Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1498 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1498 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9401/2023 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di TRIBUNALE PARMA n. 251/2023 depositata il 28/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione depositato il 6 novembre 2019, NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo richiesto da RAGIONE_SOCIALE ed emesso dal Giudice di pace di Parma il 22 marzo 2019 per il pagamento della somma di euro 1.420,00, oltre ad accessori e spese, per consumi elettrici. Si costituiva l’opposta chiedendo la sospensione del giudizio per attivare la procedura di conciliazione obbligatoria.
Il Giudice di pace con sentenza del 18 febbraio 2021, in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo condannando l’opposta al pagamento delle spese di lite, rilevando che dalla corrispondenza tra le parti e dalla documentazione in atti emergeva l’inesistenza della pretesa della opposta.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE insistendo per l’eccezione di improcedibilità della opposizione per il mancato tentativo di conciliazione obbligatorio, contestando la correttezza dei conteggi operati dal primo giudice e la conseguente decisione di primo grado.
Si costituiva NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello.
Il Tribunale di Parma con sentenza del 28 febbraio 2023 accoglieva l’appello e dichiarava improcedibilità dell’opposizione di NOME COGNOME così confermando il decreto ingiuntivo del 22 marzo 2019, dichiarandolo esecutivo e compensando tra le parti le spese di lite.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE Le parti depositano rispettiva memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n.3 c.p.c., la violazione dell’articolo 3 del Testo integrato di conciliazione (TICO). Secondo la sentenza di appello il tentativo di conciliazione sarebbe obbligatorio anche in caso di decreto ingiuntivo ottenuto dal fornitore nei confronti del consumatore finale. Al contrario, dalla lettura di articoli 2 e 3 del TICO e dall’articolo 2, comma 24, lettera b) della legge 481 del 1995 e dall’articolo 141, sesto comma, lettera c) del Codice del consum o emergerebbe l’obbligo per il cliente finale di esperire il tentativo di conciliazione solo nel caso in cui questi intenda procedere giudizialmente nei confronti del gestore di servizi di energia elettrica. Al contrario, il ricorrente non aveva instaurato un giudizio nei confronti del gestore, avendo pagato l’importo richiesto per il tramite del legale. Pertanto, Mazza sarebbe il convenuto sostanziale del giudizio e l’obbligo di promuovere il tentativo di conciliazione riguarderebbe l’attore e cioè il gest ore. In questi termini la sentenza delle Sezioni unite n. 19596 del 18 settembre 2020 secondo cui l’onere di promuovere la procedura di mediazione è carico della parte opposta.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Il ricorrente non si confronta con le argomentazioni del giudice di appello, limitandosi a riproporre la tesi secondo cui il tentativo di conciliazione non costituirebbe un onere gravante sull’opponente, il quale non aveva in animo di iniziare un giudizio, ma sarebbe stato destinatario di un decreto ingiuntivo rispetto al quale lo strumento processuale per contrastare la pretesa è soltanto quello dell’opposizione.
Il giudice di appello con una argomentata motivazione ha preliminarmente escluso l’applicabilità al caso in esame della decisione delle Sezioni unite di questa Corte n. 19596 del 2020 che si riferisce alla mediazione obbligatoria, della quale sarebbe onerata la parte opposta.
La decisione si riferisce all’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010, mentre il caso in esame riguarda forniture di energia elettrica e trova applicazione il Testo integrato di conciliazione che all’articolo 6.1 espressamente onera il cliente finale della procedura in parola e quindi esclude che possa essere attivata dal gestore e cioè dall’opposto.
Va al riguardo osservato che, diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure, il giudice dell’appello ha posto in rilievo che le norme del Testo integrato conciliazione, e in particolare l’articolo 2.1 (prevedente l’obbligo del tentativo di conciliazione per i clienti finali) e l’articolo 2, comma 24 del Codice del consumo del 1995 (procedure di conciliazione fra autentici ed esercenti il servizio) militano nel senso della obbligatorietà del tentativo.
Deve ulteriormente sottolinearsi che alla luce della disciplina organica delle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie nelle materie suindicate, così come prevista dal TICO (Testo Integrato Conciliazione), l’attivazione delle medesime grava sul cliente o utente finale (da intendersi, nella specie, quale soggetto che ha stipulato un contratto di fornitura per uso proprio di servizi regolati da RAGIONE_SOCIALE).
La presente controversia, sebbene introdotta con atto di opposizione a decreto ingiuntivo, non rientra tra quelle soggette a mediazione obbligatoria (specifica e diversa ipotesi in ordine alla quale è stato affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n. 19596/20 il principio secondo cui in sede di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di promuovere la procedura di mediazione grava sull’opposto).
La disciplina, invece, presenta notevoli analogie con quella in tema di telecomunicazioni (poiché attinenti entrambe alla regolazione di servizi di pubblica utilità, di interesse economico generale) con la conseguenza che l’onere di attivare il tentativo o bbligatorio di conciliazione è a carico della parte che ha l’effettivo interesse ad
introdurre il giudizio di merito a cognizione piena, attraverso lo strumento dell’opposizione al provvedimento monitorio; giudizio che il creditore opposto avrebbe viceversa inteso evitare attraverso l’utilizzo del più agile strumento del decreto ingiuntiv o.
L’opponente assume in detto giudizio la veste processuale di attore gravando sullo stesso la decisione di provvedere o meno all’instaurazione di un procedimento che sottoponga al giudice il vaglio sulla fondatezza della domanda. Inoltre, la circostanza che il decreto ingiuntivo è un provvedimento di per sé suscettibile di passare in giudicato in caso di mancata opposizione evidenzia che la parte che ha interesse ad impedire che ciò avvenga è tenuta ad attivarsi, anche promuovendo il predetto tentativo.
Depone in tal senso sia l’articolo 7 della delibera n. 209/2016 che, nel prevedere che l’iniziativa circa la domanda di conciliazione è riservata espressamente al solo cliente finale, conferma che la condizione di procedibilità attiene alle sole controversie promosse da quest’ultimo. L’articolo 8 della medesima delibera, inoltre, prevede, quale condizione e requisito di ammissibilità della domanda, il previo esperimento del reclamo presso l’operatore o gestore con il quale si intende instaurare un contenzioso.
Va pertanto affermato il principio secondo cui nelle controversie aventi ad oggetto i servizi di fornitura dell’energia elettrica e del gas, soggette alla disciplina organica delle procedure di risoluzione extragiudiziale, prevista dal Testo Integrato Conciliazione (TICO), così come approvato dalla delibera n. 209/2016 dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, è il cliente o l’utente finale, ai sensi dell’art. 6, comma 1, a dover attivare la procedura di conciliazione e non già anche l’operatore o il gestore, nelle ipotesi in cui siano quest’ultimi interessati ad agire in giudizio.
In caso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui il gestore figuri quale parte opposta, quest’ultimo non è tenuto ad
attivare, a pena di improcedibilità del giudizio, la procedura conciliativa.
Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, il ricorrente denunzia nullità della sentenza, ai sensi dell’articolo 360, n.4 c.p.c., per violazione dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 dell’articolo 3 del decreto -legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge n. 162 del 2014.
Si duole che il giudice di appello non abbia sospeso il giudizio, assegnando un termine per l’esperimento del tentativo di conciliazione, in applicazione analogica delle norme sopra citate, in questi termini essendosi espressa la S.C. parlando di improcedibilità della domanda e non di improponibilità riguardo alle controversie tra organismi di telecomunicazione ed utenti.
Si tratterebbe di una condizione di procedibilità della domanda che consente di essere sanata con l’assegnazione di un termine.
Preliminarmente, non ricorre l’ipotesi di inammissibilità del motivo in quanto nuovo, così come prospettato dalla controricorrente, giacché la sentenza di secondo grado ha annullato la decisione di primo grado adottando una motivazione di senso opposto rispetto a quella sostenuta dal Giudice di pace e ritenendo parte onerata del tentativo di conciliazione il consumatore, quale utente finale nonostante la veste processuale di opponente.
Sotto tale profilo non rileva la circostanza che la parte non abbia chiesto termine per attivare la procedura di conciliazione stragiudiziale poiché tale adempimento avrebbe dovuto essere disposto dal giudice nell’ipotesi di accoglimento della tesi ritenut a infondata in primo grado e, invece, accolta in grado di appello.
Rileva questa Corte che le Sezioni Unite, con la sentenza 8241 del 28 aprile 2020, sono intervenute sul tema della obbligatorietà del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui alla L. n. 249/1997 al fine di chiarire se, dal mancato assolvimento dell’o bbligo in oggetto, consegua l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda.
Le Sezioni Unite hanno affermato che il mancato proponimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, in materia di telecomunicazioni, dà luogo alla improcedibilità della domanda e non già alla sua improponibilità.
Il dubbio interpretativo nasceva dal testo della L. n. 249/1997, ove si legge che per le controversie riguardanti le telecomunicazioni ‘… non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di concil iazione …’; mentre, nel regolamento approvato con delibera dell’Autorità n. 173/2007/CONS, nel caso di mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui alla L. n. 249/1997, è previsto che la domanda giudiziale debba ritenersi ‘improcedibile’.
Le S.U., esaminando la disciplina prevista per le diverse ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione (anche preesistenti all’introduzione di quello in materia di telecomunicazioni, come ad es. la conciliazione in materia tributaria di cui all’ art. 17 bis del D. Lgs n. 546/1992), nonché alla disciplina dettata dall’art. 5 del D.lgs. n. 28/2010, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, hanno osservato come nessuna disposizione regolante gli istituti di conciliazione obbligatoria preveda, quale conseguenza al mancato esperimento del tentativo in parola, l’improponibilità del giudizio.
Nella decisione citata si ritiene pertinente il richiamo alla disciplina del settore delle controversie in tema di distribuzione dell’energia e del gas (che presenta notevoli analogie con quello delle telecomunicazioni, perché attinenti entrambi alla regolazione di servizi di pubblica utilità, di interesse economico generale): nel Testo Integrato sulla Conciliazione (c.d. TICO) adottato nel 2017 dall’Autorità per l’energia e per il gas, è prevista l’obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione, strutturata per espressa previsione normativa (art. 3) in termini di condizione di procedibilità.
Il giudizio eventualmente instaurato senza essersi preventivamente attivata la procedura conciliativa non può peraltro concludersi con una pronuncia in rito senza essersi da parte del giudice previamente disposta, facendo salvi gli effetti della domanda giudiziale, la sospensione del processo con fissazione di un termine per consentire alle parti di esperire il tentativo di conciliazione de quo , ai fini della successiva eventuale relativa prosecuzione.
Orbene, nell’impugnata sentenza il giudice dell’appello ha invero disatteso il suindicato principio.
Alla fondatezza negli esposti termini e limiti del 2° motivo di ricorso consegue pertanto l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio al Tribunale di Parma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo motivo. Cassa in relazione al motivo accolto l ‘impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Parma, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte