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Concordato in continuità: la Cassazione riesamina

Una società in concordato in continuità si è vista respingere il piano dalla Corte d’Appello perché destinava i flussi di cassa futuri ai creditori chirografari prima di soddisfare integralmente i privilegiati. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8491/2024, non ha deciso nel merito ma ha ritenuto la questione di tale importanza da rimettere la causa in pubblica udienza, aprendo a un possibile ripensamento della giurisprudenza sul tema del concordato in continuità.

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Concordato in continuità: la Cassazione riesamina le regole sulla distribuzione degli utili

Con una recente ordinanza interlocutoria (n. 8491 del 28 marzo 2024), la Corte di Cassazione ha acceso un faro su una questione cruciale per il mondo delle crisi d’impresa: la gestione dei flussi di cassa nel concordato in continuità. La decisione di rinviare la causa a una pubblica udienza segnala la volontà di riconsiderare i principi consolidati, con possibili impatti significativi per le aziende che cercano di superare la crisi senza cessare l’attività.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata aveva presentato un piano di concordato preventivo basato sulla continuità aziendale. Il Tribunale di primo grado aveva approvato (omologato) il piano. Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria ha presentato reclamo, sostenendo che il piano violasse l’ordine di priorità dei creditori.

La Corte d’Appello ha accolto il reclamo, revocando l’omologazione. Il motivo? Il piano prevedeva di soddisfare, seppur parzialmente, i creditori chirografari (quelli senza garanzie) utilizzando i flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività, nonostante le risorse disponibili non fossero sufficienti a pagare integralmente i creditori privilegiati (come lo Stato). Secondo i giudici di secondo grado, questi flussi non potevano essere considerati “finanza esterna” e, pertanto, dovevano rispettare rigorosamente le cause di prelazione.

Il Ricorso in Cassazione e il problema del concordato in continuità

La società ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione. Il fulcro del ricorso si basa sull’interpretazione dell’art. 186-bis della legge fallimentare, la norma che disciplina specificamente il concordato in continuità.

Secondo la tesi difensiva, questa tipologia di concordato introduce una logica diversa rispetto alla liquidazione del patrimonio. Il valore di riferimento per tutelare i creditori privilegiati dovrebbe essere unicamente quello che otterrebbero in caso di vendita fallimentare dei beni esistenti al momento della domanda. Le maggiori risorse generate grazie alla prosecuzione dell’attività d’impresa costituirebbero un “surplus” che il debitore potrebbe distribuire più liberamente, anche a favore dei creditori chirografari, per favorire il successo del piano di risanamento.

La Decisione Interlocutoria della Suprema Corte

La Corte di Cassazione non ha emesso una sentenza definitiva sul caso. Ha invece pubblicato un’ordinanza interlocutoria, con la quale ha ritenuto la questione giuridica di particolare importanza e complessità. I giudici hanno riconosciuto che le argomentazioni della società ricorrente meritano un approfondimento, tanto da giustificare un possibile “ripensamento dei principi già affermati” in un precedente del 2012 (sentenza n. 9373).

Per questa ragione, la Corte ha disposto il rinvio della causa a una pubblica udienza, dove il dibattito potrà essere più ampio e approfondito prima di giungere a una decisione finale.

Le Motivazioni

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nella consapevolezza della delicatezza dell’equilibrio tra due principi fondamentali. Da un lato, vi è il principio della par condicio creditorum e il rispetto delle cause di prelazione (art. 2740 e 2741 c.c.), che impone di pagare prima i creditori privilegiati e poi, se restano risorse, i chirografari. Dall’altro, c’è la finalità stessa del concordato in continuità, introdotto dal legislatore per favorire la conservazione del valore aziendale e dei posti di lavoro, che si realizza proprio attraverso la generazione di nuova ricchezza.

La questione è se questa “nuova ricchezza” debba essere trattata come il patrimonio preesistente, e quindi soggetta alle rigide regole di priorità, oppure come un valore aggiunto la cui distribuzione può essere funzionale al successo del piano stesso, garantendo comunque ai creditori privilegiati un trattamento non inferiore a quello che riceverebbero dalla liquidazione. La Corte, rinviando la decisione, ammette che la risposta non è scontata e che la disciplina speciale del concordato in continuità potrebbe giustificare una deroga ai principi generali.

Le Conclusioni

L’ordinanza interlocutoria della Cassazione, pur non decidendo la controversia, ha un’enorme portata pratica. Segnala che l’interpretazione attuale, ritenuta troppo rigida da molti operatori, potrebbe essere superata. Una futura sentenza che accogliesse la tesi della società ricorrente renderebbe lo strumento del concordato in continuità molto più flessibile ed efficace. Permetterebbe di strutturare piani di risanamento più appetibili per tutti i creditori e aumenterebbe le possibilità di successo delle operazioni di salvataggio aziendale. Al contrario, una conferma dell’orientamento precedente ne limiterebbe l’applicazione, vincolando la distribuzione di ogni risorsa, anche futura, alle rigide regole della prelazione. Il mondo delle imprese in crisi attende con grande interesse l’esito della pubblica udienza.

Qual è la questione legale centrale di questa ordinanza?
La questione è se i flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività in un concordato in continuità possano essere distribuiti ai creditori chirografari anche se i creditori privilegiati non sono stati integralmente soddisfatti, a condizione che a questi ultimi sia garantito un pagamento non inferiore a quello che riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.

Perché la Corte d’Appello aveva respinto il piano di concordato?
La Corte d’Appello lo ha respinto perché riteneva che i flussi derivanti dalla continuità aziendale non fossero “finanza esterna”, ma parte integrante del patrimonio del debitore. Pertanto, la loro distribuzione doveva rispettare rigorosamente l’ordine delle cause di prelazione, che impone il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati prima di poter pagare quelli chirografari.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione con questo provvedimento?
La Corte di Cassazione non ha deciso nel merito la controversia. Con un’ordinanza interlocutoria, ha riconosciuto la rilevanza e la complessità della questione e ha rinviato la causa a una pubblica udienza per un esame più approfondito, segnalando la possibilità di rivedere la propria precedente giurisprudenza sull’argomento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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