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Concorrenza sleale online: negozio fisico e e-commerce

Una società operante nella vendita di elettronica tramite negozi fisici ha citato in giudizio altre aziende dello stesso consorzio per concorrenza sleale, accusandole di usare informazioni promozionali riservate per vendere gli stessi prodotti online a prezzi inferiori. La Corte di Appello aveva respinto la domanda, negando un rapporto di concorrenza tra canali di vendita fisici e digitali. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, affermando un principio fondamentale sulla concorrenza sleale online: la competizione sussiste quando si mira a soddisfare lo stesso bisogno dei consumatori, indipendentemente dal canale di vendita utilizzato. Pertanto, un negozio fisico e un e-commerce sono concorrenti diretti.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Concorrenza Sleale Online: La Cassazione Equipara Negozi Fisici ed E-commerce

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale per il mondo del commercio: la concorrenza sleale online può esistere anche tra un’impresa che opera esclusivamente tramite negozi fisici e una che vende attraverso canali digitali. Questa decisione chiarisce che la distinzione tra mercato tradizionale e mercato online è ormai superata, poiché entrambi si rivolgono alla stessa clientela potenziale.

I Fatti del Caso

Una società specializzata nella vendita di prodotti di elettronica, socia di un importante consorzio nazionale, ha intrapreso un’azione legale contro altre aziende affiliate allo stesso gruppo. L’accusa era grave: le convenute avrebbero utilizzato informazioni commerciali riservate, ottenute grazie alla loro partecipazione al consorzio, per anticipare le campagne promozionali. In pratica, venute a conoscenza dei prezzi e dei prodotti in promozione, avrebbero messo in vendita online gli stessi articoli a condizioni ancora più vantaggiose, sottraendo così clientela alla società ricorrente.

Il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto l’illecito concorrenziale, ma la Corte di Appello aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici d’appello, non poteva esserci concorrenza tra chi opera su canali di vendita così diversi: da un lato il mercato dei punti vendita fisici, dall’altro quello digitale. Di conseguenza, ogni accusa di concorrenza sleale era stata respinta.

La Decisione della Corte e la Concorrenza Sleale Online

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della prima società, annullando la sentenza d’appello e stabilendo due principi di diritto fondamentali. La Corte ha affermato che il presupposto per la concorrenza non è l’identità del canale di vendita, ma la comunanza di clientela.

Questo concetto non si riferisce ai singoli acquirenti, ma all’insieme di consumatori che avvertono un medesimo bisogno di mercato. Se un consumatore cerca un prodotto elettronico, si rivolgerà a tutti gli operatori in grado di soddisfare tale bisogno, che siano essi negozi fisici o piattaforme di e-commerce. Pertanto, negare il rapporto di concorrenza tra questi due canali è un errore, poiché entrambi attingono allo stesso bacino di potenziali clienti.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha smontato la tesi della Corte d’Appello, spiegando che la modalità di commercializzazione di un prodotto non è decisiva per definire il rapporto di concorrenza. Ciò che conta è che il prodotto, attraverso canali di distribuzione diversi, sia indirizzato a chiunque avverta il medesimo bisogno e sia interessato ad acquistarlo. L’analisi del mercato non può basarsi su una rigida e anacronistica divisione tra canali di vendita, ma deve tenere conto della naturale osmosi tra le forme tradizionali e quelle più evolute di commercio.

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la prova del danno. Per configurare un illecito di concorrenza sleale, non è necessario dimostrare un danno economico attuale e quantificabile, come una contrazione del fatturato. È sufficiente la potenzialità o il pericolo di un danno. La condotta è illecita se è idonea, anche solo in potenza, a cagionare un pregiudizio al concorrente.

Infine, la Corte ha chiarito che l’illecito concorrenziale è un illecito di natura extracontrattuale (aquiliano). Pertanto, le argomentazioni relative a presunte violazioni di contratti di sublicenza o patti parasociali, pur rilevanti in altri contesti, non sono pertinenti per escludere la configurabilità della concorrenza sleale basata sulla violazione dei doveri di correttezza professionale.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha implicazioni pratiche di vasta portata. Sancisce che un’impresa con una rete di vendita esclusivamente fisica può agire legalmente contro un concorrente online per atti di concorrenza sleale. Questo principio adegua il diritto alla realtà di un mercato sempre più integrato, dove il consumatore si muove fluidamente tra canali fisici e digitali.

Le aziende devono quindi essere consapevoli che i loro obblighi di correttezza professionale si estendono a tutti i competitor che si rivolgono allo stesso target di clientela, indipendentemente dalla piattaforma utilizzata. La sentenza rafforza la tutela contro pratiche commerciali scorrette, riconoscendo che la vera arena competitiva è definita dai bisogni dei consumatori, non dalle insegne dei negozi o dagli URL dei siti web.

Un negozio fisico e un e-commerce che vendono gli stessi prodotti sono considerati concorrenti?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, sono in rapporto di concorrenza perché si rivolgono allo stesso insieme di consumatori che hanno il medesimo bisogno di mercato, indipendentemente dal canale di distribuzione utilizzato.

Per dimostrare la concorrenza sleale è necessario provare di aver subito un calo di fatturato?
No. La Corte ha ribadito che per la configurazione dell’illecito concorrenziale non è necessaria la prova di un pregiudizio economico attuale. È sufficiente la potenzialità o il pericolo che la condotta illecita possa causare un danno.

L’uso di canali di vendita diversi (online vs. fisico) esclude il rapporto di concorrenza?
No, al contrario. La sentenza chiarisce che la diversità dei canali di vendita non esclude il rapporto di concorrenza. Ciò che determina la concorrenza è il fatto di rivolgersi alla medesima clientela per soddisfare bisogni identici o simili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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