Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 725 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 725 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5080/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato ex lege in ROMA INDIRIZZO presso la AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 144/2020 depositata il 18/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
– Il 21 marzo 2018 il Tribunale di Bergamo ha dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
– Il 12 luglio 2019 RAGIONE_SOCIALE ha presentato, in qualità di terzo assuntore, proposta di concordato che prevedeva, tra l’altro, la sua limitazione di responsabilità ai soli crediti definitivamente ammessi al passivo ed alle richieste d’insinuazione tardiva pendenti alla data di presentazione della proposta.
– I creditori interpellati hanno approvato la proposta a maggioranza.
– Il giudice delegato, con decreto del 21 gennaio 2020, preso atto dell’approvazione ha disposto darsene comunicazione a RAGIONE_SOCIALE con fissazione del termine del 20 febbraio 2020 per la proposizione di eventuali opposizioni.
– Il 30 gennaio 2020 RAGIONE_SOCIALE ha introdotto il procedimento di omologazione di cui all’articolo 129 della legge fallimentare.
– Il 20 febbraio 2020 l’Agenzia delle entrate ha spiegato opposizione all’omologazione del concordato, volendo insinuarsi tardivamente al passivo del fallimento di RAGIONE_SOCIALE per un
proprio credito complessivo che la ricorrente indica a pagina 3 del proprio ricorso in circa sessanta milioni di euro.
– Il Tribunale di Bergamo, con decreto del 6 maggio 2020, ha omologato il concordato fallimentare, così disattendendo l’opposizione dell’Agenzia delle entrate.
– La Corte d’appello di Brescia, con decreto del 18 gennaio 2021, ha respinto il reclamo dell’Agenzia delle entrate.
– A fondamento della decisione la Corte territoriale ha osservato:
-) non era contestato che le insinuazioni al passivo dell’amministrazione fossero successive al deposito della proposta di concordato fallimentare;
-) la seconda parte del quarto comma dell’articolo 124 della legge fallimentare assegna all’assuntore la facoltà di limitare l’impegno assunto alla soddisfazione dei creditori che in quel momento risultino già essere stati ammessi al passivo ovvero ne abbiano fatto richiesta, ancorché tardiva, o infine abbiano proposto opposizione avverso il decreto di esecutività del passivo fallimentare;
-) detta previsione, di carattere processuale, non incide sulla disciplina sostanziale in materia di privilegi e diritti reali di garanzia né confligge con il dettato del precedente terzo comma della stessa disposizione, che ribadisce il principio di priorità di soddisfazione dei creditori privilegiati, con possibilità di falcidia in funzione di quanto ricavabile dalla vendita dei beni o diritti oggetto della prelazione;
-) l’interpretazione accolta della menzionata norma non produce riflessi negativi sul piano dell’effettività della riscossione dei tributi e quindi del rispetto della disciplina eurounitaria e di quella costituzionale, non essendo prevista alcuna menomazione delle posizioni giuridiche attive dell’amministrazione finanziaria, la quale,
al pari di tutti gli altri creditori, è abilitata a far valere le proprie pretese in sede concorsuale;
-) per il caso che non si attivi per tempo, l’amministrazione non può pretendere un trattamento processuale differenziato rispetto a quello riservato agli altri creditori, dal momento che l’eventuale impossibilità di ottenere una proficua soddisfazione del proprio credito costituisce pregiudizio di mero fatto;
-) non è configurabile alcun conflitto di interessi, con riguardo alla votazione sulla proposta di concordato, per il pregiudizio che i creditori chirografari verrebbero a subire dall’eventuale partecipazione al riparto del credito privilegiato fatto valere dall’amministrazione in data successiva rispetto a quello di presentazione del concordato, dal momento che il giudizio da parte dei creditori ammessi al voto viene espresso sulla proposta di concordato così come formulata.
– Per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per tre mezzi.
– RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, mentre gli altri intimati, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non hanno spiegato difese.
– Sono state depositate memorie.
CONSIDERATO CHE
– Il ricorso contiene tre motivi.
13.1. – Con il primo motivo d’impugnazione, da pagina 16 a pagina 23, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 128, 167 e 168 della legge fallimentare e dei principi in tema di abuso del diritto, censurando il decreto impugnato nella parte in cui
ha ritenuto che il proponente potesse limitare il proprio impegno ai crediti conosciuti o conoscibili al momento della presentazione della proposta di concordato, senza considerare che da quest’ultima emergeva una piena consapevolezza dell’esistenza del credito erariale.
13.2. – Con il secondo motivo, da pagina 23 a pagina 29, la ricorrente deduce la falsa applicazione degli artt. 124, terzo e quarto comma, e 127 della legge fallimentare e dell’art. 2741 c.c., censurando il decreto impugnato per aver ravvisato nell’art. 124, quarto comma, una disposizione di natura processuale compatibile con i criteri dettati dalla legge delega.
13.3. – Con il terzo motivo, da pagina 29 a pagina 38, la ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 124 e 127 della legge fallimentare e dell’art. 53 Cost., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso che l’interpretazione letterale del quarto comma dell’art. 124 si ponga in contrasto con la disciplina eurounitaria e costituzionale.
RITENUTO CHE
14. – Il ricorso va respinto.
14.1. – Il primo mezzo è inammissibile.
Dal decreto impugnato non risulta che l’Agenzia delle entrate avesse sollevato alcuna censura in ordine all’abuso del diritto in tesi perpetratosi per effetto della proposta concordataria effettuata da RAGIONE_SOCIALE nella consapevolezza dell’esistenza di un credito in via di formazione a favore dell’amministrazione.
Orbene, per giurisprudenza di legittimità assolutamente pacifica (cfr. nelle rispettive motivazioni, tra le più recenti, Cass. n. 5131 del 2023 e Cass. n. 25909 del 2021), qualora con il ricorso per cassazione
siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il (motivo di) ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. Infatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio a quo, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; 7981/07; Cass. 16632/2010). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere – qui rimasto inadempiuto – di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000).
14.1.1. – Ciò esime dall’osservare che, intendendo per abuso del diritto l’esercizio di esso volto al perverso scopo di ledere un diritto altrui (p. es. di recente Cass. 8 febbraio 2023, n. 3764, concernente la fattispecie archetipica di abuso del diritto costituita dall’atto emulativo volto ad impedire l’esercizio di una servitù di passaggio), come nel caso del concordato preventivo proposto allo scopo di differire la dichiarazione di fallimento e non di regolare la crisi d’impresa (Cass. 12 marzo, 2020, n. 7117), non può certo discorrersi di abuso nel caso di proposta di concordato fallimentare effettuata in vista della realizzazione dell’effetto invece tipico, fisiologico, proprio del congegno istituito dall’ultimo comma della disposizione in esame, l’art icolo 124 della legge fallimentare, che si riassume, come subito si vedrà, nella traduzione in precetto normativo dell’inveterata regola sero venientibus ossa .
14.2. – Il secondo mezzo è infondato.
La censura proposta investe l’interpretazione dell’articolo 124, quarto comma, della legge fallimentare: l’amministrazione ricorrente sostiene in particolare che la lettura data dalla Corte d’appello determinerebbe l’alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione, in violazione, per di più, dei principi esposti nella legge delega.
Non è così.
14.2.1. – Il secondo periodo dell’ultimo comma dell’articolo 124 della legge fallimentare stabilisce che « il proponente può limitare gli impegni assunti con il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta »: e a dire il vero, il dato letterale, riferito ai « creditori ammessi al passivo », senza distinzione alcuna tra chirografari e muniti di prelazione, si esprime in modo del tutto inequivoco nel senso già indicato dalla Corte di merito, sicché, in un caso come quello in esame, il discorso potrebbe arrestarsi alla menzione dell’articolo 12 delle preleggi.
14.2.2. – Varrà nondimeno rammentare che la disposizione è stata inserita nella legge fallimentare con il decreto legislativo n. 169 del 2007.
In epoca precedente questa Corte aveva chiarito che l’assuntore nel concordato fallimentare si sottopone all’alea di dover pagare crediti non insinuati (secondo l’articolo 135 della legge fallimentare illo tempore vigente) e perciò ignorati al momento in cui assume le obbligazioni nascenti dal concordato, sicché dà il suo consenso ad un contratto aleatorio (Cass. 24 aprile 1963, n. 1080, la quale ne desumeva l’inapplicabilità dell’istituto della rescissione per les ione).
È per questo che si è in seguito diffuso, nella pratica, l’impiego, in sede di proposta di concordato fallimentare, della clausola diretta a limitare la responsabilità dell’assuntore ai soli crediti già ammessi al passivo al momento della proposta concordataria: clausola giudicata pienamente lecita secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 14 luglio 1965, n. 1491, mutando l’indirizzo già accolto da Cass. 30 maggio 1963, n. 1452; in seguito nel medesimo senso Cass. 6 luglio 1966, n. 1758; Cass. 18 maggio 1967, n. 1044; Cass. 6 giugno 1969, n. 1975; Cass. 18 febbraio 1972, n. 430; Cass. 22 luglio 1976, n. 2886; Cass. 21 maggio 1977, n. 2128; Cass. 26 aprile 1983, n. 2850; tra le meno remote, in seguito Cass. 25 febbraio 2011, n. 4698).
14.2.3. – Va da sé che l’ultimo comma dell’articolo 124, poc’anzi trascritto, si spiega quale recepimento del diritto vivente e trasformazione di esso in diritto vigente.
Il che, occorre comprendere, non è se non di riflesso funzionale alla realizzazione di un interesse del proponente il concordato, il quale può in tal modo circoscrivere la propria responsabilità nei confronti dei soli creditori già ammessi al passivo e di quelli tali in potenza ma non ancora in atto, né è funzionale, se non di riflesso, all’interesse del fallito a conseguire l’immediata liberazione: lo scopo primario della norma è altro, e sta cioè nel far sì che la massa dei creditori possa, con il loro consenso, essere nei limiti del possibile soddisfatta al più presto, di modo da voltare pagina e chiudere definitivamente l’episodio della crisi di impresa sfociata nel fallimento.
In quest’ottica, la ratio della previsione in esame, perfettamente conforme alla lettera della norma, non dovrebbe neppure aver bisogno di essere esplicitata, tanto il suo significato è intuitivo: se non vi fosse la norma poc’anzi trascritta, e se -come necessariamente accadrebbe secondo la prospettazione della ricorrente – neppure fosse possibile introdurre nella proposta
concordataria una clausola limitativa della responsabilità per sopravvenuti crediti muniti di prelazione, i proponenti il concordato ed in particolare gli assuntori, quale l’odierna controricorrente, semplicemente sparirebbero dallo scenario della crisi di impresa, o tutt’al più manifesterebbero disponibilità ad offrire ai creditori ben di meno di quanto non siano disposti ad offrire avendo la ragionevole certezza di quanto dovranno esborsare.
14.2.4. – Ben si spiega, allora, il citato ultimo comma dell’articolo 124, laddove, come si premetteva, non pone alcuna distinzione tra creditori chirografari e creditori privilegiati.
Né può valorizzarsi, nel senso indicato dall’amministrazione ricorrente, la previsione, contenuta nel comma precedente, concernente la soddisfazione (solo tendenzialmente) integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, eccettuata l’eventualità di incapienza del bene su cui insista la garanzia, nel qual caso il creditore munito di prelazione va soddisfatto nei limiti del valore di mercato del bene, senza, inoltre, che la possibile suddivision e dei creditori in classi possa alterare l’ordine delle legittime cause di prelazione.
La previsione del terzo comma dell’articolo 124, laddove consente che i creditori muniti di prelazione non vengano soddisfatti per l’intero solo e soltanto in caso di incapienza del bene, ed esclude che la suddivisione dei creditori in classi possa alterar e l’ordine delle cause di prelazione, opera difatti su un piano, sostanziale, del tutto diverso da quella del comma successivo, che è invece corollario dell’onere, incombente anche sui creditori privilegiati, di sottoporre a verifica, attraverso l’insinuaz ione al passivo, e cioè incanalando la pretesa nel processo, i propri crediti attraverso il procedimento introdotto dalla domanda di cui all’articolo 93 della legge fallimentare.
E cioè, poiché anche i creditori muniti di prelazione sono onerati della domanda di ammissione al passivo, senza di che rimangono ineluttabilmente esclusi dal concorso, è del tutto ovvio che, avendo il legislatore consentito di limitare la responsabilità d ell’assuntore in relazione alle risultanze dello stato passivo all’attualità (o entro certi limiti anche potenziali, con riguardo alle opposizioni e insinuazioni tardive già introdotte), la limitazione di responsabilità debba parimenti operare nei confronti di tutti coloro che al passivo non siano stati – neppure in itinere – ammessi.
Ciò non ha nulla a che vedere, come si sostiene invece dalla ricorrente, con una alterazione delle cause legittime di prelazione, proprio perché l’esclusione dei creditori non risultanti nemmeno in potenza dallo stato passivo non dipende dalla natura del credito, ma da null’altro che dall’inosservanza dell’onere gravante anche sui creditori muniti di prelazione di insinuarsi utilmente, nei termini fissati dall’ordinamento, al passivo. Tanto che, come stabilisce l’ultima parte dell’ultimo comma dell’articolo 124 della legge fallimentare, nel caso in cui operi il congegno esaminato, « verso gli altri creditori continua a rispondere il fallito », se non ricorrano i presupposti per l’esdebitazione, sicché i crediti di costoro mantengono, in linea di principio, le prelazioni di cui disponevano.
Di guisa che – se è consentito ricorrere ad un esempio – la previsione dettata dall’ultimo comma dell’articolo 124 della legge fallimentare incide sull’ordine delle legittime cause di prelazione allo stesso modo in cui ciò accade nell’ipotesi che il credit ore insinuatosi per un credito garantito da ipoteca di secondo grado riesca ciononostante a far proprio l’intero ricavato della vendita del bene ipotecato per avere il creditore ipotecario di primo grado omesso di far valere il proprio credito.
Dunque non vi è alcun contrasto tra il terzo ed il quarto comma dell’articolo 124 della legge fallimentare: il quarto comma stabilisce che il creditore munito di una legittima causa di prelazione non può
vedere falcidiato il proprio credito se il bene posto a garanzia è capiente, ma, ovviamente, sempre che egli si sia insinuato al passivo entro il termine contemplato dal successivo quarto comma, che fissa uno sbarramento orizzontale, e consente per così dire di tracciare una linea che, ponendo una preclusione di natura processuale, che non incide affatto sulla titolarità della prelazione, separa il prima dal dopo, così da favorire la conclusione della vicenda fallimentare attraverso l’intervento del concord ato fallimentare.
14.2.5. – Occorre aggiungere una precisazione.
Il disegno del legislatore ha una sua logica, tesa ad impedire, in un’ottica di componimento dei diversi interessi, per un verso che l’assuntore possa rimanere esposto al sopravvenire di impreviste passività, secondo quanto si è detto, ma per altro verso a negargli la chance di anticipare così tanto la sua iniziativa, da sbarrare indiscriminatamente la strada alle insinuazioni al passivo.
Deve cioè porsi l’accento sulla relazione che intercorre tra il primo comma dell’articolo 124 della legge fallimentare e l’ultimo comma del medesimo, nella parte qui rilevante. Il primo comma stabilisce che la proposta di concordato può essere presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purché sia stata tenuta la contabilità ed i dati risultanti da essa e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all’approvazione del giudice delegato. Ma siffatta disposizione, nel consentire di intraprendere la via del concordato fallimentare anche prima dell’esecutività dello stato passivo, non sta a significare che anche in tale ipotesi il proponente possa avvalersi della facoltà di limitare la propria responsabilità nei termini contemplati dall’ultimo comma.
E cioè la norma, laddove stabilisce che l’assuntore può limitare la sua responsabilità nei confronti dei soli « creditori ammessi al passivo
anche provvisoriamente », ivi compresi in ogni caso «quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta », richiede, se si vuole implicitamente, ma comunque necessariamente ed in modo del tutto inequivoco, il maturare di una scansione costituita dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo, di modo che la menzione dei « creditori ammessi al passivo anche provvisoriamente » non ha da essere intesa come riferita ai creditori risultanti dall’e lenco provvisorio di cui al primo comma della norma, ma a quei creditori i cui crediti non siano stati ancora definitivamente accertati, con la conseguente formazione del giudicato endofallimentare, e siano perciò da ritenere ammessi in via ancora provvisoria, per essere stati fatti oggetto di impugnazione o di revocazione, ai sensi dell’articolo 98 della legge fallimentare.
La clausola di limitazione della responsabilità non si applica dunque nelle proposte di concordato anteriori alla formazione dello stato passivo, cioè laddove vi sia l’elenco provvisorio dei creditori pur se vidimato dal giudice delegato, ossia approvato ai sensi del primo comma dell’articolo 124, bensì soltanto nei casi in cui lo stato passivo sia stato depositato.
E nel nostro caso il detto decreto è stato pacificamente pronunciato.
14.2.6. – Il ricorso è stato chiamato in pubblica udienza per il particolare rilievo nomofilattico della questione posta, in ragione della novità della questione.
Il che vuol dire che la questione che qui si va affrontando è nuova: ma ciò non significa che essa non sia mai neppure stata sfiorata, nella prospettiva che in questa sede si è sviluppata.
Non è superfluo rammentare, allora, che questa Corte ha difatti già avuto modo di osservare che « lo spirito della legge fallimentare di non apprestare particolari tutele ai creditori tardivi, i quali non hanno diritto di partecipare alle ripartizioni dell’attivo precedenti (art. 112
legge fall.), salvo che siano assistiti da cause di prelazione o dimostrino che il ritardo non è ad essi imputabile, con divieto di ripetizione di quanto già ripartito (art. 114 legge fall.). Nel concordato fallimentare è ulteriormente accentuata tale tendenza, essendo esclusi dal concorso non solo i creditori chirografari, ma anche quelli privilegiati che non abbiano presentato domanda di ammissione allo stato passivo al momento del deposito della proposta di concordato fallimentare » (Cass. n. 16804/2019, in motivazione).
14.2.7. – Tutto ciò, d’altronde, ben si armonizza con la delega di cui alla legge 14 maggio 2005, n. 80, la quale, all’articolo 1, sesto comma, n. 12, delegava tra l’altro il Governo a « modificare la disciplina del concordato fallimentare, accelerando i tempi della procedura … », evidente essendo che lo sbarramento temporale previsto dall’ultimo comma dell’articolo 124 è per l’appunto funzionale, come già si è avuto modo di dire, alla facilitazione e di qui accelerazione dei tempi della procedura.
Né coglie nel segno l’osservazione dell’amministrazione secondo cui nella legge delega « risulta assente qualsiasi riferimento alla possibilità di limitare la responsabilità del proponente solo in relazione ad alcune categorie di creditori »: è difatti cosa nota che il carattere vincolato della legislazione delegata, conseguente alla predeterminazione parlamentare dei principi e criteri direttivi, non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato nell’esercizio del potere che gli è stato affidato (le decisioni sono tutte della Corte costituzionale sentenze nn. 426/2008, 56/1971 e 1769/1961); e cioè, l’articolo 76 della Costituzione non è di ostacolo all’emanazione, in sede di attuazione della delega, di norme che, come nella specie, rappresentino un coerente sviluppo e un completamento dei principi indicati dal legislatore delegante; e cioè, le funzioni del delegato non possono essere limitate a una mera scansione linguistica delle
previsioni dettate dal delegante (sentenze nn. 10/2018, 278/2016, 194/2015, 146/2015, 98/2015, 229/2014, 47/2014, 219/2013, 426/2008, 98/2008, 341/2007, 426/2006, 174/2005, 199/2003 e 4/1992; ordinanze nn. 157/2013, 73/2012 e 213/2005), e dunque il legislatore delegato è libero di individuare e tracciare i necessari contenuti attuativi, secondo l’ordinaria sfera della discrezionalità legislativa (sentenza n. 44/1993), e di valutare le specifiche situazioni da disciplinare (sentenze nn. 174/2005, 308/2002 e 362/1995; ordinanze nn. 213/2005, 21/1998 e 321/1987), senza di che il legislatore delegato neppure vero legislatore sarebbe.
14.3. – È infondato il terzo mezzo.
Con esso la ricorrente prospetta una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 124, quarto comma, citato, per contrasto con l’articolo 53 Cost. e con il diritto eurounitario, sostenendo la necessità di un’interpretazione restrittiva della stessa, quanto meno in relazione ai crediti erariali, al fine di garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato, nonché di evitare un contrasto con il principio di effettività della riscossione dei tributi.
Ma la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità si colloca in evidente posizione ancillare rispetto alla premessa di cui si è dato conto: e cioè che il quarto comma dell’articolo 124 della legge fallimentare possiede un rilievo soltanto processuale, volto, come si diceva, a tracciare una linea orizzontale la quale consenta al proponente, in questo caso all’assuntore, di accedere consapevolmente al concordato fallimentare: e dunque la norma non tocca affatto il particolare rango che compete al credito derivante dal mancato pagamento di imposte dovute, quali volte ad una funzione di « garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato » (Corte cost. n. 281 del 2011), ma si limita a porre un limite temporale che cristallizza la situazione del passivo.
Sicché, in conclusione, non v’è ragione di deflettere dal ribadito principio secondo cui, per far valere il credito tributario nei confronti del fallimento, l’amministrazione finanziaria deve presentare l’istanza di insinuazione tardiva nel termine previsto dall’articolo 101 della legge fallimentare, senza che i diversi e più lunghi termini per la formazione dei ruoli e per l’emissione delle cartelle costituiscano di per sé ragioni di scusabilità del ritardo (Cass. 8 settembre 2015, n. 17787; Cass. 11 ottobre 2011, n. 20910).
15. – In conclusione può affermarsi il seguente principio: « La previsione del secondo periodo dell’ultimo comma dell’articolo 124 della legge fallimentare, in forza del quale il proponente può limitare gli impegni assunti con il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta, pone una preclusione processuale, destinata ad operare a condizione che lo stato passivo sia stato dichiarato esecutivo, la quale non confligge con il precetto dettato dal precedente terzo comma della medesima disposizione ».
16. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 40.200,00, di cui € 200,00 per esborsi ed il resto per diritti, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis . Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2023.