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Concordato con continuità: la Cassazione riesamina

Una società in crisi si è vista negare l’accesso al concordato con continuità perché la sua proposta prevedeva di pagare i creditori con i profitti futuri, senza rispettare l’ordine di prelazione. La Corte di Cassazione, con un’ordinanza interlocutoria, non ha deciso il caso nel merito ma, riconoscendo la rilevanza della questione e la possibilità di rivedere un precedente orientamento, ha rinviato la causa a una pubblica udienza per un esame più approfondito. Il punto focale è stabilire se i proventi derivanti dalla prosecuzione dell’attività aziendale debbano essere considerati ‘nuova finanza’ liberamente utilizzabile o se debbano rispettare le regole concorsuali classiche.

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Concordato con Continuità: la Cassazione Rimette in Discussione l’Uso dei Profitti Futuri

Il tema del concordato con continuità aziendale torna al centro del dibattito giurisprudenziale con una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il provvedimento in esame non risolve la controversia, ma pone le basi per un potenziale ripensamento su una questione cruciale: come devono essere utilizzati i proventi derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa? Possono essere considerati alla stregua di ‘finanza esterna’, e quindi svincolati dal rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, oppure devono sottostare alle rigide regole della par condicio creditorum? Analizziamo la vicenda.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore degli allestimenti presentava al Tribunale competente una domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale. Il piano proposto prevedeva di soddisfare i creditori utilizzando, tra le altre risorse, anche gli utili futuri generati dalla prosecuzione dell’attività.

Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda, ritenendo che la proposta violasse il divieto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione. Secondo i giudici di primo grado, i proventi della continuità aziendale non potevano essere assimilati a finanza esterna e, pertanto, dovevano essere distribuiti nel pieno rispetto dei diritti di privilegio dei creditori. A seguito dell’inammissibilità, veniva dichiarato il fallimento della società.

La società proponeva reclamo presso la Corte d’Appello, la quale, tuttavia, confermava la decisione del Tribunale. La Corte territoriale ribadiva che il principio dell’immodificabilità dell’ordine delle prelazioni, sancito dall’art. 160 della legge fallimentare, si applica anche nel contesto del concordato con continuità. La tesi della reclamante, che considerava i flussi di cassa futuri come un’entità separata dal patrimonio esistente al momento della domanda, veniva respinta.

Il Dibattito sul Concordato con Continuità e l’Ordine dei Creditori

La questione approda così in Corte di Cassazione. Il ricorso della società si fonda sull’idea che il concordato con continuità crei una sorta di separazione tra il patrimonio ‘cristallizzato’ al momento dell’apertura della procedura e le nuove risorse generate dalla prosecuzione del business. Queste ultime, secondo tale interpretazione, non sarebbero soggette al vincolo della par condicio creditorum e potrebbero essere impiegate più liberamente per soddisfare i creditori, anche quelli non privilegiati o strategici per la continuità stessa.

La Corte d’Appello aveva smontato questa tesi, affermando che i proventi della continuità non sono un apporto esterno, ma il frutto dell’attività dell’impresa debitrice. Di conseguenza, tali risorse rientrano a pieno titolo nel patrimonio destinato a soddisfare tutti i creditori secondo le regole concorsuali, comprese le prelazioni. Consentire una deroga significherebbe violare un principio cardine del diritto fallimentare.

Le Motivazioni dell’Ordinanza della Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, non entra nel merito della questione per dare una risposta definitiva. Piuttosto, prende atto della complessità e della rilevanza delle questioni sollevate. I giudici evidenziano che la soluzione del caso richiede una riflessione approfondita, che potrebbe portare anche a un ‘ripensamento dei principi già affermati’ in un precedente del 2012 (sentenza n. 9373).

Per questa ragione, il Collegio ha ritenuto opportuno non decidere la causa in camera di consiglio, ma rinviarla a una pubblica udienza. Questa scelta procedurale segnala la volontà della Corte di affrontare il tema con la massima ponderazione, ascoltando le argomentazioni delle parti in un contesto più formale e solenne, tipico delle questioni di particolare importanza o che potrebbero generare un mutamento di giurisprudenza.

Le Conclusioni: Quali Scenari per il Futuro?

L’ordinanza interlocutoria lascia aperti importanti interrogativi. La futura decisione della Corte di Cassazione a seguito della pubblica udienza avrà un impatto significativo sulla prassi del concordato con continuità. Se la Corte dovesse confermare l’orientamento tradizionale, verrebbe ribadita la rigidità delle regole sul rispetto delle prelazioni, limitando la flessibilità dei piani di ristrutturazione. Se, al contrario, dovesse aprire alla possibilità di considerare i flussi di cassa futuri come una risorsa più flessibile, simile alla finanza esterna, si aprirebbero nuovi scenari per le imprese in crisi, rendendo lo strumento del concordato in continuità potenzialmente più efficace per il salvataggio aziendale, pur con il rischio di sacrificare maggiormente le garanzie dei creditori privilegiati.

Perché la proposta di concordato con continuità è stata inizialmente respinta?
La proposta è stata respinta perché prevedeva di utilizzare i profitti derivanti dalla prosecuzione dell’attività per pagare i creditori senza rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione (come ipoteche e privilegi), violando un principio fondamentale del diritto fallimentare.

Qual è la questione giuridica centrale che la Corte di Cassazione dovrà decidere?
La questione centrale è se i proventi generati dalla continuazione dell’attività aziendale in un concordato debbano essere considerati parte del patrimonio del debitore, e quindi soggetti alle rigide regole di riparto tra creditori, o se possano essere assimilati a ‘nuova finanza’ e quindi utilizzati più liberamente per il successo del piano di ristrutturazione.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione con questa ordinanza?
La Corte di Cassazione non ha deciso il caso nel merito. Con questa ordinanza, definita ‘interlocutoria’, ha riconosciuto l’importanza e la complessità della questione e, data la possibilità di rivedere un proprio precedente, ha rinviato la causa a una pubblica udienza per una trattazione più approfondita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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