Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26573 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26573 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23761-2023 proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1348/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/05/2023 R.G.N. 3171/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte appello di Napoli, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da NOME avverso la sentenza del
Oggetto
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/07/2025
CC
tribunale di Napoli che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo richiesto per ottenere il pagamento del TFR, in accoglimento della domanda riconvenzionale svolta da RAGIONE_SOCIALE, aveva condannato NOME al pagamento quale condebitore in solido della somma di € 199.256,78 oltre accessori, in conseguenza dell’attività svolta in concorrenza, in violazione degli artt. 2104 e 2105 c.c. ed a titolo di risarcimento del danno per retribuzioni inutilmente corrisposte ai sensi dell’articolo 2033 c.c. a causa della mancanza della controprestazione lavorativa.
A fondamento della decisione la Corte d’appello ha rilevato che erano coperte da giudicato le domande azionate in via riconvenzionale riguardo ai buoni pasto ed al risarcimento per danno all’immagine non essendo state fatte oggetto di appello incidentale. Inoltre ha rilevato che era passato in giudicato a seguito della ordinanza n. 5081 del 2020 della Corte di cassazione la sentenza della Corte d’appello in merito alla legittimità del licenziamento intimato allo stesso COGNOME NOME per la concorrenza sleale e la violazione del dovere di fedeltà; la Corte ha affermato inoltre che alla luce delle prove testimoniali fosse provata la condotta di concorrenza sleale con violazione del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c. tenuto conto della circostanza che NOME svolgeva un’attività rilevante per la società e non essendo emersa – diversamente da quanto ribadito nell’atto di appello – alcuna ingerenza nel subappalto in questione del responsabile NOME.
In sostanza, i giudici di merito hanno confermato la tesi della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE secondo cui il lavoratore ora ricorrente, unitamente ad altri corresponsabili, avevano costituito, servendosi di prestanomi, un’altra società di vigilanza, la RAGIONE_SOCIALE, alla quale erano stati conferiti
in subappalto i servizi di vigilanza non armati appaltati dalla RAGIONE_SOCIALE per un prezzo orario del servizio superiore sia al costo di cui alla tabella ministeriale di riferimento per gli appalti del settore per l’anno 2015 e 2016, sia a quello per l’impiego di custodi di livello F del CCNL vigilanza. Era infatti emerso che i prezzi dei subappalti erano gonfiati di quel poco necessario per garantire un utile al NOME e agli altri corresponsabili. Nessuna ingerenza nel subappalto era emersa invece da parte del responsabile NOME, indicato dal lavoratore come deus ex macchina della società RAGIONE_SOCIALE.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME con sette motivi di ricorso ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva prima dell’udienza. Dopo la decisione, il Collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni previsto dalla legge.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2105, 1218, 1223, 1227, comma 2 c.c. , ex articolo 360 n.3 c.p.c., in quanto la conclusione del contratto di subappalto non era avvenuta all’insaputa della RAGIONE_SOCIALE bensì con il suo pieno avallo perché era stata condivisa o avallata da NOME, come emergeva dalla sentenza.
2.Con il secondo motivo, si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’autorizzazione da parte del NOME alla conclusione del contratto di subappalto.
2.1. I primi due motivi, da esaminare unitariamente per connessione, devono essere disattesi posto che non sottopongono a censura una tesi giuridica sostenuta dai giudici di merito bensì la diversa valutazione dei fatti operata dagli
stessi giudici circa il coinvolgimento e l’ingerenza del NOME , e suo tramite della RAGIONE_SOCIALE, che i giudici hanno motivatamente escluso, peraltro attraverso una doppia conforme pronuncia. Che il NOME fosse stato a conoscenza o meno, che abbia stabilito il prezzo o meno, configurano questioni di fatto che mirano al coinvolgimento della società e non certamente di diritto ed i motivi sono perciò inammissibili posto che la ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 36 0 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
3.Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. per avere la Corte d’appello confermato la condanna del COGNOME a pagare la somma di euro 209.464,36 a titolo di risarcimento dell’asserito danno derivante dalla conclusione del contratto di subappalto con la RAGIONE_SOCIALE; in particolare, secondo la Corte d’appello tale somma era il risultato della sottrazione complessiva del corrispettivo orario pari a euro 13 all’ora, applicato per il subappalto alla società RAGIONE_SOCIALE e del corrispettivo che sarebbe stato applicato dalla società opponente pari a euro 7,68 all’ora. Si sostiene da parte del ricorrente che manchi del tutto la prova del fatto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe fissato come prezzo orario del servizio un corrispettivo di euro 7,68 all’ora.
Anche tale motivo è all’evidenza inammissibile perché mira alla rivalutazione dei fatti di causa ed attiene alla entità del danno
che secondo la Corte d’appello era provato. In ogni caso non può predicarsi alcuna violazione dell’art. 2697 c.c. che può essere ipotizzata solo quando manchi la prova dei fatti e la causa viene decisa con applicazione della regola di giudizio, ponendosi a carico della parte l’onere della prova di cui non sarebbe gravata (v. ad es. sentenza n. 17313 del 19/08/2020); ma non anche quando il giudice abbia deciso la causa attraverso la valutazione delle acquisizioni istruttorie poichè in questo caso può essere ipotizzato solo un erroneo apprezzamento sulla valenza della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.
4.- Con il quarto motivo si afferma la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. ai sensi dell’articolo 360, numero 4 c.p.c. per avere la Corte d’appello confermato la condanna del COGNOME a restituire alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 10.530,56 a titolo di retribuzione indebitamente percepita, sul presupposto che la prova testimoniale espletata nel parallelo giudizio di impugnativa del licenziamento avrebbe confermato lo svolgimento da parte del COGNOME, durante il suo orario di lavoro, di prestazioni in favore della RAGIONE_SOCIALE per due volte a settimana per quattro ore al giorno, dal mese di aprile 2015 sino al 30 novembre 201.
4.1. Il motivo è parimenti inammissibile, avendo la Corte d’appello confermato la valutazione del danno da risarcire effettuata in primo grado in via equitativa e sulla base delle prove testimoniali, senza violare né l’art.115 né l’art.116 c.p.c. ; peraltro una censura relativa alla violazione e falsa applicazione delle norme in questione non può porsi nel giudizio di cassazione per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione ( Cass. n. 1229 del 17/01/2019).
5.- Con il quinto motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’inammissibilità della compensazione operata dal collegio con le somme dovute a titolo di TFR dalla RAGIONE_SOCIALE, in forza dell’articolo 1246, numero 3 c.c. e dell’articolo 545 c.p.c. eccepita anche in appello ex articolo 360, numero 4 c.p.c.
5.1. Il motivo non è fondato posto che la Corte d’appello non può aver violato l’art.112 c.p.c. essendosi motivatamente pronunciata sulla questione relativa alla inammissibilità della compensazione, ritenendola invece correttamente ammissibile trattandosi di compensazione impropria (Cass. n.13647/19).
6.- Con il sesto motivo, si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione alla mancata pronuncia del collegio in ordine alla censura formulata dal NOME al capo quinto dell’atto d’appello che si riferisce alla condanna solidale, quale debitore in solido.
6.1. Il motivo deve essere disatteso posto che la Corte d’appello ha pronunciato implicitamente e correttamente anche sull’esistenza della responsabilità integrale del ricorrente, secondo la regola generale posta dall’art. 1294 c.c. e dall’art.2055 c.c. in capo al corresponsabile solidale, avendo confermato in toto la pronuncia di primo grado.
Con il settimo motivo, in conseguenza dell’accoglimento del sesto motivo, si reitera la domanda di pagamento in proprio favore del TFR pari ad € 20.738,14.
7.1. Il motivo è infondato in conseguenza del rigetto del sesto motivo.
8.Per le ragioni esposte il ricorso deve essere complessivamente rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali come in dispositivo.
9.Sussistono altresì le condizioni per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 5000,00 per compensi e € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli altri oneri di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2000, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 10.7.2025
La Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME