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Concorrenza sleale: i limiti dell’imitazione parassitaria

Una società leader nel settore dei sistemi di sigillatura ha citato in giudizio un’azienda concorrente per atti di concorrenza sleale, tra cui imitazione servile, appropriazione di pregi e concorrenza parassitaria. Dopo una sentenza di primo grado parzialmente favorevole, la Corte d’Appello ha respinto tutte le domande. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, rigettando il ricorso e chiarendo i rigorosi presupposti per configurare le diverse fattispecie di concorrenza sleale, in particolare quella parassitaria, che richiede un’imitazione sistematica e continuativa delle iniziative altrui, non essendo sufficienti singoli atti leciti.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Concorrenza Sleale: I Confini tra Imitazione Lecita e Sfruttamento Parassitario

La linea di demarcazione tra lecita ispirazione e concorrenza sleale è spesso sottile e complessa, specialmente quando si parla di imitazione di prodotti e strategie commerciali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti necessari per configurare le diverse forme di illecito concorrenziale, come l’imitazione servile, l’appropriazione di pregi e, in particolare, la concorrenza parassitaria. Il caso analizzato vede contrapposte due aziende del settore dei sistemi di sigillatura industriale, con la Corte che ha delineato con precisione quando un comportamento imitativo cessa di essere una normale dinamica di mercato per diventare un illecito sanzionabile.

I Fatti di Causa

Una società leader nella progettazione e produzione di sistemi di sigillatura per cavi e tubi citava in giudizio un’azienda concorrente, accusandola di aver posto in essere una serie di atti di concorrenza sleale. Le contestazioni erano molteplici e spaziavano dall’imitazione servile e confusoria dei prodotti, all’appropriazione di pregi, dalla condotta parassitaria fino alla denigrazione. L’azienda attrice lamentava inoltre la contraffazione di alcuni suoi marchi e modelli.

Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto le domande, accertando un’ipotesi di concorrenza sleale per imitazione servile e disponendo l’inibitoria, ma respingendo le altre richieste. La situazione si è ribaltata in secondo grado: la Corte d’Appello, riformando la decisione precedente, ha respinto integralmente tutte le domande dell’azienda originariamente attrice.

Contro questa sentenza, l’azienda ha proposto ricorso per Cassazione, articolato in ben undici motivi, sostenendo errori di diritto e di procedura da parte della Corte territoriale.

L’Analisi della Cassazione sulla concorrenza sleale

La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto tutti i motivi del ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. L’analisi dei giudici di legittimità ha toccato punti cruciali del diritto della concorrenza.

Imitazione Servile e Pubblico di Riferimento

Per quanto riguarda l’imitazione servile, la Corte ha ribadito che il rischio di confusione deve essere valutato in relazione al pubblico di riferimento. Nel caso di specie, trattandosi di prodotti tecnici destinati ad acquirenti professionali specializzati, la Corte ha ritenuto inverosimile che un tecnico del settore potesse confondere i prodotti delle due aziende, anche in virtù del fatto che su ciascun prodotto era chiaramente apposto il rispettivo marchio. La sola somiglianza esteriore non è sufficiente se il pubblico a cui il prodotto si rivolge è in grado di distinguerne la provenienza.

Appropriazione di Pregi e Denigrazione

Anche le censure relative all’appropriazione di pregi e alla denigrazione sono state respinte. La Cassazione ha chiarito che presentarsi come “alternativa” a un concorrente o creare listini di comparazione non integra automaticamente un illecito. Anzi, secondo la Corte, l’equiparazione del proprio prodotto a quello altrui, se non basata su affermazioni false, può essere finalizzata a evidenziare l’elevato livello qualitativo di entrambi, esaltando il proprio prodotto piuttosto che denigrando quello del concorrente.

La Concorrenza Sleale Parassitaria: un’analisi complessa

Il fulcro della decisione riguarda la concorrenza sleale parassitaria. I ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello non avesse valutato nel loro complesso tutte le condotte imitative, anche quelle singolarmente lecite. La Cassazione ha confermato che la concorrenza parassitaria consiste in un comportamento sistematico e continuo di un’impresa che si pone sulla scia di un concorrente, imitandone le iniziative in modo da sfruttarne il lavoro e la creatività. Tuttavia, ha precisato che, nel caso in esame, dall’analisi della Corte di merito non emergevano gli elementi costitutivi di tale illecito. La Corte territoriale aveva esaminato le singole condotte (imitazione di cataloghi, prodotti, iniziative commerciali) e le aveva ritenute lecite o non provate. L’assenza di una pluralità di atti illeciti o di un quadro complessivo di sfruttamento sistematico ha portato a escludere la configurabilità della concorrenza parassitaria.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha sottolineato l’importanza della distinzione tra ‘fatti principali’ (gli elementi costitutivi della domanda, che devono essere allegati tempestivamente) e ‘fatti secondari’ (elementi probatori). Molte delle doglianze dei ricorrenti si basavano su fatti e documenti prodotti tardivamente, che la Corte ha ritenuto correttamente non considerati dai giudici di merito per la definizione del thema decidendum.

Inoltre, la Corte ha ribadito che la valutazione delle prove, incluse quelle presuntive, è riservata al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. Sulla concorrenza sleale parassitaria, la motivazione è stata chiara: per configurare questo illecito non è sufficiente una somma di atti individuali, ma è necessario che questi, nel loro insieme, rivelino una strategia costante e deliberata di sfruttamento del lavoro altrui. La pronuncia impugnata, secondo la Cassazione, aveva correttamente escluso tale scenario, restituendo un’immagine segnata dalla completa assenza degli elementi costitutivi della concorrenza parassitaria.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre importanti spunti pratici per le imprese. Insegna che, per agire efficacemente contro la concorrenza sleale, è fondamentale non solo provare i singoli atti, ma anche dimostrare, soprattutto nel caso della concorrenza parassitaria, l’esistenza di un disegno unitario e sistematico volto a sfruttare le iniziative del concorrente. La semplice imitazione di un prodotto o di una strategia, se non genera confusione e se i singoli atti sono leciti, rientra nelle normali dinamiche competitive del mercato. La decisione rafforza la necessità di una solida base probatoria e di una corretta e tempestiva allegazione dei fatti in giudizio, confermando il rigore con cui la giurisprudenza valuta le accuse di illecito concorrenziale.

Quando l’imitazione di un prodotto costituisce concorrenza sleale per imitazione servile?
Costituisce imitazione servile quando la riproduzione delle caratteristiche del prodotto altrui è tale da generare un concreto rischio di confusione nel pubblico di riferimento circa la provenienza del bene. La presenza del marchio del concorrente imitatore sul prodotto e la particolare competenza del pubblico a cui è destinato (es. professionisti specializzati) possono escludere tale rischio.

Una serie di atti di per sé leciti può configurare concorrenza sleale parassitaria?
Sì, ma solo a determinate condizioni. La concorrenza parassitaria si configura quando un’impresa pone in essere un’imitazione continua, ripetuta e sistematica delle iniziative del concorrente. Non è sufficiente una somma di singoli atti leciti; è necessario che il loro insieme dimostri uno sfruttamento costante del lavoro e della creatività altrui.

Equiparare il proprio prodotto a quello di un concorrente è sempre un atto di denigrazione?
No. Secondo la Corte, l’equiparazione dei prodotti del concorrente a quelli propri non implica necessariamente una degradazione, ma può rappresentare un’esaltazione, poiché tale accostamento è finalizzato a rimarcare l’elevato livello qualitativo dell’offerta di entrambi. Non costituisce denigrazione se non si diffondono notizie o apprezzamenti idonei a determinare discredito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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