qui interessa, che RAGIONE_SOCIALE si fosse resa «responsabile di concorrenza sleale parassitaria, per imitazione servile e confusoria, per appropriazione di pregi e agganciamento, per mendacio e per violazione di legge, ai sensi dell’art. 2598, nn. 1, 2 e 3 c.c.».
Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda di accertamento negativo dell’illecito concorrenziale proposta da RAGIONE_SOCIALE quanto all’imitazione dei dispositivi commercializzati dalla controparte e ha ritenuto fondata la domanda riconvenzionale limitatamente al profilo
concernente la comunicazione, da parte della stessa RAGIONE_SOCIALE, di informazioni non veritiere, a potenziali clienti, circa l’equivalenza funzionale dei prodotti di questa rispetto a quelli RAGIONE_SOCIALE e circa la maggiore economicità degli uni rispetto agli altri.
La sentenza di primo grado è stata oggetto di due distinti gravami. Quello proposto da RAGIONE_SOCIALE è stato respinto; quello spiegato da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE è stato accolto nel senso che l’accertamento negativo del primo Giudice doveva intendersi limitato al territorio nazionale.
– Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto un ricorso per cassazione fondato su dieci motivi. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e ha proposto una impugnazione incidentale su di un solo motivo. La ricorrente principale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I motivi del ricorso principale, analogo ad altro definito da questa Corte con ordinanza n. 3392/2025 del 10 febbraio 2025, si riassumono come segue.
Primo motivo: violazione o falsa applicazione degli artt. 2598, n. 1, c.c. e 32 Cost., in relazione alla domanda di concorrenza sleale per imitazione servile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. . Si censura la sentenza della Corte di appello per avere commesso un errore di diritto nell’individuare il pubblico di riferimento rispetto al quale valutare il rischio di confondibilità ai fini dell’accertamento di un illecito di concorrenza sleale per imitazione servile, e in particolare per aver ritenuto che, nel caso di prodotti destinati a diverse categorie e fasce di pubblico, sola una di queste categorie e fasce -nella specie quella degli acquirenti professionali specializzati -possa assumere rilievo, a dispetto del fatto che altre categorie e fasce di pubblico possano invece confondersi.
Secondo motivo: violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2598, n. 1, c.c., disciplinanti rispettivamente la responsabilità
extracontrattuale e la fattispecie di concorrenza sleale per imitazione servile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. . Avrebbe errato la Corte di merito a ritenere che la commercializzazione di prodotti simili a quelli RAGIONE_SOCIALE da parte di altri facesse venir meno una responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per imitazione servile.
Terzo motivo: omesso esame di un fatto decisivo nel decidere la domanda di concorrenza sleale per imitazione servile ai sensi dell’art. 2598, n. 1, c.c.. Con questo mezzo ci si duole che la Corte di appello di Milano abbia mancato di considerare la dimostrata riconduzione, da parte della quasi totalità del pubblico di riferimento, del segno costituito da cerchi concentrici neri, alternati a cerchi di altri colori, partendo da un tondo centrale nero, alla ricorrente COGNOME.
Quarto motivo: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Il Giudice distrettuale avrebbe deciso la domanda relativa alla concorrenza sleale per imitazione servile andando oltre i limiti del petitum e della causa petendi dedotti, incorrendo quindi in un vizio di ultrapetizione.
Quinto motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c., disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. Con questo mezzo si censura la sentenza della Corte di Milano per avere commesso un errore di diritto nel ritenere che l’illecito concorrenziale in questione possa ritenersi integrato solo nel caso in cui la vanteria del concorrente sia mendace e non anche nel caso di agganciamento parassitario non mendace, laddove siano comunque sfruttati indebitamente la notorietà e l’avviamento del concorrente.
Sesto motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c., disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. Il Giudice del gravame sarebbe incorso in errore di diritto nel ritenere che la concorrenza sleale per appropriazione di pregi si configuri solo ove la vanteria del concorrente, oltre che mendace, sia
anche espressa in termini specifici.
Settimo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c., disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. Con questo mezzo si censura la sentenza della Corte di appello di Milano per aver ritenuto attribuibili a un concorrente solo gli atti da quest’ultimo direttamente posti in essere e per non aver considerato che lo stesso soggetto risponde di concorrenza sleale pure per gli atti posti in essere da soggetti terzi che si trovano in una particolare relazione con lui e agiscono nel suo interesse.
Ottavo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 3, c.c., con specifico riferimento alla concorrenza sleale parassitaria. Si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che, perché sia integrata tale fattispecie, è necessario le singole condotte imitative del concorrente siano già in sé illecite e per aver conseguentemente omesso di valutare in modo unitario i comportamenti di WallMax che erano rilevanti a tal fine.
Nono motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 3, c.c. e degli artt. 2, comma 1, lett. b), e 3 d.lgs. 145/2007, con specifico riferimento alla fattispecie di mendacio concorrenziale. Con questo mezzo si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che il mendacio concorrenziale dovesse essere conseguenza della violazione di norme.
Decimo motivo : violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 3, c.c. con specifico riferimento alla fattispecie di concorrenza sleale per violazione di norme di diritto pubblico. Lamenta la ricorrente che la normativa CEI 11-17 VI, Allegato F non sia stata ritenuta applicabile ai moduli passacavi oggetto di causa.
-I primi tre motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente.
La Corte di appello, con riguardo al contestato illecito di imitazione servile, dopo aver osservato che RAGIONE_SOCIALE aveva
abbandonato, nella produzione dei moduli di sigillatura, la colorazione alternata in nero e arancione e aveva «continuato la produzione utilizzando una gamma multicolore costituita da giallo/lilla/rosa», ha rilevato che «la geometria ad anelli concentrici esigenza tecnica inevitabile rispetto alla necessità di avere una soluzione multidiametro, ossia un modulo in grado di bloccare cavi di differente diametro ». Quest’ultimo riliev o si compone con altre considerazioni del Giudice di appello: la differenziazione ottenuta con l’adozione di molteplici colori toglieva rilievo al preteso carattere individualizzante, insito nell’utilizzo del colore nero ; sul mercato si trovavano «prodotti del tutto simili»; la dimensione dei moduli, lo spessore degli strati e il numero degli stessi erano «necessitati dalle dimensioni dei cavi presenti sul mercato».
La circostanza per cui la forma del prodotto a cerchi concentrici assume valore funzionale è tale, da sola, da escludere la lamentata imitazione: infatti, in tema di concorrenza sleale per confusione dei prodotti, l’imitazione rilevante ai sensi dell’art. 2598, n. 1, c.c., non esige la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo di quella che investe le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempreché la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto (Cass. 13 gennaio 2023, n. 948; Cass. 14 maggio 2020, n. 8944). L ‘enunciazione della sentenza impugnata circa la forma funzionale del prodotto di RAGIONE_SOCIALE non è stata specificamente censurata: va quindi fatta applicazione del principio per cui qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (per tutte: Cass. Sez. U.
29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 18 giugno 2019, n. 16314; Cass. 4 marzo 2016, n. 4293).
Mette conto di aggiungere che l’ipotetico rilievo che poteva assumere, ai fini della distintività del prodotto, l’alternanza cromatica è stata specificamente esclusa dalla Corte di appello sulla base di un giudizio di fatto qui non sindacabile: la Corte di merito, occupandosi dell ‘aspetto esteriore del prodotto , ha infatti dato evidenza, come in precedenza accennato, alla diversa colorazione dei moduli di RAGIONE_SOCIALE: circostanza, quest’ultima che privava i moduli della controricorrente del «preteso carattere individualizzante» del colore nero, presente nei moduli di RAGIONE_SOCIALE. Ne discende che l’effetto confusorio non potrebbe essere nemmeno associato alla richiamata presenza della colorazione nera, assente nei moduli di WallMax, in cui vi era alternanza tra il giallo, il lilla e il rosa.
Il primo motivo, con cui si censura l’errore in cui sarebb e incorsa la Corte di appe llo nell’individuazio ne del pubblico di riferimento per il giudizio di confondibilità, il secondo, con cui si deduce l’irrilevanza della presenza, sul mercato, di prodotti similari, e il terzo, vertente sul mancato apprezzamento di un’indagine demoscopica avente ad oggetto l’impressione procurata nel pubblico dal prodotto caratterizzato da cerchi concentrici, sono quindi inammissibili, in quanto non aggrediscono la ratio decidendi di cui si è sopra detto.
3. -Col quarto mezzo si lamenta che la Corte territoriale abbia basato la decisione su di una circostanza ─ la riproduzione nei moduli WallMax della forma e delle dimensioni dei moduli RAGIONE_SOCIALE ─ che l’odierna controricorrente aveva prospettato con riguardo alla domanda di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, e non con riferimento a quella di concorrenza sleale per imitazione servile.
Il motivo è anzitutto carente di specificità. La deduzione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25
luglio 2019, n. 20181): ebbene, la ricorrente non ha fornito indicazioni quanto al contenuto degli atti processuali in cui sarebbe stata svolta la domanda che qui interessa.
La censura, in più, si mostra priva di decisività, dal momento che, come si è detto, la pronuncia impugnata si regge sul dato della funzionalità della forma del prodotto di RAGIONE_SOCIALE: funzionalità che è atta, in sé, ad escludere l’imitazione servile.
Anche il quarto motivo è dunque inammissibile.
4. ─ Col quinto la ricorrente assume che la fattispecie della concorrenza sleale per appropriazione di pregi non ricorre nella sola ipotesi in cui un soggetto affermi falsamente che i propri prodotti presentano le caratteristiche dei prodotti di un concorrente, ma in ogni caso in cui «un soggetto si propone al pubblico equiparandosi ad un concorrente, agganciandosi a quest’ultimo al fine di ottenere un vantaggio concorrenziale, a prescindere dal carattere mendace o meno delle affermazioni con cui questa equiparazione viene effettuata».
Il motivo è inammissibile.
Esso non coglie il senso della decisione impugnata nella parte che qui interessa: la pronuncia ha inteso conformarsi al principio per cui la condotta di «appropriazione di pregi», contemplata dall’art. 2598, comma 1, n. 2, c.c., è integrata dal vanto operato da un imprenditore circa le caratteristiche della propria impresa, mutuate da quelle di un altro imprenditore, tutte le volte in cui detto vanto abbia l’attitudine di fare indebitamente acquisire al primo un merito non posseduto, realizzando una concorrenza sleale per c.d. agganciamento, quale atto illecito di mero pericolo (così Cass. 13 luglio 2021, n. 19954; cfr. pure Cass. 7 gennaio 2016, n. 100, citata nella pronuncia impugnata). E’ stato osservato, in particolare: « L ‘imprenditore concorrente ‘ si appropria di pregi ‘ di un’altra impresa, secondo la fattispecie dell’art. 2598, comma 1, n. 2, c.c., in quanto operi in una comunicazione destinata a terzi, una c.d. autoattribuzione di qualità, peculiarità o
caratteristiche riconosciute all’altrui impresa. In tal modo, invero, egli riferisce a sé, mediante il mezzo pubblicitario, caratteri di prodotti, di servizi o dell’impresa altrui, ma come se si trattasse di prodotti, servizi o caratteri già facenti parte della propria attività d’impresa, così appropriandosi dell’attività di un terzo e cagionando nella potenziale clientela un indebito accreditamento, rispetto ad attività, servizi o prodotti non corrispondenti all’effettiva attività realizzativa svolta fino a quel momento » (Cass. 13 luglio 2021, n. 19954, cit., in motivazione). Ora, la Corte distrettuale ha inteso proprio escludere la prova d ell’acquisizione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, dei meriti dell’impresa concorrente: prova che, come risulta precisato nella sentenza, non poteva «essere desunta da sporadiche condotte poste in essere da qualche distributore di RAGIONE_SOCIALE e soprattutto in contesti non chiariti e non idonei a produrre l’effetto dell’agganciamento ». Tale proposizione non contraddice i principi sopra richiamati. Il motivo non è del resto declinato come omesso esame di fatto decisivo, né reca, comunque indicazione di condotte di appropriazione di pregi, nel senso di « autoattribuzione di qualità, peculiarità o caratteristiche riconosciute all’altrui impresa » che la Corte di appello avrebbe dovuto prendere in considerazione, e che invece ha mancato di valorizzare.
5. ─ Il sesto motivo censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la concorrenza sleale per appropriazione di pregi sia integrata da vanterie specifiche, «non essendo sufficienti generiche equiparazioni ai prodotti e/o all’attività di un concorrente ».
Il motivo è inammissibile.
La decisione impugnata non si è espressa nei termini indicati, onde il motivo non si accorda con essa. Quel che emerge dalla pronuncia è altro: così, con riguardo alla comunicazione di cui al doc. XXII, la Corte di appello ha rimarcato come la stessa contenesse considerazioni generiche; con riferimento a una tabella rappresentata dal doc. LIII, in cui erano indicati dettagli di elevato tecnicismo, il
Giudice distrettuale ha evidenziato che la difesa di COGNOME non aveva fornito specifici ragguagli quanto ai dati desumibili dallo scritto. In conclusione, la Corte di appello si è soffermata sull’efficacia dimostrativa dei documenti in questione, non sulla perimetrazione della fattispecie di illecito concorrenziale su cui era a chiamata a pronunciarsi. Esula, poi, dal giudizio di legittimità la verifica dei contenuti di questi e di altri documenti: è infatti al giudice di merito che resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 22 novembre 2023, n. 32505; Cass. 7 aprile 2017, n. 9097).
6. ─ Il settimo mezzo imputa alla Corte di appello di aver indebitamente escluso la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE in tema di appropriazione di pregi sulla base di questa proposizione, non condivisa dalle ricorrenti: la corrispondenza di cui al doc. XXI, rilevante per l’illecito in questione (con cui un distributore di RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato a un cliente RAGIONE_SOCIALE le qualità dei prodotti della prima) non era «direttamente r icollegabile all’odierna parte appellata, non essendo stato dimostrato, a titolo esemplificativo, che fosse stata confezionata su precise direttive provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE». Come si visto, per le società istanti il concorrente risponde dell’illecito anticompetitivo pure per gli atti posti in essere da soggetti terzi che si trovino in uno speciale rapporto con lui e agiscano nel suo interesse.
Il motivo è infondato.
Per la giurisprudenza di questa Corte, esiste responsabilità solidale dell’imprenditore concorrente e del terzo non concorrente quando quest’ultimo agisca per conto di un concorrente del danneggiato, o comunque in collegamento con lo stesso (Cass. 6 giugno 2012, n. 9117 Cass. 9 novembre 2011, n. 13882; Cass. 11 aprile 2001, n. 5375). Il terzo si deve quindi trovare in una relazione particolare con l’imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far
ritenere che l’attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo (Cass. 12 luglio 2019, n. 18772); in altri termini, « il fatto che l’attività del terzo corrisponda all’interesse dell’impresa concorrente non è sufficiente, da solo, a far considerare il terzo come interposto in una attività di concorrenza sleale; a tal fine, è invece necessario che l’attività del terzo possa, se non collegarsi ad un incarico del concorrente, almeno inserirsi nell’ambito di rapporti con il concorrente tali da far pensare che il terzo, con la propria attività, abbia inteso realizzare proprio quegli interessi al cui soddisfacimento detti rapporti erano funzionali » (Cass. 8 settembre 2003, n. 13071, in motivazione).
L’indirizzo in questione si preoccupa di stabilire i termini del coinvolgimento nell ‘i llecito da parte del terzo che non sia concorrente dell’imprenditore danneggiato. Tuttavia, esso non implica affatto che, in presenza della richiamata comunione di interessi, l’imprenditore che operi nel mercato del danneggiato, e che si giovi dell’operato del terzo, sempre risponda dell’illecito concorrenziale : una tale conclusione poterebbe infatti a configurar e un’ ipotesi di responsabilità oggettiva al di fuori dei casi contemplati dalla legge. All’opposto, gli atti di concorrenza sleale sono fonte di obbligazione risarcitoria soltanto se siano compiuti con dolo o colpa, anche se questa si presume, quando siano accertati gli atti di concorrenza (Cass. Sez. U. 20 dicembre 1967, n. 2979). Se si guarda, dunque, agli elementi costitutivi delle fattispecie di cui all’art. 2598 c.c., è necessario che l’imprenditor e concorrente abbia concorso scientemente al compimento dell ‘atto del terzo per lui vantaggioso o l’a bbia comunque approvato, prestandovi consapevole acquiescenza. La Corte territoriale ha nella sostanza escluso che ciò sia avvenuto.
– Con l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia impropriamente valutato la fattispecie della concorrenza parassitaria prospettata in giudizio: deduce di aver
lamentato che controparte aveva adottato per suoi prodotti le stesse misure dei prodotti RAGIONE_SOCIALE, realizzato moduli passacavo con la medesima forma a parallelepipedo dei moduli RAGIONE_SOCIALE, proposto i propri prodotti come identici a Roxtec, o come «tipo» Roxtec, e acquisito documenti di questa; assume che la Corte di appello aveva «proceduto ad un esame parcellizzato -peraltro estremamente rapido -di ciascuna di queste condotte e della documentazione prodotta», senza dedicare «neppure una riga della decisione ad una valutazione delle condotte sopra enucleate nel loro complesso».
Il Giudice distrettuale, con riguardo alla fattispecie di condotta parassitaria, ha richiamato quanto già osservato sulla forma funzionale dei moduli che sarebbero stato oggetto di imitazione e ha poi precisato che gli argomenti fondati su alcuni documenti prodotti dalle società appellanti non erano sati «minimamente illustrati» dalla difesa delle società RAGIONE_SOCIALE
Il motivo non risulta quindi aderente alla sentenza impugnata e si mostra perciò inammissibile.
E’ vero, infatti, che la figura della concorrenza parassitaria consiste in un comportamento il quale ben può realizzarsi in una pluralità di atti che, considerati isolatamente, possono essere leciti, ma presi, invece, nel loro insieme costituiscono un illecito, poiché rappresentano la continua e ripetuta imitazione delle iniziative del concorrente e, quindi, lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui (così Cass. 20 luglio 2004, n. 13423, non massimata in CED sul punto). Tuttavia, dalla pronuncia impugnata non si ricava che siano state poste in atto condotte suscettibili di comporsi in un quadro siffatto: l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale consta, infatti, della verifica de ll’insussistenza dell’imitazione servile e nella presa d’atto dell’inammissibilità delle deduzioni basate sui richiamati documenti. Quel che emerge è, dunque, un quadro segnato dalla completa assenza degli elementi costitutivi della concorrenza
parassitaria, intesa come continuo e sistematico operare di un imprenditore sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione delle iniziative di quest’ultimo.
8. Il nono mezzo si basa su ciò. La Corte di appello non avrebbe considerato che, perché sia integrato l’illecito di mendacio concorrenziale, si deve «esclusivamente guardare al fatto in sé che la comunicazione del concorrente contenga un fatto non vero in termini assoluti: fatto che possa poi influenzare la scelta dei consumatori al momento dell’acquisto del prodotto al quale la comunicazione fa riferimento, a prescindere dalla circostanza che l’affermazione mendace integri anche gli estremi della violazione di una (ulteriore e distinta) norma di legge».
La censura riguarda il tema dell’apposizione, su l materiale pubblicitario di RAGIONE_SOCIALE, della locuzione « halogen free ».
La Corte di appello ha sul punto rilevato che il c.t.u. aveva accertato che la norma tecnica CEI EN 50642 era applicabile in Italia dal 1 novembre 2018, non potendo essa quindi riguardare prodotti esistenti e testati prima di tale data; ha rammentato il Giudice del gravame che sui prodotti venduti in Italia dal 1 novembre 2018 in poi non erano state svolte analisi di laboratorio e che queste riguardavano prodotti esistenti e testati prima di tale data; ha aggiunto che in ogni caso il consulente aveva constatato che a decorrere dal 20 novembre 2018 RAGIONE_SOCIALE aveva eliminato dai propri prodotti la dicitura « halogen free ».
Il motivo appare fondato.
Costituisce atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art 2598, n. 3, c.c., la pubblicità menzognera, che si sostanzia in affermazioni false circa le qualità essenziali del prodotto e idonee a trarre in inganno i consumatori sviandoli nel giudizio comparativo e nelle scelte alternative offerte dal mercato (Cass. 29 novembre 1978, n. 5641; cfr. pure Cass. 18 maggio 1971, n. 1460). Nel caso in esame, la Corte di appello non ha smentito che sul materiale pubblicitario di RAGIONE_SOCIALE fosse presente la
dizione « halogen free », dando anzi atto che la società si era impegnata a rimuoverla (circostanza che la stessa Corte di merito ha reputato inidonea a determinare una cessazione di materia del contendere sul punto). A fronte di ciò, l’avvento di una normativa pubblicistica esplicante il metodo attraverso cui determinare il contenuto di alogeni nei sistemi di canalizzazione e accessori per cavi costituiti da materiali polimeri -di una normativa che precisi, cioè, quando i suddetti elementi possano essere dichiarati privi di alogeni – non vale ad escludere il mendacio concorrenziale, accertabile mediante test di laboratorio, c onsistente nell’aver l’imprenditore concorrente rappresentato, nel periodo in cui non era vigente detta normativa, la circostanza non vera dell’essere i prodotti commercializzati « halogen free ».
9. – Col decimo motivo si lamenta che la Corte di appello pur ritenendo che la normativa indicata da RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata dunque applicabile ai moduli passacavo di RAGIONE_SOCIALE, avrebbe poi contraddittoriamente rigettato la domanda di concorrenza sleale per violazione di norme pubblicistiche, così disapplicando la norma CEI 1117 VI, Allegato F, invocata in causa, la quale stabiliva in modo perentorio che i passacavi non debbano contenere alogeni.
Il motivo è inammissibile.
Esso si fonda sul valore prescrittivo della richiamata disposizione CEI, che per certo non è una norma giuridica, tanto meno una norma giuridica di rango primario. Poiché la ricorrente non può invocare il principio iura novit curia (del resto inapplicabile anche alle norme giuridiche secondarie: per tutte, Cass. 20 luglio 2018, n. 19360), il mezzo di censura, che non è corredato da alcuna trascrizione dell’invocata disciplina, risulta essere carente di spec ificità. Proprio in quanto non si è in presenza di una norma giuridica, è poi escluso che il motivo di impugnazione possa tradursi , come vorrebbe l’istante, in una censura che investa, in via immediata, l’ attività interpretativa della
Corte di appello avente ad oggetto la nominata prescrizione.
10. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale RAGIONE_SOCIALE lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art . 112 c.p.c. per aver la Corte di appello erroneamente ritenuto inammissibile il motivo di appello incidentale e statuito l’accertamento, in primo grado, del compimento di atti di concorrenza sleale per denigrazione in capo ad essa ricorrente.
Col primo motivo di appello incidentale RAGIONE_SOCIALE aveva censurato la sentenza di primo grado con riguardo alla parte in cui era stata accolta la domanda di condanna per concorrenza sleale per appropriazione di pregi e agganciamento, basata su due documenti recanti comunicazioni riferite ai propri prodotti in cui erano state utilizzate le espressioni «alternative a Roxtec» e « comparable to Roxtec ». La Corte di appello ha rilevato che il Tribunale aveva accertato la sola domanda basata sulla denigrazione e che ciò determinava « l’inammissibilità del motivo dal punto di vista formale». Osservato che «la difesa dell’appellante incidentale comunque censurato il rilievo assegnato a determinati documenti», la detta Corte ha chiarito che le mail di cui ai docc. XXI e XXII potevano essere valutate nel giudizio e ha negato che RAGIONE_SOCIALE fosse costretta a riferirsi a RAGIONE_SOCIALE nelle sue comunicazioni: non rispondeva infatti al vero, secondo la Corte di appello, che la detta società era l’unico player nel settore dal 1990, dal momento che nel mercato operavano tre altre società.
11. – La censura è inammissibile.
La ricorrente per incidente lamenta che la Corte di appello abbia respinto la censura da essa proposta sulla base di «motivi non dedotti a fondamento della domanda»: e tale proposizione è non comprensibile, visto che il Giudice distrettuale si è pronunciato, come è ovvio, non sulle domande delle parti, ma su di un preciso motivo di appello ; l’assunto è oltretutto palesemente carente di specificità, visto che WallMax non ha riprodotto il contenuto della domanda da cui era scaturita la statuizione
del Tribunale che qui interessa, e la doglianza avrebbe dovuto essere fatta valere con l’appello, non col ricorso per cassazione. La ricorrente incidentale deduce, poi, che la Corte di appello avrebbe ritenuto di «confermare una pronuncia in realtà inesistente»: ma sul punto il ricorso incidentale non si mostra aderente all’impugnata pronuncia; come si legge in questa, il Tribunale accolse la domanda riconvenzionale delle società RAGIONE_SOCIALE limitatamente al profilo concernente la comunicazione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di informazioni non veritiere circa la funzionalità ed economicità dei prodotti di questa rispetto a quelli di controparte (cfr., in particolare, pag. 16 della sentenza di appello) e ciò emerge, del resto, anche dallo stralcio della pronuncia di primo grado trascritta nel corpo del motivo.
– In conclusione, va accolto il nono motivo del ricorso principale, deve essere respinto il settimo e vanno dichiarati inammissibili i restanti. Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
– La sentenza impugnata deve essere dunque cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di Milano, che deciderà in diversa composizione e statuirà sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il nono motivo del ricorso principale, rigetta il settimo e dichiara inammissibili i restanti motivi del detto ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione