Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9555 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9555 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4840-2022 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonchè contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4403/2021 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, depositata il 20/10/2021 R.G.N. 980/2020;
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE affinché, accertata la nullità, invalidità e illegittimità degli accordi di conciliazione intervenuti con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, fosse dichiarata la continuità ininterrotta del rapporto di lavoro con la detta società e la conseguente responsabilità solidale di entrambe le società per tutti i diritti retributivi e contrattuali di cui erano titolari le lavoratrici al momento del trasferimento di azienda dalla prima alla seconda società; chiedevano inoltre la condanna in solido delle convenute al pagamento di somme a titolo di buoni pasto residui e scatti di anzianità, oltre accessori.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda nei confronti di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la accoglieva nei confronti di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in liquidazione condannando quest’ultima società al pagamento delle somme richieste, oltre accessori.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità dei verbali di conciliazione sottoscritti in data 3 e 4 novembre 2016, l’avvenuto trasferimento di azienda tra RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE liquidazione e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e condannato in solido le società al pagamento in favore di ciascuna lavoratrice delle somme in dispositivo indicate oltre accessori.
3.1. L’accoglimento della domanda nei confronti di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE è stata fondata sulle seguenti considerazioni: a) gli accordi conciliativi erano stati stipulati senza la prescritta
assistenza del rappresentante sindacale; b) vi era stato vizio del consenso delle lavoratrici conseguente alla prospettazione da parte di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di un male ingiusto rappresentato, in sintesi, della perdita del posto di lavoro ove le lavoratrici non avessero accettato di essere assunte ex novo da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con rinunzia alle garanzie derivanti dall’art. 2112 c.c.; c) l’accordo transattivo presentava un difetto di causa atteso che essendosi il passaggio alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE già giuridicamente realizzato alla data del 1 settembre 2016, le lavoratrici nel rinunziare ai lori diritti nel novembre successivo non avevano ricevuto alcuna contropartita.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi; le lavoratrici hanno resistito con tempestivo controricorso, illustrato con memoria; RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in liquidazione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per apparenza di motivazione in relazione all’art. 111 Cost, all’art. 134, comma 2 n. 4 c.p.c. e all’art. 118 disp.att. c.p.c., riferita sia all’affermazione della configurabilità di un trasferimento di azienda tra le due società sia alla condanna in solido di entrambe le società al pagamento delle somme riconosciute come spettanti alle lavoratrici; in particolare denunzia che avendo la sentenza di primo grado ritenuti validi i verbali di conciliazione non si era espressa sulla esistenza di un trasferimento di azienda; il giudice di appello non aveva motivato le ragioni della ritenuta configurabilità nel caso di specie di un trasferimento di azienda.
Con il secondo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 563, l. n. 147/ 2013 in relazione all’art. 2112 c.c. osservando che a prescindere dalla validità o meno dei verbali di conciliazione era errata in diritto l’affermazione della responsabilità solidale di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per i crediti maturati dalle ricorrenti alle dipendenze di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; nei verbali di conciliazione si dava, infatti, espressamente atto che si verteva in tema di conclusione della procedura di mobilità necessitata tra RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE disciplinata dall’art. 1 commi 563/568 l. n. 147/2013, implicante una diversa regolazione dei crediti pregressi.
Con il terzo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 410, 411 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c., contestando l’accertamento della Corte di merito in punto di assenza del rappresentante sindacale all’accordo conciliativo. Sostiene, in sintesi, che la partecipazione di un rappresentante dei lavoratori nell’ambito della Commissione Provinciale di Conciliazione era attestata dalla sottoscrizione del Presidente della medesima e tale attestazione faceva prova fino a querela di falso.
Con il quarto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e sgg., nonché degli artt. 1965, 1970, 2112, 2113, 1434, 1435, 1438 c.c. Denunzia errata interpretazione della intenzione delle parti e della finalità dei verbali di conciliazione e della stessa lettera di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE contenente la proposta di stipula delle transazioni.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza. Secondo consolidati arresti di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai
principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (Cass. Sez. Un. n. 37552 del 2021, Cass. n. 8425 del 2020, Cass. n. 8009 del 2019, Cass. n. 21297 del 2016, Cass. 17698 del 2014) .
5.1. In adempimento di tale onere, pertanto, l’odierna ricorrente non poteva limitarsi a denunziare, come invece in concreto avvenuto, l’omessa motivazione da parte della Corte di merito delle ragioni della ritenuta configurabilità nella concreta fattispecie di una vicenda traslativa ex art. 2112 c.c. ma doveva allegare e dimostrare, mediante l’adeguata esposizione dei fatti di causa ai sensi dell’art. 366, comma 1 n. 3 c.p.c., se ed in che termini tale questione risultava ancora in controversia davanti al giudice di appello; solo in tale ipotesi, infatti, poteva venire in rilievo una carenza di motivazione e non anche nella ipotesi in cui la esistenza di una vicenda traslativa ex art. 2112 c.c. doveva ritenersi
pacifica tra le parti. La omissione da parte della odierna ricorrente della esposizione della vicenda processuale dipanatasi in relazione a tale aspetto non consente la delibazione nel merito della censura articolata.
6. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile. Il tema relativo al ‘passaggio’ delle lavoratrici da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in applicazione della speciale procedura destinata a realizzare, ai sensi della legge n. 147/2013, art. 1 commi da 563 e 568, processi di mobilità del personale fra l onde impedire una valutazione di novità della questione, costituiva onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 15430 del 2018, Cass. n. 23675 del 2013), come viceversa non è avvenuto.
La sentenza impugnata ha ritenuto che l’assenza del rappresentante sindacale risultava dal verbale di conciliazione, lasciato in bianco nello spazio riservato all’inserimento del relativo nominativo, e dalla mancanza di sottoscrizione del rappresentante del lavoratore nella pagina finale del documento nonché della sigla nelle altre pagine. Ha sottolineato la incongruenza del riferimento alla necessità di querela di falso in quanto le deduzioni delle lavoratrici non investivano la veridicità del contenuto del verbale ma uno dei
requisiti di validità della conciliazione e cioè l’assistenza di rappresentante sindacale.
7.1. Tali ragioni non sono validamente censurate dall’odierna ricorrente in quanto l’accertamento della Corte di merito dichiaratamente non si pone in contrasto con il contenuto del verbale di conciliazione ma si fonda su carenze tratte dal verbale medesimo circa l’assenza di firma e del nominativo del rappresentante dei lavoratori. Quest’ultima carenza sembra contestata dall’odierna ricorrente la quale rimarca, mediante richiamo al documento trascritto in ricorso, che il verbale conteneva la indicazione del nome del rappresentante del lavoratore, ma tale doglianza si traduce in realtà nella prospettazione in definitiva di un eventuale errore revocatorio che doveva essere fatto valere come tale.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Il Collegio richiama a riguardo, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., il precedente di questa Corte, intervenuto in relazione ad identica vicenda (Cass. n. 27760 del 2022), il quale ha ritenuto inammissibili le censure articolate dalla società in quanto sotto l’apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, intese, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, come non consentito in sede di legittimità (cfr., SU n. 14476 del 2021). Deve inoltre soggiungersi che per consolidata giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico
seguito per giungere alla decisione. In questa prospettiva è stato, infatti, puntualizzato che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044 del 2010, Cass. n. 15604 del 2007, in motivazione, Cass. n. 4178 del 2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318 del 2013, Cass. n. 23635 del 2010).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della soccombente alla rifusione delle spese di lite, oltre che al pagamento, nella sussistenza dei presupposti processuali,
dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 7 febbraio