Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3215 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3215 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
Oggetto: concorrenza sleale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22690/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1792/2023, depositata il 6 settembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 6 settembre
2023, di reiezione del l’ appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni per atti di concorrenza sleale in relazione a uno storno di dipendenti;
il giudice di appello ha riferito che a fondamento della domanda introduttiva del giudizio l’attrice aveva allegato che : contemporaneamente alla costituzione della convenuta e nel periodo immediatamente successivo, nonché alla disdetta da parte del l’editore svizzero RAGIONE_SOCIALE (titolare di una partecipazione totalitaria al capitale della RAGIONE_SOCIALE) di un contratto ultradecennale in essere per la distribuzione in Italia del Test di Rorschach, si era verificato un esodo di dipendenti dalla soci età (all’epoca RAGIONE_SOCIALE che rivestivano ruoli strategici ed apicali dell’intera organizzazione aziendale verso la convenuta medesima, la quale, inoltre, tramite il sig. NOME COGNOME suo ex direttore editoriale, aveva ha portato avanti un’opera di sviamento della clientela, sottraendole relazioni con clienti e fornitori e rapporti contrattuali con questi;
ha, poi, dato atto che il giudice di prime cure aveva respinto la domanda attorea evidenziando che non vi era prova né dello storno di dipendenti e, tanto meno, del l’allegato relativo danno, né della sottrazione di rapporti contrattuali, né, infine, della sottrazione di clientela;
ha, quindi, disatteso i motivi di gravame confermando la decisione di primo grado;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
-quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione, falsa ed errata
interpretazione e applicazione dell’art. 115 c od. proc. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che essa attrice non aveva assolto all’onere di prendere posizione sui fatti ritenuti rilevanti e ai quali era stato fatto esplicito riferimento nella decisione di primo grado;
-evidenzia, in proposito, che nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., aveva «richiama integralmente quanto già dedotto ed argomentato nel proprio atto di citazione» e osservato che «controparte mette in atto una strategia difensiva piuttosto prevedibile: a) mettere in discussione il nesso di causalità e la consequenzialità tra le dimissioni e l’assunzione presso Hogrefe; b) ridimensionare la portata dello storno; c) sminuire, svilire il livello professionale dei dipendenti stornati, riducendoli a figure poco qualificate o di mera manovalanza; d) dipingere il precedente rapporto di lavoro come una sorta di … inferno da cui scappare».
conclude che l ‘indicazione precisa, puntuale e provata di quanto accaduto, opposta alla ricostruzione di controparte, costituisce inequivoca e pacifica contestazione specifica delle deduzioni avverse;
il motivo è inammissibile;
parte ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto corretta la decisione di primo grado che aveva rilevato la mancata presa di posizione, specifica e puntuale, delle allegazioni della convenuta in ordine a circostanze ritenute rilevanti ai fini del giudizio;
orbene, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare non solo la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, ma anche il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell ‘invocato art. 115 cod.
proc. civ. (cfr. Cass. 29 maggio 2024, n. 15058; Cass. 22 maggio 2017, n. 12840);
-può, in ogni caso, osservarsi che l’ accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero di una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è riservato al giudice di merito nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo rimesso (cfr. Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680);
con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione, falsa ed errata interpretazione e applicazione dell’art. 2598 c od. civ., nonché l’ omesso esame di fatti decisivi e controversi;
evidenzia, in particolare, che in relazione al passaggio di dipendenti «chiave» della RAGIONE_SOCIALE alla società convenuta appena costituita, la Corte territoriale «non ha in alcun modo preso in considerazione l’evidente condotta complessiva di COGNOME, qualificata da un palese animus nocendi , posta in essere con l’ausilio dell’ex direttore editoriale ed oggi socio e Amministratore Delegato della stessa società resistente, NOME COGNOME», esecutiva di un complessivo disegno distrattivo posto in essere servendosi di mezzi e di tecniche non conformi ai principi di correttezza professionale;
contesta la mancata valutazione delle modalità del passaggio dei dipendenti dall’una all’altra impresa , della quantità e della qualità del personale stornato, delle difficoltà ricollegabili alla sostituzione del personale trasmigrato e dei metodi adottati per indurre i dipendenti a passare all’impresa concorrente ;
il motivo è inammissibile;
-la Corte d’appello ha, sul punto, ritenuto che le ragioni della interruzione del rapporto di lavoro in essere tra la società attrice e il dott. COGNOME erano da rinvenirsi nel non idilliaco rapporto personale che nel corso del tempo si era venuto ad instaurare tra quest’ultimo e
l’amministratore delegato della prima nominato nel 2006, tale da indurre il medesimo dott. COGNOME a recedere dal rapporto di lavoro in essere e, a seguito di trattative con la RAGIONE_SOCIALE e alla costituzione della società costituita -non ancora esistente al momento della cessazione del rapporti di lavoro con l’attrice a farsi assumere dalla neocostituita società;
ha aggiunto che le successive dimissioni di altri dipendenti erano circoscritte a un numero limitato di unità, non erano state indotte anzitempo dal dott. COGNOME «sortendo equivalente verosimiglianza l’ipotesi che esse siano risultate quale conseguenza di autonome valutazioni operate da detti dipendenti, venuti a conoscenza delle decisioni del COGNOME e del suo nuovo percorso lavorativo e professionale» ed essendo state in alcuni casi precedute da trattative instauratesi a seguito di rivendicazioni non solo economiche da parte di detti dipendenti non soddisfatte, e che i dipendenti dimissionati erano stati sostituiti da unità interne, senza che sia stata fornita prova di incremento di costi, anche indiretti, di formazione;
orbene, si osserva che diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice di appello ha valutato le modalità del passaggio dei dipendenti dall’una all’altra impresa, nonché la quantità e la qualità del personale stornato e gli effetti derivanti da tale passaggio per la società attrice;
sotto tale profilo, in realtà, la doglianza si risolve in una contestazione della valutazione degli elementi probatori effettuati dal giudice di merito che, tuttavia, non può essere sindacata per cassazione in relazione alla violazione o falsa applicazione della legge, costituendo un accertamento a lui riservato (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
quanto alla censura per vizio motivazionale, si evidenzia che nella specie ricorre una ipotesi di cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., per cui è onere del ricorrente
indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
parte ricorrente non ha assolto siffatto onere, per cui opera la preclusione all’esame della censura prospettata derivante dalla richiamata disposizione normativa;
può, in ogni caso, rilevarsi che il motivo omette di indicare in modo puntuale il fatto storico-naturalistico asseritamente non valutato per cui, anche sotto profilo, la censura non può essere esaminata;
con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione, falsa ed errata interpretazione e applicazione dell’art. 2598 , n. 3, cod. civ., nonché l’ omesso esame di fatti decisivi e controversi, per aver la sentenza impugnata ritenuto che, con riferimento alla dedotta sottrazione di rapporti contrattuali, i test oggetto di tali rapporti (con esclusione del test COMFOR) non avessero ragion d’essere sul mercato italiano per l’attrice ;
-deduce, poi, quanto al test COMFOR, l’erroneità della sentenza di appello per aver escluso che la mancata prosecuzione delle trattative relative ai rapporti contrattuali avente a oggetto tale test fosse riconducibile all’operato della società convenuta o del dott. COGNOME nell’interesse di quest’ultima;
il motivo è inammissibile;
anche in questo caso la doglianza si risolve in una contestazione della valutazione degli elementi probatori effettuata dal la Corte d’appello -in particolare, del contenuto della corrispondenza intrattenuta dal dott.
COGNOME con i titolari dei diritti di sfruttamento economico delle opere da pubblicare -che, come evidenziato in precedenza, non può essere oggetto di censura per cassazione per violazione o falsa applicazione
della legge, attenendo a un accertamento riservato al giudice di merito; – analogamente, è preclusa la doglianza per vizio motivazionale in ragione del fatto che si è in presenza di una cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. e che parte ricorrente non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse , così non assolvendo all’onere della prova sul medesimo gravante;
con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione, falsa ed errata interpretazione e applicazione dell’art. 2598 , n. 3, cod. civ., nonché omesso esame di fatti decisivi e controversi del giudizio, per aver la sentenza impugnata escluso lo sviamento di clientela dedotto in relazione all’invio da parte del dott. NOME COGNOME suo ex dipendente poi assunto dalla convenuta, di una missiva agli ex clienti d ell’attrice di prodotti concernenti il test di Roscharch;
-evidenzia, in proposito, di aver ampiamente dimostrato documentalmente che la convenuta, per il tramite del dott. NOME, aveva inviato a tutti gli indirizzi della lista clienti di RAGIONE_SOCIALE una circolare con una proposta commerciale in cui si faceva riferimento a condizioni «immutate» rispetto a quelle fino a quel momento offerte dalla medesima RAGIONE_SOCIALE;
il motivo è inammissibile;
sul punto la Corte territoriale ha accertato che la missiva era stata inviata a un solo interlocutore, che a sua volta la aveva girata alla attrice, e che, comunque, la lista clienti era nota o facilmente accessibile agli esperti ed agli operatori del settore e non era stata sottoposta a misure ragionevolmente idonee a garantirne la segretezza e a conferirne valore economico;
la doglianza aggredisce solo la prima delle due riportate rationes decidendi e, inoltre, lo fa senza rispettare il requisito per la formulazione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge
consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito -il quale ha affermato che la missiva era stata inviata solo a un operatore e non a tutti gli ex clienti dell’attrice quale termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
va poi ribadito quanto affermato in sede di esame del secondo e del terzo motivo in ordine alla preclusione alla censura per vizio motivazionale per doppia conforme, non superata dalla dimostrazione che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello siano diverse;
-con l’ultimo motivo la ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione, falsa ed errata interpretazione e applicazione dell’art. 191 e ss. cod. proc. civ., nonché l’ omesso esame di fatti decisivi e controversi del giudizio, in relazione alla pronuncia di assorbimento della domanda di risarcimento dei danni derivanti dallo storno dei dipendenti e dei rapporti contrattuali, nonché dallo sviamento di clientela, lamentando la mancata considerazione delle conseguenze economiche estremamente negative derivanti da tali condotte;
il motivo è inammissibile;
la resistenza delle rationes decidendi della sentenza impugnata poste a fondamento della ritenuta insussistenza delle denunciate condotte illecite fa venir meno l’interesse della ricorrente all’accertamento dei danni derivanti da tali condotte, in quanto insuscettibile di determinare l’accoglim ento della domanda risarcitoria proposta;
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente
alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale de l 14 gennaio 2025.