Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23660 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23660 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
Oggetto
RETRIBUZIONE
R.G.N. 14075/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2025
cc
ORDINANZA
sul ricorso 14075-2022 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 515/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 08/06/2022 R.G.N. 2215/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Bari, in riforma della pronuncia emessa dal giudice di prime cure, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per il riconoscimento dello svolgimento di
lavoro eccedente l’orario ordinario per il periodo 2007 -2012 e la conseguente condanna al pagamento di differenze retributive.
La Corte territoriale ha ritenuto ricompresi nell’atto di conciliazione giudiziale stipulato nel marzo 2014 (in occasione del distinto procedimento n. 432/2010 R.G. Tribunale di Bari) anche gli emolumenti richiesti, in questo procedimento, per lo svolgimento di lavoro straordinario, risultando chiaramente dal tenore testuale del verbale di conciliazione che il lavoratore aveva, altresì, rinunziato a ‘importi retributivi/indennitari, anche differenziali, maturati e/o da maturare, diretti e/o indiretti…’ ( oltre che ad altri diritti, puntualmente indicati, con riferimento al periodo temporale specifico, 2007-2012) e che il lavoratore aveva piena consapevolezza dell’oggetto della rinuncia, essendo il suo contenuto chiaro, ben individuato e pienamente comprensibile; detta rinuncia, per il suo tenore letterale e per il senso complessivo dell’accordo, andava sussunta nell’ambito dell’art. 2113, quarto comma, c.c., risultando, di conseguenza, non impugnabile; in ogni caso, la Corte territoriale ha rilevato che il quadro probatorio raccolto non consentiva di ritenere che l’accudimento dedicato dal lavoratore ai cani ospitati nella sede aziendale in orario successivo a quello (ordinario) dedicato al disimpegno delle mansioni assegnate (elettricista), anche per la sua completa estraneità all’attività di lavoro subordinato prestata a favore della società, potesse essere riferito al contratto di lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria, e la società resiste con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1369, 1366, 1365, 1367 c.c., nonché di norme e principi in tema di qualificazione del contratto, per la non corretta lettura del verbale di conciliazione del 12 marzo 2014 in riferimento ai canoni ermeneutici di letteralità, secondo la comune intenzione delle parti in combinata e coordinata lettura globale con quelli concorrenti di interpretazione delle clausole le une per mezzo delle altre, e in base alle regole di buona fede. Il motivo che spingeva le parti a raggiungere l’accordo solo per risolvere le questioni relative alle mansioni (poi riconosciuta e da parte datoriale corrisposta in gran parte della pretesa retributiva e contributiva e per intero nella parte effettiva) delimita il giusto ambito di applicazione delle rinunce che non può anche estendersi alla voce straordinario dovuto per altre ragioni soprattutto se questo non viene affatto citato nel testo transattivo nonostante sia stato dalle parti pienamente conosciuto perché oggetto di discussione: invero, dall’esame letterale del punto sub D dell’atto di conciliazione si evince una rinuncia limitata a diritti atti e azioni di cui alla domanda giudiziale svolta nel diverso procedimento giudiziale (domanda per riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori).
2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) omissione dell’esame della produzione documentale, rendendo -tale omissione incomprensibile la ratio decidendi : la Corte distrettuale, ha trascurato che la società mai negava di ignorare il fatto che -alla data della conciliazione giudiziale – fosse stato depositato il ricorso dal quale origina il presente procedimento né, tantomeno avrebbe potuto farlo viste le risultanze documentali (infatti, fra la data di deposito del
ricorso introduttivo, 9 maggio 2013, e la data di sottoscrizione del verbale di conciliazione, 12 marzo 2014, sono infatti intervenuti tra le parti in causa numerosi contatti volti alla risoluzione bonaria delle controversie tra loro pendenti).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione violazione e dell’art. 2113 primo e ultimo comma, letti in combinato disposto degli artt. 1362, 1363: appare quanto mai contestabile la riferibilità alla fattispecie all’articolo 2113 primo e quarto comma che la sentenza impugnata fa per dimos trare il proprio assunto. Nell’azionata domanda del COGNOME, quest’ultimo non ha mai inteso impugnare l’accordo sottoscritto a marzo 2014 che ha sempre ritenuto corretto. Ciò che il lavoratore ha voluto ribadire, è invece la non estensibilità dell’accordo allo straordinario preteso per la mansione aggiuntiva.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, reputato irrilevanti le dichiarazioni testimoniali assunte ed interpretato illogicamente e contraddittoriamente altre dichiarazioni testimoniali non allineandole alle risultanze documentali. Contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili. Motivazione perplessa e obiettivamente inconciliabile.
Con il quinto motivo di ricorso si denunzia vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, illogicamente ritenuto che si delinea attività di volontariato quando il lavoratore svolge due mansioni non eterogenee e quando il datore di lavoro disponga la timbratura del cartellino -totale incomprensibilità della ratio decidendi; le mansioni affidate non appaiono eterogenee non esclude affatto che il COGNOME
non le abbia effettuate o che un incombente fosse da considerare mansione e l’altro no; la circostanza che il rifiutato l’espletamento della mansione aggiuntiva, e che avesse con particolare cura adempiuto a quanto richiesto da parte datoriale, non esclude mai il diritto a ricevere un compenso.
lavoratore non avesse esplicitamente 6. Con il sesto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) degli artt. 36 cost., 2099, 2108, per aver adibito il lavoratore a mansioni aggiuntive senza che fosse remunerato. La Corte territoriale ha dimenticato che nel codice Ateco della società non è affatto prevista l’attività di volontariato che non può essere neanche considerata mansione e/o mansione eterogenia.
Con il settimo motivo si deduce (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di decisione tra le parti. La sentenza impugnata ha ritenuto assorbita l’eccezione, soll evata dalla società, di nullità del ricorso introduttivo del giudizio per indeterminatezza del petitum . Ad ogni buon conto si mette in evidenza che la doglianza della società appare alquanto contraddittoria considerando che la stessa società-parte appellante affermava anche che ‘Oggetto del presente giudizio è l’accertamento del lavoro straordinario asseritamente svolto e correlative richieste economiche’ dando atto di aver ben compreso la questione discussa sulla quale, peraltro, ha articolato una compiuta difesa implicitamente confermando proprio la conclusione alla quale il giudice è giunto.
I motivi di ricorso, che, sotto vari profili, contestano il mancato accertamento dello svolgimento di lavoro straordinario nell’ambito del rapporto di lavoro oggetto di precedente controversia giudiziale, sono inammissibili.
Il primo ed il terzo motivo sono inammissibili.
8.1. Come più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di un atto negoziale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 28319/2017; conforme, da ultimo, Cass. n. 16987/2018; Cass. n. 30137/2021; Cass. n. 34687/2023).
8.2. Le censure hanno meramente enunciato i canoni interpretativi asseritamente violati, senza alcuna specificazione delle ragioni nè del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. n. 13717/2006; Cass. n. 15350/2017), concentrandosi sul risultato interpretativo in sè (Cass. n. 2465/2015; Cass. n. 10891/2016), così contrapponendo una propria interpretazione a quella della Corte territoriale (Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 27197/2011), peraltro ben plausibile, neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. n. 4178/2007), congruamente argomentata e pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11254/2018). Nella specie, la Corte territoriale ha illustrato
la ricorrenza di tutti gli elementi tipici del negozio transattivo, ossia la res litigiosa, le reciproche concessioni, la volontà di porre fine a una lite anche futura: invero, dalla lettura complessiva dell’atto di conciliazione emergono la volontà ‘di dirimere ogni controversia, anche futura, facendosi reciproche concessioni mediante il versamento, da parte del datore di lavoro, della somma indicata nell’atto di transazione e l’attribuzione della superiore qualifica, e la rinuncia, da parte del lavoratore, a far valere sia le pretese relative ai titoli indicati nello stesso atto, sia ulteriori pretese derivanti dall’intercorso rapporto di lavoro sino alla data di sottoscrizione del verbale di conciliazione, sul presupposto che la somma percepita è volta a compensare proprio la rivendicazione delle suddette pretese’ (pag. 9 della sentenza impugnata).
Tutti gli altri motivi sono, del pari, inammissibili.
9.1. Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
9.2. E’ un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n.
19547/2017; Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 23345/2024).
9.3. Le argomentazioni concernenti la ricostruzione delle modalità di prestazione di attività successiva all’orario ordinario sollecitano, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento, operazione non consentita in sede di legittimità.
9.4. Va, inoltre, ribadito al riguardo l’orientamento consolidato espresso dalle Sezioni Unite secondo cui, all’esito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in relazione all’apprezzamento delle risultanze processuali rileva solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, e che abbia carattere decisivo. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante nel giudizio di legittimità (si rimanda alla motivazione di Cass. S.U. 27 dicembre 2019 n. 34476, che richiama Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053; Cass. S.U. 18 aprile 2018 n. 9558; Cass. S.U. 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass. S.U. 22 febbraio 2023 n. 5556).
9.5. E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di
eccezioni di nullità del ricorso o per lamentarsi di una “perplessa e obiettivamente inconciliabile”: la valutazione della correttezza della motivazione rientra nel paradigma impugnatorio previsto nel n. 5, dell’art. 360 c.p.c. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134) a norma del quale è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione), purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. S.U. n. 8053 del 2014), profili non denunciati né ricorrenti in questa sede.
10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
11. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’udienza del 10 luglio 2025.