Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3392 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3392 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22226 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso gli ultimi due;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 2510/2023 depositata il 1 agosto 2023 della Corte di appello di Milano.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, società appartenenti all’omonimo gr uppo, specializzato nella progettazione, produzione e distribuzione di sistemi di sigillatura di cavi e tubi diretti a proteggere e isolare ambienti da agenti esterni, hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima nella qualità di distributore europeo dei prodotti di RAGIONE_SOCIALE, deducendo che le convenute avevano compiuto atti di concorrenza sleale, per imitazione servile confusoria, per appropriazione di pregi e agganciamento, per condotta parassitaria e per denigrazione, e avevano inoltre contraffatto alcuni marchi e modelli di cui era titolare RAGIONE_SOCIALE
Hanno quindi domandato accertarsi sia il compimento di atti di concorrenza sleale sia la contraffazione dei marchi e dei modelli, disporsi l’inibitoria alle convenute quanto alla prosecuzione delle attività illecite poste in essere, ordinarsi il ritiro dal commercio e la distruzione dei prodotti delle convenute e del materiale pubblicitario o promozionale ad essi relativo, la condanna delle stesse evocate in giudizio al risarcimento dei danni e alla retroversione degli utili dell’attuata contraffazione, oltre che la pubblicazione dell ‘ emananda sentenza su quotidiani e riviste e la fissazione di una penale per l’ inosservanza o il ritardo nell’esecuzione di quanto fosse statuito.
RAGIONE_SOCIALE nel costituirsi, ha resistito alle pretese azionate contro di essa e ha proposto domande riconvenzionali dirette alla declaratoria di nullità dei titoli di proprietà industriale fatti valere e all’accertamento degli illeciti concorrenziali posti in essere dalle società attrici, con condanna di queste ultime al risarcimento del danno.
Le società RAGIONE_SOCIALE hanno dichiarato di rinunciare agli atti del giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e il Tribunale ha dichiarato estinto il procedimento con riguardo al rapporto processuale intercorrente tra le attrici e la detta convenuta.
In esito al giudizio di primo grado il Tribunale di Milano ha poi accertato il compimento di atti di concorrenza sleale per imitazione servile posti in essere da RAGIONE_SOCIALE, disponendo la conseguente inibitoria, ha respinto le ulteriori domande delle società attrici e ha dichiarato la nullità delle privative dedotte in giudizio.
– La sentenza di primo gra do è stata fatta oggetto di gravame sia da RAGIONE_SOCIALE che dalle società RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza del 1 agosto 2023 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, ha respinto tutte le domande proposte dalle originarie attrici.
3 . ─ Avverso tale sentenza hanno proposto un ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE su undici motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La ricorrente ha depositato memoria.
Il Pubblico Ministero ha chiesto respingersi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I motivi di ricorso si riassumono come segue.
Primo motivo: nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 183 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. Si censura la sentenza della Corte di appello di Milano per aver erroneamente qualificato come fatti primari, soggetti alle preclusioni stabilite per le allegazioni, fatti in realtà secondari, dedotti a dimostrazione di fatti primari tempestivamente allegati, deducibili anche oltre le suddette preclusioni, e per non aver di conseguenza erroneamente considerato numerosi documenti in quanto ritenuti inerenti a fatti primari, quando invece essi inerivano a fatti secondari.
Secondo motivo: nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.. Ci si duole che la sentenza
impugnata abbia preteso che venisse fornita una prova diretta degli illeciti di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, parassitaria e per denigrazione senza dare ingresso nel presente giudizio alla prova indiziaria, disapplicando l’art. 2729 c.c..
Terzo motivo: violazione o falsa applicazione degli artt. 2598, n. 1, c.c. e 32 Cost., in relazione alla domanda di concorrenza sleale per imitazione servile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Si imputa al Giudice distrettuale di avere commesso un errore di diritto nell’individuare il pubblico di riferimento rispetto al quale valutare il rischio di confondibilità ai fini dell’accertamento dell’ illecito di concorrenza sleale per imitazione servile: in particolare, le ricorrenti lamentano sia stato impropriamente ritenuto che, nel caso di prodotti destinati a diverse categorie e fasce di pubblico, solo una di queste categorie e fasce -nella specie quella degli acquirenti professionali specializzati -possa assumere rilievo, a dispetto del fatto che altre categorie e fasce di pubblico possano invece confondersi.
Quarto motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 1, c.c., disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per imitazione servile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Con questo mezzo si denuncia l’ errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel credere che l’apposizione sul prodotto del segno distintivo denominativo del concorrente imitante escluda di per sé la sussistenza di un illecito di concorrenza sleale per imitazione servile.
Quinto motivo: omesso esame di un fatto decisivo nel decidere la domanda di concorrenza sleale per imitazione servile ai sensi dell’art. 2598, n. 1, c.c., in applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Con questo mezzo si censura la sentenza della Corte di appello per avere mancato di considerare un fatto decisivo, provato da documenti anch’essi decisivi e parimenti non valutati, consistente nella dimostrata riconduzione, da parte della quasi totalità del pubblico di riferimento, del segno costituito da cerchi concentrici neri, alternati a cerchi di altri
colori, partendo da un tondo centrale nero, alla ricorrente Roxtec quale segno distintivo dei suoi prodotti e della sua attività.
Sesto motivo : violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c., disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Con questo mezzo si censura la sentenza della Corte di appello per aver ritenuto che un illecito di concorrenza sleale per appropriazione di pregi possa ritenersi integrato solo nel caso in cui la vanteria del concorrente sia mendace, e non anche nel caso di agganciamento parassitario non mendace con cui tuttavia si sfrutti indebitamente la notorietà e l’avviamento del concorrente.
Settimo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Il Giudice distrettuale avrebbe escluso che possano integrare illecito concorrenziale gli atti posti in essere da soggetti terzi che si trovano in una particolare relazione con il concorrente e che obiettivamente agiscono nell’interesse di quest’ultimo.
Ottavo motivo: violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c., disciplinante la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. . Si censura la sentenza della Corte di appello per aver escluso che la sistematica copiatura di tutti i prodotti del concorrente possa costituire un atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi e agganciamento per il solo fatto che la medesima condotta possa integrare allo stesso tempo gli estremi anche della concorrenza sleale parassitaria ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c..
Nono motivo : violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 3, c.c., con specifico riferimento alla fattispecie di concorrenza sleale parassitaria, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. . Si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che per integrare l’illecito di
concorrenza sleale parassitaria le singole condotte imitative del concorrente siano in sé illecite, mentre ben possono essere, ciascuna in sé considerata, lecite, e per aver conseguentemente omesso di valutare le condotte imitative di WallMax unitariamente e nel loro complesso.
Decimo motivo : violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 3, c.c. in relazione alla fattispecie di concorrenza sleale parassitaria ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. . L’ errore di diritto imputato alla Corte di appello consiste nell’ aver essa ritenuto che, perché sia integrato l’illecito di concorrenza sleale parassitaria , sarebbe necessario che le condotte del concorrente siano poste in essere in un tempo immediatamente successivo all’adozione delle stesse da parte del concorrente, così da escludere che tale illecito sia configurabile ove gran parte dei prodotti o delle iniziative imitati risultino sul mercato da tempo risalente; si deduce che, specialmente nel caso di concorrenza parassitaria c.d. sincronica, rilevano due dati: che i prodotti e le iniziative imitati diano ancora una utilità e un vantaggio competitivo all’imprenditore vittima dell’illecito ; che l’autore dell a condotta concorrenziale tragga dal proprio comportamento un indebito beneficio.
Undicesimo motivo : violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c., in relazione alla fattispecie di concorrenza sleale per denigrazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Ci si duole che la sentenza impugnata abbia escluso che l’equiparazione del proprio prodotto al prodotto di un concorrente possa integrare anche un atto di concorrenza sleale per denigrazione: si rileva che questa equiparazione può essere screditante per il concorrente, e ciò a maggior ragione allorché si equipari un prodotto di qualità inferiore a un prodotto altrui di qualità superiore.
2. – Il primo motivo è inammissibile.
La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto allegati tardivamente, oltre i termini di cui all’art. 183, com ma 6, nn. 1 e 2, c.p.c., taluni dei fatti posti a fondamento delle domande
attrici.
Le ricorrenti evocano Cass. 23 gennaio 2023, n. 1997, secondo cui il divieto per il giudice di trarre dai documenti ritualmente prodotti la conoscenza di fatti non allegati dalle parti riguarda soltanto i fatti principali, e cioè i fatti posti dalle parti a sostegno delle loro domande e delle loro eccezioni, e non riguarda, invece, i fatti secondari -rilevanti nel processo soltanto quali elementi di conoscenza, dai quali risalire logicamente all’accertamento dei fatti principali -, poiché tale divieto è finalizzato ad evitare che il giudice, analizzando il materiale probatorio, supplisca alle carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere di indicare precisamente i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Assumono le società istanti che taluni documenti che la Corte di appello ha reputato prodotti tempestivamente sarebbero da qualificarsi «come inerenti a fatti secondari e dunque dovevano essere considerati nel decidere le domande formulate in causa da COGNOME».
Il motivo non coglie la ratio decidendi dell’impugnata statuizione, dal momento che la Corte di merito non ha affermato che i fatti secondari desumibili dai detti documenti (fatti dedotti in mera funzione probatoria di fatti primari) erano stati oggetto di tardiva allegazione. Ha invece rilevato che specifiche condotte, integranti fatti costitutivi degli illeciti concorrenziali lamentati (quali la presentazione di prodotti RAGIONE_SOCIALE come identici a quelli di RAGIONE_SOCIALE o la prospettazione ai professionisti del settore dell’intercambialità dei moduli RAGIONE_SOCIALE con quelli RAGIONE_SOCIALE: fatti principali, dunque) erano state allegate oltre i termini processuali deputati a regolare la definizione del thema decidendum . L’essere i detti documenti rappresentativi di determinati fatti non toglie che questi ultimi, quale elemento costitutivo degli illeciti concorrenziali posti a fondamento delle domande proposte, andassero allegati tempestivamente.
3 . -Il secondo mezzo si risolve nella sollecitazione a una revisione del giudizio di fatto riservato al giudice del merito.
Le società istanti lamentano, in sintesi, che non si sia dato ingresso alla prova per presunzioni e menzionano plurimi documenti da cui si sarebbero potuti ricavare indizi quanto agli illeciti concorrenziali oggetto di causa. Tuttavia, come è noto, « e presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice » ex art. 2729, comma 1, c.c.; e in tale prospettiva questa Corte ha avuto modo di evidenziare che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 5 agosto 2021, n. 22366, la quale precisa, poi, che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio; cfr. pure: Cass. 26 febbraio 2020, n. 5279; Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961; sempre con riferimento alla prova per presunzioni, cfr., di recente, non massimate in CED sul punto: Cass. 30 luglio 2024, n. 21416; Cass. 23 luglio 2024, n. 20429; Cass. 10 giugno 2024, n. 16091).
4. -Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono inammissibili.
Le ricorrenti censurano anzitutto, col terzo mezzo, il passaggio della sentenza impugnata in cui la Corte di appello, con riguardo all’il lecito di concorrenza sleale per imitazione servile di un modulo di sigillatura (per il quale il Tribunale aveva riconosciuto fondata la domanda della società RAGIONE_SOCIALE) e di altri prodotti (per i quali il Giudice di primo grado aveva invece disatteso la pretesa azionata), ha osservato che il giudizio di confondibilità deve essere formulato con riguardo alla percezione della clientela cui il prodotto è destinato. Secondo le società ricorrenti tale giudizio andava condotto prendendo in considerazione non i soli acquirenti dei prodotti di cui si lamentava l’imitazione servile,
ma tutti i soggetti che venivano in contatto con esso.
Le società istanti, col quarto motivo, sottopongono poi a critica l’affermazione per cui, sempre a proposito dell’imitazione servile, la Corte distrettuale ha rilevato che la confondibilità tra i prodotti era ulteriormente «esclusa anche per il fatto che nel prodotto RAGIONE_SOCIALE è vistosamente impresso il nome ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , mentre nel prodotto RAGIONE_SOCIALE è vistosamente impresso il nome ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ; pertanto, è davvero inverosimile che un tecnico del settore possa confondere il modulo di sigillatura prodotto da RAGIONE_SOCIALE con quello prodotto da RAGIONE_SOCIALE». Si deduce che in presenza di una imitazione che cade sul complesso degli elementi individualizzanti del prodotto, non è sempre determinante, per escludere la confondibilità, l’apposizione di seg ni distintivi indicanti la reale provenienza del bene.
Col quinto mezzo si fa infine questione dell’omesso esame del fatto decisivo e si deduce che, ove la Corte distrettuale avesse preso in considerazione alcuni documenti «non avrebbe mai concluso che ‘ la caratteristica individualizzante del modulo di Roxtec è costituita dal tondo centrale nero, da cui si sviluppa l’alternanza di cerchi concentrici neri e azzurri (e non genericamente neri e di qualunque altro colore) fino a terminare con l’involucro este rno azzurro ‘», come in vece affermato nella sentenza impugnata.
La Corte di appello ha escluso la concorrenza sleale per imitazione servile sulla base di argomenti – autonomamente idonei a sorreggere la decisione circa il detto illecito – che sono ulteriori rispetto a quelli censurati: come la rilevanza funzionale dell’alternanza dei colori nel modulo di RAGIONE_SOCIALE e la non confondibilità dei prodotti in ragione delle differenze cromatiche che li connotavano. Va quindi fatta applicazione del principio per cui qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali
rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (per tutte: Cass. Sez. U. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 18 giugno 2019, n. 16314; Cass. 4 marzo 2016, n. 4293).
La censura di cui al quinto motivo è vieppiù inammissibile in quanto verte sul mancato apprezzamento della prova documentale da cui si sarebbe dovuto ricavare il fatto decisivo oggetto di omesso esame: fatto indicato nella «riconduzione a Roxtec di tutti i prodotti che presentino un’alternanza di cerchi neri con cerchi di diverso colore (non necessariamente azzurri), partendo da un tondo centrale nero». Come è del tutto evidente, si è qui in presenza non di un fatto, quanto di un giudizio; e tale giudizio è contrastante con quello espresso dalla Corte di merito, secondo cui «la caratteristica individualizzante del modulo di Roxtec è costituita dal tondo centrale nero, da cui si sviluppa l’alternanza di cerchi concentrici neri e azzurri (e non genericamente cerchi concentrici neri e di qualunque altro colore)». La doglianza si colloca quindi di fuori dalla fattispecie di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. : tale norma concerne infatti l’o messo esame di un fatto storico, principale o secondario (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054), mentre l’esame e la valutazione dei documenti di causa, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (per tutte: Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056).
5 . -Il sesto motivo attiene alla concorrenza sleale per appropriazione di pregi e investe la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistente tale illecito «esclusivamente quando il concorrente si vanti di un pregio, di una qualità dei prodotti o dell’attività del concorrente che in realtà lo stesso non possiede, vale a dire esclusivamente quando la vanteria sia mendace», mentre esso ricorrerebbe in tutte le ipotesi «in cui un soggetto si propone al pubblico equiparandosi ad un concorrente, agganciandosi a quest’ultimo al fine
di ottenere un vantaggio concorrenziale».
La censura è declinata avendo riguardo a due episodi: l’essersi in RAGIONE_SOCIALE qualificata in un documento (che la Corte di appello ritiene peraltro destinato ai suoi distributori, è quindi interno alla sua organizzazione) come «alternativa a RAGIONE_SOCIALE» e la presentazione di un listino prezzi in cui «vengono indicati i prodotti RAGIONE_SOCIALE a cui corrispondono i prodotti RAGIONE_SOCIALE».
Ora, la condotta di «appropriazione di pregi», contemplata dall’art. 2598, comma 1, n. 2, c.c., è integrata dal vanto operato da un imprenditore circa le caratteristiche della propria impresa, mutuate da quelle di un altro imprenditore, tutte le volte in cui detto vanto abbia l’attitudine di fare indebitamente acquisire al primo un merito non posseduto, realizzando una concorrenza sleale per c.d. agganciamento, quale atto illecito di mero pericolo (così Cass. 13 luglio 2021, n. 19954; cfr. pure Cass. 7 gennaio 2016, n. 100).
La Corte di merito ha osservato, in base a una lettura qui non sindacabile delle risultanze probatorie, che nei due documenti non vi era alcuna equiparazione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE a quelli RAGIONE_SOCIALE: in tal modo ha escluso che la stessa abbia operato un indebito agganciamento all’impresa concorrente.
Il motivo è dunque infondato.
6 . – Il settimo motivo che – come in precedenza accennato censura la sentenza impugnata per aver disatteso il principio secondo cui l’illecito conc orrenziale può essere posto in essere da parte di chiunque si trovi, rispetto all’imprenditore avvantaggiato dal comportamento lesivo, in una particolare relazione, per effetto della quale la sua attività possa ritenersi obiettivamente svolta nell’interesse del concorrente, verte sul passaggio della sentenza in cui si esamina la condotta posta in essere da un «soggetto giuridico autonomo diverso da RAGIONE_SOCIALE»: viene in questione la presentazione del listino dei prezzi di cui si è detto esaminando il sesto motivo.
Il mezzo è inammissibile.
Stante il mancato accoglimento del precedente motivo, la condotta di cui qui si dibatte non può considerarsi, nella sua oggettività, fatto costitutivo della concorrenza sleale per appropriazione di pregi: qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 26 febbraio 2024, n. 5102; Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).
Per completezza mette conto di aggiungere quanto appresso.
Per la giurisprudenza di questa Corte, esiste responsabilità soli dale dell’imprenditore concorrente e del terzo non concorrente quando quest’ultimo agisca per conto di un concorrente del danneggiato, o comunque in collegamento con lo stesso (Cass. 6 giugno 2012, n. 9117 Cass. 9 novembre 2011, n. 13882; Cass. 11 aprile 2001, n. 5375): il terzo si deve quindi trovare in una relazione particolare con l’imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far ritenere che l’attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo (Cass. 12 luglio 2019, n. 18772).
Ciò posto, la Corte di appello non ha disatteso tale principio, in quanto ha rettamente conferito rilievo alla mancata allegazione del rapporto corrente tra il soggetto terzo e RAGIONE_SOCIALE.
7 . – L’ottavo motivo è infondato.
La Corte di Milano ha affermato che l’imitazione di una gamma di prodotti non integra la fattispecie della concorrenza sleale per appropriazione di pregi e in base alla giurisprudenza citata al § 5 tale enunciato si rivela corretto.
8 . -Col nono motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la concorrenza sleale parassitaria.
Il Giudice distrettuale ha esaminato le diverse condotte denunciate a tale riguardo dalle odierne ricorrenti e ha spiegato per quale ragione ciascuna di esse era da considerarsi lecita. In particolare, e in sintesi, ha osservato: che i cataloghi e i video promozionali di RAGIONE_SOCIALE erano differenti da quelli di RAGIONE_SOCIALE; che nei cataloghi della controricorrente non veniva mai affermato, contrariamente a quanto dedotto, che i prodotti RAGIONE_SOCIALE potessero essere utilizzati in tutti i settori in cui operava RAGIONE_SOCIALE; che con riferimento alla produzione degli oggetti diversi dal modulo di sigillatura multi-diametro, il Tribunale aveva accertato l’ insussistenza dell’imitazione servile e tale accertamento non era stato impugnato; che neppure il detto modulo poteva essere considerato oggetto di imitazione servile; che le forme dei moduli di sigillatura dovevano ritenersi inoltre funzionali, e quindi liberamente riproducibili; che non era prova che RAGIONE_SOCIALE avesse avviato sistematici contatti con gli agenti di Roxtec; che non aveva fondamento quanto denunciato dalle appellanti circa la proposta di RAGIONE_SOCIALE a un cliente indiano con riguardo a un prodotto sviluppato da RAGIONE_SOCIALE per il medesimo cliente, visto che, in primo luogo, l ‘ imitazione di una sola iniziativa commerciale non poteva costituire atto di concorrenza sleale parassitaria, difettando del requisito della sistematicità, in secondo luogo, non risultava provato che il prodotto personalizzato realizzato dall’odierna controricorrente fosse in vendita nell’Unione europea e, in terzo luogo, RAGIONE_SOCIALE aveva fornito una spiegazione ragionevole della vicenda, la quale non era stata specificamente contestata da COGNOME.
Le ricorrenti lamentano l’assenza di una valutazione complessiva del comportamento posto in atto da RAGIONE_SOCIALE.
Ora, è senz’altro vero che la figura della concorrenza parassitaria consiste in un comportamento il quale ben può realizzarsi in una pluralità di atti che, considerati isolatamente possono essere leciti, ma
presi, invece, nel loro insieme costituiscono un illecito, poiché rappresentano la continua e ripetuta imitazione delle iniziative del concorrente e, quindi, lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui (così Cass. 20 luglio 2004, n. 13423, non massimata in CED sul punto). Tuttavia, dalla pronuncia impugnata non si ricava che siano state poste in atto condotte suscettibili di comporsi in un quadro siffatto: l’accertamento c ompiuto dalla Corte territoriale restituisce, infatti, una immagine segnata dalla completa assenza degli elementi costitutivi della concorrenza parassitaria, intesa come continuo e sistematico operare di un imprenditore sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione delle iniziative di quest’ultimo.
Il motivo va dunque disatteso.
9 . – Col decimo motivo si impugna il passo della motivazione della sentenza impugnata in cui si afferma che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai allegato che RAGIONE_SOCIALE ebbe a commercializzare i prodotti subito dopo il loro lancio sul mercato così da sfruttare le utilità particolari derivanti dalle nuove iniziative commerciali dell’imprenditore concorrente.
Le ricorrenti evocano il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui nella concorrenza parassitaria l’imitazione può considerarsi illecita soltanto se effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), là dove per «breve» deve intendersi quell’arco di tempo per tutta la durata del quale l’ideatore della nuova iniziativa ha ragione di attendersi utilità particolari (di incassi, di pubblicità, di avviamento) dal lancio della novità, ovvero fino a quando essa è considerata tale dai clienti e si impone, quindi, alla loro attenzione nella scelta del prodotto (per tutte: Cass. 12 ottobre 2018, n. 25607; Cass. 20 luglio 2004, n. 13423, cit.).
La censura è priva di decisività, posto che un errore di diritto nell’apprezzamento del profilo in questione è privo di conseguenze in mancanza di comportamenti riconducibili alla concorrenza parassitaria:
comportamenti specificamente riferiti, dalla sentenza, all’imitazione dei prodotti, la quale, come si è visto, è stata esclusa per la connotazione funzionale delle forme dei moduli di sigillatura e per il giudicato interno caduto sull’accertamento che riguardava gli altri oggetti di cui si disputava.
Il motivo è dunque inammissibile.
10 . – L’undicesimo mezzo verte sulla concorrenza sleale per denigrazione. Si censura l’affermazione secondo cui « sostenere che un bene, oggettivamente di qualità inferiore, è equiparabile ad altro bene, oggettivamente di qualità superiore, non costituisce certamente una denigrazione di quest’ultimo, ma costituisce semmai un’appropriazione dei suoi pregi». L’assunto si colloca in uno scenario processuale in cui, come ricorda la Corte di appello, COGNOME si era limitata ad affermare, del tutto genericamente, che l’equiparazione fatta da RAGIONE_SOCIALE dei suoi prodotti a quelli di Roxtec costituiva denigrazione.
L ‘art. 2598, n. 2, considera atti di concorrenza sleale la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito: ebbene, l’ equiparazione dei prodotti del concorrente a quelli propri ne implica non la degradazione ma semmai l’esaltazione , posto che un tale accostamento è evidentemente finalizzato a rimarcare l’elevato livello qualitativo dell ‘ offerta di entrambi i concorrenti.
11 . – Il ricorso è respinto.
12 . – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater ,
del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione