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Concordato con continuità indiretta: quando è valido?

Una società in liquidazione propone un concordato con continuità indiretta basato su un affitto d’azienda. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11220/2025, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: questa procedura è valida solo se garantisce un “miglior soddisfacimento dei creditori” rispetto al fallimento. Questo significa che deve esserci un “surplus” tangibile di attivo, e non basta la mera prosecuzione dell’attività o l’affermazione generica che la vendita in sede concordataria sia più vantaggiosa.

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Concordato con Continuità Indiretta: Il Surplus per i Creditori è Requisito Essenziale

L’ordinanza n. 11220/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione sui requisiti di ammissibilità del concordato con continuità indiretta. In un contesto di crisi aziendale, questa procedura rappresenta uno strumento cruciale per tentare di salvare il valore dell’impresa. Tuttavia, la sua applicazione non è incondizionata. La Suprema Corte ribadisce che la tutela dei creditori rimane centrale e che la continuità aziendale deve tradursi in un vantaggio concreto e misurabile per loro, un “surplus” che vada oltre la mera prosecuzione dell’attività.

I Fatti di Causa: Dal Contratto d’Affitto al Ricorso in Cassazione

Una società operante nel settore della ristorazione, dopo aver stipulato un contratto di affitto per i propri rami d’azienda (ristorante, bar e macelleria), deliberava il proprio scioglimento e la messa in liquidazione. Successivamente, presentava una domanda di concordato preventivo “prenotativo” con continuità aziendale indiretta, fondata proprio sul contratto di affitto già in essere.

Il Tribunale, dopo aver concesso i termini per il deposito del piano, lo dichiarava inammissibile. La motivazione era netta: il piano proposto non garantiva un risultato migliore per i creditori rispetto a quello che si sarebbe ottenuto in sede fallimentare. Di conseguenza, il Tribunale dichiarava il fallimento della società.

La società proponeva reclamo alla Corte d’Appello, ma anche in questo caso l’esito era negativo. La corte territoriale confermava che l’attivo stimato nel piano di concordato era identico a quello che avrebbe potuto realizzare un curatore fallimentare, mancando quindi quel “surplus” che giustifica il ricorso a questa procedura. Contro questa decisione, la società presentava ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso: Una Questione di Interpretazione Normativa

La società ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali:

1. Errata applicazione dell’art. 186-bis l.fall.: Sosteneva che il requisito del “miglior soddisfacimento dei creditori” fosse applicabile solo al concordato con continuità diretta (gestita dall’imprenditore stesso) e non a quella indiretta, come nel caso di affitto d’azienda. Per quest’ultima, il focus del giudice avrebbe dovuto essere sulla funzionalità tra l’affitto e la successiva cessione, non sul confronto con il fallimento.
2. Invasione della sfera di competenza dei creditori: La società lamentava che il giudice avesse effettuato una valutazione di “convenienza” economica, comparando concordato e fallimento, un giudizio che spetterebbe esclusivamente ai creditori. Secondo la ricorrente, la corte non aveva considerato elementi che avrebbero dimostrato la capacità del piano di generare un significativo surplus.

La Decisione della Cassazione sul concordato con continuità indiretta

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando entrambe le tesi della società e fornendo principi chiari sull’applicazione della normativa fallimentare.

Il Requisito del “Miglior Soddisfacimento” si Applica Sempre

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte ha affermato che la lettura dell’art. 186-bis, comma 2, lett. b) della legge fallimentare è inequivocabile. Il requisito che la prosecuzione dell’attività sia “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” si applica a tutti i casi di concordato con continuità aziendale, sia essa diretta o indiretta.

Questo requisito, a pena di inammissibilità, serve a bilanciare il “favor” per la continuità con la necessaria tutela dei creditori, i quali sono esposti a maggiori rischi in questo tipo di procedura. La continuità, quindi, non è un valore in sé, ma deve essere uno strumento per ottenere un risultato migliore per il ceto creditorio.

La Verifica del “Surplus” è un Controllo di Legittimità

La Corte ha inoltre chiarito che la valutazione del giudice sull’esistenza di un “surplus” non è un’indebita ingerenza nel giudizio di convenienza riservato ai creditori, ma un controllo di legittimità sulla sussistenza di un presupposto legale della domanda. Il “miglior soddisfacimento” deve tradursi in un concreto e dimostrabile incremento dell’attivo disponibile per i creditori rispetto all’alternativa fallimentare.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente rilevato che il piano concordatario, al di là di un posticipo dei termini di vendita, non si differenziava sostanzialmente dall’alternativa liquidatoria fallimentare. L’affermazione generica secondo cui una vendita in sede concordataria produce risultati migliori è stata ritenuta astratta e insufficiente a dimostrare l’esistenza del surplus richiesto.

Le Motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda sulla necessità di assicurare che il concordato con continuità aziendale non si trasformi in uno strumento dannoso per i creditori. I maggiori rischi insiti nella prosecuzione dell’attività, anche se indiretta, devono essere controbilanciati da un vantaggio economico tangibile. Il giudice ha il dovere di verificare, in via preliminare, che il piano proposto offra una prospettiva di recupero del credito superiore a quella del fallimento. Questo controllo non riguarda l’opportunità della scelta, che spetta ai creditori, ma la sua stessa fattibilità giuridica, ovvero la presenza del presupposto del “miglior soddisfacimento”. La Corte ha specificato che questo vantaggio deve consistere in un “incremento dell’attivo” e non può ridursi alla mera continuità in sé.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale: il concordato con continuità indiretta è ammissibile solo se il piano dimostra, attraverso dati concreti e non mere asserzioni, di poter generare un valore aggiunto per i creditori rispetto alla liquidazione fallimentare. Le imprese che intendono percorrere questa strada devono quindi strutturare piani solidi, capaci di provare che la prosecuzione dell’attività, anche tramite terzi, non è solo un modo per ritardare la liquidazione, ma una strategia efficace per massimizzare il valore a beneficio di tutti gli stakeholder, primi fra tutti i creditori.

Il requisito del “miglior soddisfacimento dei creditori” si applica anche al concordato con continuità indiretta?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il requisito del miglior soddisfacimento, previsto dall’art. 186-bis l.fall., è un presupposto di ammissibilità per tutte le forme di concordato con continuità aziendale, inclusa quella indiretta (ad esempio, tramite affitto d’azienda).

Cosa intende la Cassazione per “surplus concordatario”?
Per “surplus concordatario” si intende un concreto e tangibile incremento dell’attivo disponibile per i creditori rispetto a quanto si potrebbe realizzare con la liquidazione fallimentare. Non è sufficiente la semplice prosecuzione dell’attività, ma è necessario dimostrare che questa genererà un valore economico aggiuntivo per il ceto creditorio.

Il giudice può confrontare il piano di concordato con lo scenario del fallimento per decidere sull’ammissibilità?
Sì. Secondo la Corte, questa comparazione non è una valutazione di convenienza (riservata ai creditori), ma un controllo di legittimità necessario per verificare la sussistenza del requisito legale del “miglior soddisfacimento”. Se il piano non offre alcun vantaggio rispetto all’alternativa fallimentare, deve essere dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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