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Concorrenza sleale: no se l’azienda è inattiva

Un’impresa di onoranze funebri in liquidazione ha citato in giudizio una nuova ditta concorrente, gestita dal figlio di un socio, per concorrenza sleale. Il Tribunale di Torino ha respinto la domanda, stabilendo che non può esserci concorrenza sleale se l’impresa attrice è inattiva da tempo e la sua ripresa è improbabile, anche se formalmente ancora esistente. Inoltre, le condotte del convenuto, come l’uso del proprio cognome e la scelta di sedi vicine, sono state ritenute legittime e non idonee a creare confusione.

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Concorrenza Sleale: Quando l’Inattività di un’Azienda Annulla l’Illecito

La disciplina sulla concorrenza sleale tutela la correttezza nei rapporti tra imprenditori, sanzionando chi agisce in modo da danneggiare gli altri con mezzi non conformi ai principi della buona fede commerciale. Ma cosa accade se una delle due imprese, pur esistendo formalmente, è di fatto inattiva e in stato di liquidazione? Una recente sentenza del Tribunale di Torino offre un’analisi dettagliata, stabilendo che la prolungata inattività di un’azienda rende improbabile un suo ritorno sul mercato e, di conseguenza, fa venir meno il presupposto stesso della concorrenza.

I Fatti del Caso: Conflitto tra Imprese Funebri

La vicenda vedeva contrapposte due imprese di onoranze funebri. La società attrice, in stato di liquidazione dal dicembre 2020, lamentava una serie di atti di concorrenza sleale posti in essere da una nuova ditta individuale, il cui titolare era il figlio di uno dei suoi soci. Le accuse erano precise: l’uso di un nome e di un’insegna che potevano creare confusione con la storica attività dell’attrice, la pubblicizzazione online che evocava una continuità aziendale, l’apertura di una sede in uno stabile contiguo e l’indebito sviamento di clientela.

La ditta convenuta si difendeva su due fronti. In primo luogo, eccepiva la nullità della procura all’avvocato, sostenendo che un’azione legale non rientrasse tra gli atti di ordinaria amministrazione consentiti a una società in liquidazione. Nel merito, negava ogni illecito, affermando che non potesse esistere un rapporto di concorrenza con una società di fatto inattiva e che le proprie scelte commerciali, come l’uso del cognome nella ditta e la localizzazione della sede, fossero legittime e sufficientemente distintive per evitare qualsiasi confusione nel pubblico.

Il Presupposto del Rapporto Concorrenziale per la Concorrenza Sleale

Il Tribunale ha prima affrontato e respinto l’eccezione processuale, chiarendo che un’azione legale volta a tutelare il valore di avviamento di una società rientra tra gli atti finalizzati alla conservazione del patrimonio sociale, ammessi anche durante la liquidazione.

Successivamente, il collegio si è concentrato sul cuore della questione: l’esistenza di un rapporto di concorrenza. Per configurare un illecito di concorrenza sleale, è indispensabile che tra il soggetto attivo (chi compie l’atto) e quello passivo (chi lo subisce) esista una “comunanza di clientela”, anche solo potenziale.

Il Tribunale ha riconosciuto che, grazie alla riforma del diritto societario (art. 2487-ter c.c.), una società può sempre revocare lo stato di liquidazione. Questo, in astratto, la mantiene nel novero delle imprese “potenzialmente in conflitto”. Tuttavia, questa potenzialità non può essere una mera astrazione giuridica. La ripresa dell’attività deve essere “ragionevolmente probabile”.

Nel caso specifico, la società attrice versava in uno stato di prolungata inattività da anni, aveva chiuso le sue unità locali, rimosso le insegne e non approvava un bilancio dal 2017. Questi elementi, secondo i giudici, rendevano la probabilità di un suo ritorno sul mercato talmente bassa da essere considerata “improbabile”. Di conseguenza, è stato escluso il presupposto fondamentale del rapporto concorrenziale, sufficiente di per sé a rigettare le domande.

Le Motivazioni della Decisione

Nonostante l’assenza del presupposto concorrenziale fosse già decisiva, il Tribunale ha voluto esaminare nel merito anche le singole condotte contestate, ritenendole comunque infondate.
1. Uso del nome e dell’insegna: L’inclusione del cognome del titolare nella ditta è un obbligo di legge. Inoltre, l’aggiunta di altri elementi distintivi (nel caso di specie, “San Michele”) e un’insegna con caratteristiche grafiche e cromatiche completamente diverse da quella dell’attrice sono stati considerati elementi idonei a escludere il rischio di confusione.
2. Prossimità della sede: L’apertura di un’attività in prossimità di un concorrente non è, di per sé, un atto di concorrenza sleale. Diventa illecito solo se accompagnato da altre pratiche volte a creare un collegamento ingannevole. In questo caso, la scelta della localizzazione era giustificata da ragioni di mercato (disponibilità di immobili idonei) e la ditta convenuta aveva adottato tutte le misure necessarie (nome e insegna distintivi) per differenziarsi.
3. Comunicazione online: I richiami a una generica “esperienza familiare” sul sito web sono stati giudicati troppo vaghi per creare un collegamento illecito con la precedente attività della società attrice, ormai cessata.
4. Sviamento di clientela: Le accuse di storno di clienti e uso di risorse aziendali sono state ritenute generiche e non provate.

Le Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Torino stabilisce un principio di notevole importanza pratica: una società in liquidazione e di fatto inattiva difficilmente può lamentare atti di concorrenza sleale. Affinché l’illecito sia configurabile, non basta la mera esistenza giuridica dell’impresa, ma è necessaria una probabilità concreta e ragionevole che questa possa tornare a operare sul mercato. In assenza di tale prospettiva, viene a mancare il rapporto concorrenziale che è il fondamento della tutela prevista dall’art. 2598 del codice civile. Questa decisione ribadisce che il diritto non tutela posizioni astratte, ma interessi concreti, valutando la realtà fattuale dell’operatività aziendale.

Una società in stato di liquidazione può intentare una causa per concorrenza sleale?
Sì, può farlo. Secondo il Tribunale, un’azione legale volta a proteggere il valore dell’avviamento e del patrimonio sociale è considerata un atto di gestione conservativa, pienamente compatibile con le finalità dello stato di liquidazione.

Quando esiste un rapporto di concorrenza con un’impresa inattiva e in liquidazione?
Un rapporto di concorrenza esiste non solo quando le imprese sono attive, ma anche quando la concorrenza è potenziale. Tuttavia, la sentenza chiarisce che la possibilità per un’impresa in liquidazione di tornare operativa deve essere “ragionevolmente probabile”. Una prolungata inattività, la chiusura delle sedi e la mancanza di bilanci approvati possono rendere questa probabilità così bassa da escludere il rapporto concorrenziale.

Aprire un negozio vicino a un concorrente è sempre un atto di concorrenza sleale?
No. L’apertura di un punto vendita in prossimità di un concorrente non costituisce, di per sé, un illecito. Lo diventa solo se si associa ad altre pratiche (es. nome simile, insegna confondibile, messaggi ingannevoli) volte a far credere al pubblico che vi sia un collegamento tra le due imprese. Se l’imprenditore adotta misure idonee a distinguere la propria attività, la scelta della localizzazione è legittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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