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Conciliazione Giudiziale: Copre Dedotto e Deducibile

Un dipendente pubblico, dopo aver firmato una conciliazione giudiziale per il suo inquadramento, ha avviato una nuova causa sullo stesso tema basandosi su una norma diversa. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la conciliazione giudiziale ha un effetto transattivo che copre non solo le questioni esplicitamente dedotte ma anche quelle che si sarebbero potute dedurre (il deducibile), precludendo così future controversie sull’argomento risolto.

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Conciliazione Giudiziale: Attenzione a Ciò che Firmi, Copre Anche Quello che Non Dici

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sugli effetti della conciliazione giudiziale nel diritto del lavoro. Spesso vista come una semplice via d’uscita da una lunga causa, la conciliazione è in realtà un atto negoziale con conseguenze profonde, che si estendono ben oltre le questioni esplicitamente menzionate nell’accordo. La Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: l’accordo transattivo firmato davanti a un giudice per chiudere una lite copre non solo il “dedotto” (ciò che è stato chiesto) ma anche il “deducibile” (ciò che si sarebbe potuto chiedere), precludendo future rivendicazioni sulla stessa materia.

I Fatti del Caso: Un Contenzioso sull’Inquadramento Lavorativo

La vicenda riguarda un dipendente della Pubblica Amministrazione, assunto con contratti a tempo determinato, che aveva avviato diverse azioni legali per ottenere un corretto inquadramento professionale e le relative differenze retributive. Inizialmente, il lavoratore contestava la sua classificazione e chiedeva il passaggio a una categoria superiore.

Tutto il contenzioso confluì in una conciliazione giudiziale nel 2010. Con questo accordo, il lavoratore accettava un inquadramento intermedio (categoria C5) con una certa decorrenza economica, rinunciando a tutte le altre pretese pendenti. Anni dopo, tuttavia, lo stesso lavoratore iniziava una nuova causa, chiedendo nuovamente una progressione economica basandosi su una diversa disposizione del contratto collettivo regionale (CCRL) che non era stata invocata nei precedenti giudizi.

La Decisione della Corte: La Valenza Definitiva della Conciliazione Giudiziale

La Corte di Appello prima, e la Corte di Cassazione poi, hanno respinto la domanda del lavoratore. La decisione non si basa tanto sul principio del “giudicato” (tipico delle sentenze), quanto sull’interpretazione degli effetti del negozio transattivo rappresentato dalla conciliazione. La Cassazione ha chiarito che la conciliazione giudiziale è un vero e proprio contratto con cui le parti pongono fine a una lite. Come tale, la sua portata deve essere interpretata per capire quale fosse l’oggettiva situazione di contrasto che le parti intendevano risolvere definitivamente.

L’Errore del Ricorrente: Confondere Giudicato e Accordo Transattivo

Il lavoratore ha tentato di sostenere che la nuova domanda fosse differente dalla precedente, perché basata su una diversa causa petendi (fondamento giuridico). La Cassazione ha ritenuto questo approccio errato. Il punto centrale non è la specifica norma invocata, ma l’oggetto della controversia che le parti hanno voluto chiudere. L’inquadramento professionale del dipendente per quel periodo era stato l’oggetto della transazione. Pertanto, qualsiasi pretesa, anche se fondata su norme diverse ma relativa allo stesso bene della vita (l’inquadramento), doveva considerarsi coperta dall’accordo, in quanto “deducibile” già al tempo della prima lite.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che il ricorrente ha censurato impropriamente la decisione della Corte territoriale. Invece di contestare la violazione delle norme sull’interpretazione del contratto (art. 1362 e ss. c.c.), ha erroneamente invocato la violazione delle norme sul giudicato (art. 2909 c.c.).

I giudici hanno spiegato che la conciliazione giudiziale è il frutto della volontà delle parti e, sebbene avvenga con l’intervento del giudice, rimane un atto negoziale. La sua interpretazione è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Quest’ultimo aveva correttamente concluso che l’accordo transattivo era destinato, per volontà delle parti, a coprire l’intera questione dell’inquadramento del lavoratore fino a quel momento, precludendo la possibilità di riaprire la discussione anche sulla base di argomenti o norme non precedentemente sollevati. La volontà era quella di porre fine a quella specifica lite in modo tombale, attraverso reciproche concessioni.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito fondamentale per lavoratori e datori di lavoro. Quando si firma una conciliazione giudiziale, non si sta solo risolvendo la specifica pretesa avanzata in quel giudizio, ma si sta definendo l’intera situazione di conflitto esistente tra le parti. È essenziale avere piena consapevolezza che l’accordo coprirà non solo ciò che è stato espressamente discusso, ma anche tutto ciò che si sarebbe potuto discutere in relazione all’oggetto del contendere. Una volta firmata la conciliazione, non sarà più possibile avanzare nuove pretese relative alla stessa materia, anche se basate su presupposti giuridici diversi, perché si riterranno implicitamente rinunciate con l’accordo.

Qual è l’effetto di una conciliazione giudiziale firmata tra le parti?
Una conciliazione giudiziale ha l’effetto di un contratto di transazione che pone fine alla lite. Essa chiude il processo e definisce in modo vincolante la controversia sulla base dell’accordo raggiunto dalle parti.

Una conciliazione giudiziale copre solo le questioni esplicitamente scritte nell’accordo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la conciliazione, analogamente a una sentenza passata in giudicato, copre sia il “dedotto” (le pretese effettivamente avanzate) sia il “deducibile” (tutte le pretese che le parti avrebbero potuto avanzare per risolvere la controversia).

È possibile iniziare una nuova causa sulla stessa materia di una conciliazione, ma basandola su una norma diversa non citata prima?
No. Se la nuova domanda riguarda lo stesso oggetto o la stessa situazione di conflitto già risolta con la conciliazione, essa è inammissibile. L’accordo transattivo preclude la possibilità di riaprire la discussione, anche se si invocano nuove basi giuridiche che erano già esistenti e quindi ‘deducibili’ al momento della conciliazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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