Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17142 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 17142 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 12914/2023 r.g. proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore, rappresentati e difesi, per mandato ex lege, dall’avvocatura generale dello Stato e presso la stessa per legge domiciliati a Roma in INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE i n persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale, la cui copia per immagine conforme all’originale è allegata ricorso, dall’Avv. NOME
COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME le quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria agli indirizzi pec indicati.
-controricorrente –
E
Regione Veneto e Comune di Rosolina
-intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2586/2022, depositata in data 2 dicembre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del primo motivo di ricorso e l’inammissibilità del terzo motivo e l’accoglimento del secondo e del quarto motivo;
udito per i ricorrent i, per l’Avvocatura Generale dello Stato, l ‘Avv . NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ;
udito per la controricorrente, l’Avv. NOME COGNOME su delega scritta dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE presentava atto di citazione nei confronti del Comune di Rosolina, dell’Agenzia del demanio (ADD), del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) e della Regione Veneto, evidenziando di essere titolare della concessione demaniale marittima ad uso turistico n. 8 ‘Piscina Europa’, rilasciata dal Comune.
Sottolineava che tale concessione era proseguita nel tempo con proroghe disposte dalla normativa statale, sicché era valida fino al 31/12/2033.
In particolare, rilevava che i criteri di calcolo nella determinazione del canone annuale dal 2011 al 2015 non erano corretti in quanto basati su di una superficie di calcolo errata e, in relazione all’area pertinenziale destinata a piscina, su di un errato coefficiente di calcolo.
La società chiedeva dunque l’accertamento delle somme versate in eccesso, sia a titolo di canone che di imposta regionale, e la condanna delle amministrazioni alle restituzioni di quanto indebitamente versato.
Si costituiva il Comune di Rosolina chiedendo il rigetto delle domande attoree, precisando di non aver mai percepito alcun canone demaniale, che veniva invece versato direttamente allo Stato.
Si costituivano il MEF e l’ADD chiedendo il rigetto della domanda e proponendo «domanda riconvenzionale di accertamento del difetto di una valida concessione, con conseguente condanna di parte attrice al pagamento del triplo del canone ex lege astrattamente applicabile ai sensi dell’art. 8 della legge n. 494 del 1993, stante l’incompatibilità della normativa che aveva disposto le proroghe alla concessione originaria con il diritto comunitario, chiedendo quindi la disapplicazione della suddetta normativa».
La Regione Veneto si costituiva eccependo il difetto di giurisdizione.
Il tribunale di Venezia, con la sentenza n. 2016 del 2019, dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario con riferimento alla domanda di restituzione dell’imposta regionale.
Accertava poi il canone dovuto dall’attrice in relazione agli anni dal 2011 al 2015, condannando il MEF alla restituzione della somma di euro 52.570,01.
Il tribunale reputava sussistente la propria giurisdizione sulla domanda riconvenzionale proposta dall’ADD e dal MEF «volta all’accertamento del difetto di una valida concessione con conseguente condanna della parte attrice al triplo del canone risolvendosi in una domanda di accertamento di un’occupazione sine titulo ».
Riteneva, comunque, che la domanda riconvenzionale svolta non potesse essere accolta in quanto i principi sanciti a livello europeo nella sentenza della Corte di giustizia del 14/7/2016 «non trova necessaria applicazione nel caso in esame in assenza di specifiche allegazioni da parte dell’ADD e del MEF».
Avverso tale sentenza proponevano appello l’ADD e il MEF, censurando, con il primo motivo di gravame, la sentenza di prime cure «laddove non aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda relativa alla perdita di efficacia e/o vigenza e/o validità della concessione».
Con il secondo motivo rilevavano che «il rilievo transfrontaliero della concessione non avrebbe dovuto essere allegato e provato dall’amministrazione, ma dall’attore». Peraltro, anche nel caso in cui fosse accertata l’irrilevanza transfrontaliera della concessione, «comunque risultavano violati i principi posti a fondamento della sentenza della Corte costituzionale n. 213 del 2011».
Con il terzo motivo, l’amministrazione si doleva della applicazione della categoria OMI del terziario agli immobili oggetto di concessione, in quanto l’attività svolta dal concessionario «era qualificabile come un’attività imprenditoriale lucrativa che utilizzava come diretto
strumento di produzione del profitto gli immobili avuti in concessione».
6. La Corte d’appello di Venezia rigettava il gravame.
Con riferimento al primo motivo di appello riteneva applicabile il principio giurisprudenziale per cui, una volta che l’attore abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito, non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto, in quanto non soccombente su tale autonomo capo della decisione; tale principio era applicabile anche verso chi avesse proposto la domanda in via riconvenzionale.
In relazione al secondo motivo, osservava che la Corte di giustizia, con sentenza del 14 luglio 2016 aveva dichiarato che l’art. 12, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2016/123/CE del 12/12/2006 ostava alla normativa interna che prevedeva la proroga automatica delle concessioni demaniali per attività turistico-ricreative, disposta dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, «in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra potenziali candidati, sempre nei limiti in cui tali concessioni presentino un interesse «transfrontaliero» certo.
L’onere di allegare e provare l’esistenza di tali caratteristiche, come affermato correttamente dal primo giudice, gravava in capo alle amministrazioni che avevano proposto in via riconvenzionale la domanda di accertamento della inesistenza e/o invalidità della concessione fatta valere.
Quanto al terzo motivo d’appello la Corte territoriale osservava che il canone richiesto era inerente ad un complesso turistico composto di due aree: la spiaggia, con annesse strutture di facile rimozione, e un fabbricato su due piani fuori terra, destinato a piscina
con accessori a servizio della struttura. Tale immobile doveva rientrare tra le pertinenze demaniali destinate alle prestazioni di servizi, per cui l’attività esercitata era collocabile «nel settore terziario», risultando corretto calcolare i canoni concessori con riferimento ai valori OMI per la tipologia di immobili a destinazione «terziaria, come indicato dal CTU».
Non poteva confondersi il termine «attività commerciale» di ispirazione civilistica, con la più circoscritta nozione di «destinazione commerciale» riferita alla tipologia immobiliare OMI, relativa ad immobili adibiti alla sola attività commerciale in senso stretto.
Precisava poi la Corte d’appello che «stante il rigetto dell’appello non vengono in considerazione le nuove deduzioni, come tali inammissibili, svolte nelle note di udienza del 21/6/2022».
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il MEF e l’ADD.
Ha resistito con controricorso la società, depositando anche memoria scritta, nella quale ha rimarcato di avere rinunciato alla concessione a far data dal 1° gennaio 2021.
Sono rimasti intimati il Comune di Rosolina e la Regione Veneto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli articoli 37 c.p.c. e dell’art. 133, lettera B), del d.lgs. 2/7/2010, n. 104, nonché contestuale nullità del procedimento per violazione dell’art. 295 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
In particolare, dagli atti processuali emerge che la difesa erariale ha contestato in entrambi i gradi la giurisdizione del giudice ordinario in favore di quella del giudice amministrativo sulla questione
dell’inefficacia delle proroghe ex lege della concessione demaniale, per contrarietà all’ordinamento comunitario.
Inoltre, la questione era stata sollevata «in via di eccezione pregiudiziale rispetto alla domanda attorea di quantificazione del canone, la quale presuppone logicamente la sussistenza di un rapporto concessorio».
Pertanto, l’amministrazione ha domandato «in via riconvenzionale la condanna della società al pagamento dell’indennità per occupazione sine titulo del bene demaniale, la quale è determinata quantitativamente in maniera diversa dal canone di concessione», essendo illegittime le proroghe automatiche.
Il giudice d’appello, però, «anziché accogliere il motivo di gravame sul difetto di giurisdizione e sospendere per l’effetto il giudizio in attesa della pronuncia del giudice amministrativo sull’esistenza del rapporto concessorio, l’ha dichiarato inammissibile, perché il difetto di giurisdizione non può essere lamentato da colui che ha formulato la domanda al giudice privo di giurisdizione».
Per i ricorrenti, invece, non vi era altro modo per l’amministrazione di difendersi nel giudizio «se non formulando l’eccezione davanti al giudice presso il quale è stata incardinata dall’attore la domanda, presupponendo un fatto giuridico di cui il convenuto voglia contestare la sussistenza».
Il principio della Corte d’appello, allora, pur condivisibile in astratto sarebbe «stato falsamente applicato alla presente fattispecie, nella quale l’amministrazione statale ha formulato un’eccezione rispetto a un fatto costitutivo dell’azione attorea».
Pertanto, «soltanto in via di eccezione le amministrazioni convenute, per perseguire anzitutto il rigetto della domanda attorea,
hanno contestato il fatto costitutivo della domanda consistente nella sussistenza della concessione».
La Corte territoriale avrebbe dovuto disporre la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c..
Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché contestuale violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
L’onere di dimostrare che il bene demaniale marittimo sarebbe di «interesse transfrontaliero certo» dovrebbe gravare sulla società attrice e non sui convenuti.
In realtà, secondo le sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e 18 del 2021, i beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative devono, nella materia in questione, «essere valutati unitariamente e complessivamente senza potersi ammettere un artificioso frazionamento del patrimonio costiero nazionale, sicché per presunzione relativa ogni bene di tale specie deve sottostare alle norme comunitarie a tutela della concorrenza, fermo restando che l’interessato può fornire la prova dell’irrilevanza dello specifico bene demaniale rispetto all’interesse transfrontaliero».
Tra l’altro, sarebbe stata violata la norma sostanziale sulla ripartizione dell’onere della prova, perché spetta all’attore fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, «tra cui l’esistenza della concessione del cui canone tratta il giudizio e, quindi, circa la sua validità, del rilevante dato di fatto consistente nell’interesse trasnazionale certo».
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti si dolgono della «violazione dell’art. 2195 c.c., in combinato disposto con l’art. 1,
comma 251, n. 2.1., lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello ha erroneamente qualificato come terziaria, anziché commerciale, l’attività di gestione della piscina nello stabilimento balneare insistente sul demanio marittimo in concessione, in violazione delle disposizioni indicate.
In realtà, l’art. 2195 c.c., quanto alla «destinazione commerciale» deve disciplinare la fattispecie, poiché è pacifico «che la ricorrente principale svolge, con i beni e sugli stessi, un’attività commerciale, tale essendo, in base alla nozione civilistica qui invocata, non solo quella di acquisto e rivendita di merci, bensì anche quella tipicamente svolta da parte attrice col servizio di piscina».
Con il quarto motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.», in quanto poiché gli appellati sono entrambi amministrazioni dello Stato, la Corte d’appello ha erroneamente posto a loro carico il pagamento del doppio contributo unificato.
Anzitutto, deve darsi atto che emerge dagli atti, e segnatamente dal controricorso della società, che è stata presentata in pendenza del giudizio d’appello la richiesta di condono di cui all’art. 1, commi 732 e 733 della legge n. 147 del 2013.
Si legge, infatti, pagina 6 del controricorso che la società «con le note di udienza del 7 ottobre 2021 ha anche dedotto l’entrata in vigore, in pendenza del giudizio di appello, dell’art. 100 del decretolegge n. 104 del 2020, e ha depositato documentazione attestante l’avvenuta tempestiva presentazione, da parte propria, dell’istanza per accedere alla definizione di tutti i contenziosi pendenti (cfr. docc. 1, 2 e 3 depositata il 7 ottobre 2021). In tale istanza, oltre che in tutti gli atti processuali successivi alla presentazione (cfr. pp. 12 e
seguenti della comparsa conclusionale depositata il 27 settembre 2022), la società esponeva di aver già versato, a titolo di canone demaniale e sempre con riserva di ripetizione, importi ben superiori a quelli richiesti dall’art. 100 del decreto-legge n. 104 del 2020 per accedere alla definizione dei contenziosi, e chiedeva l’accertamento del suo diritto alla restituzione dell’eccedenza».
Ora è certo vero che, facendo qui applicazione di un indirizzo proveniente dalla giurisprudenza tributaria di questa Corte in relazione, segnatamente, alla fattispecie del condono fiscale di cui all’art. 15 della l. n. 289 del 2002, l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere che a ciò fa seguito integri una eccezione in senso improprio, così che «l’insorgenza della succitata fattispecie estintiva della pretesa fiscale per intervenuto condono può essere, inoltre, rilevata d’ufficio anche nel giudizio di legittimità» (Cass., Sez. U., 27 gennaio 2016, n. 1518), ma a tanto non si può tuttavia procedere in questa sede atteso che la Corte d’appello, rigettando l’appello, ha inteso anche precisare che «non vengono in considerazione le nuove deduzioni, come tali inammissibili, svolte nelle note di udienza del 21/6/2022», affermazione questa che è rimata impregiudicata in quanto non fatta oggetto di impugnazione delle parti.
Deve procedersi, dunque, all’esame del merito del ricorso.
Sebbene il primo motivo di ricorso sia rubricato con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 1, c.p.c. non si rende qui necessario evocare la riserva presente nell’art. 374, primo comma, c.p.c. secondo cui «tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite», giacché il motivo non pone una questione di giurisdizione, ma una
questione di mero diritto processuale consistente nel chiedersi se, allorché il giudice di appello abbia ritenuto di dichiarare inammissibile il corrispondente motivo di gravame perché il difetto di giurisdizione non può essere lamentato da colui che ha formulato la domanda al giudice privo di giurisdizione, abbia o meno pronunciato secundum ius .
8.1. Così rettamente posta, la questione ha già trovato risposta nella giurisprudenza di questa Corte nei termini enunciati dalla Corte di merito.
Si è, infatti, affermato, che in tema di giurisdizione, la parte convenuta che abbia proposto domanda riconvenzionale (o, nel processo amministrativo, ricorso incidentale), rimasta non esaminata in quanto assorbita dal pieno rigetto nel merito della domanda principale, non è legittimata a proporre appello incidentale, eventualmente in via condizionata, contro il capo implicito della sentenza con cui il giudice adìto ha affermato la propria giurisdizione, in quanto tale parte, avendo a sua volta implicitamente invocato la giurisdizione del medesimo giudice spiegando domanda riconvenzionale, sul punto è risultata pienamente vittoriosa (Cass., Sez. U., 4 marzo 2019, n. 6281; Cass., Sez. U., 24 settembre 2018, n. 22439). Principi, questi che sono stati ribaditi anche in ambito tributario, con riferimento all’applicazione dell’art. 1, commi 732 e 733, della legge n. 147 del 2013, affermandosi che «secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione (Cass., sez. 5, 3 maggio 2023, n. 11536, in motivazione; ove si richiamano Cass., Sez. U., 21 luglio 2022, , n. 22841; Cass. Sez. U.,
28 gennaio 2021, n. 1918; Cass., Sez. U., 20 ottobre 2016, n. 21260; Cass., Sez. U.., 19 gennaio 2017, n. 1309; Cass., Sez. U.., 24 settembre 2018, n. 22439; Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33685).
Nella specie, è pacifico, che il MED e l’ADD abbiano presentato domanda riconvenzionale invocando implicitamente la giurisdizione del giudice ordinario (cfr. comparsa di costituzione in primo grado ritualmente trascritta in sede di ricorso «…i rinnovi fondati sul diritto di insistenza, sia i ‘rinnovi’ automatici disposti dal 2001, che le successive norme di proroga siano incompatibili con il Trattato e la normativa europea, e quindi avrebbero dovuto essere disapplicate, con la conseguenza che dovrà essere accertata la scadenza della concessione già nel 1999, o in subordine nel 2003 o in subordine del 2009 o in ulteriore subordine il 31/12/2014»); di qui la conseguenza per cui «pieno e incondizionato passaggio al demanio, nella qualità di pertinenze demaniali marittime, di tutte le opere di difficile rimozione e l’occupazione di fatto del bene demaniale dopo la scadenza, e la necessità di applicare alla fattispecie l’art. 8 della legge 296/2006 e pertanto la triplicazione dell’importo dovuto per l’occupazione e l’utilizzo senza titolo del bene demaniale».
Il motivo è quindi infondato.
Il secondo motivo è fondato.
Il Collegio evidenzia che la Corte territoriale ha rigettato il secondo motivo di appello formulato da Agenzia del demanio e MEF, in quanto «l’onere di allegare e provare l’esistenza», nella specie, di un «interesse transfrontaliero certo» gravava «in capo alle amministrazioni che avevano proposto in via riconvenzionale la domanda di accertamento della inesistenza/invalidità della concessione fatta valere».
Va chiarito che, sulla scorta della recente giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia UE, 20/4/2023, causa C-348/22, Ginosa, paragrafo 41), nonché di qualche pronuncia anche del giudice amministrativo (Cons. Stato, 4/12/2023, n. 10455; ma vedi per la continuità del requisito, ancora Cons. Stato, 20/05/2024, n. 4479), l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo non sembra più costituire condizione necessaria ai fini della necessità della gara pubblica per il conseguimento delle concessioni.
Ciò dovrebbe comportare di per sé l’accoglimento del secondo motivo di ricorso per cassazione.
Tuttavia, la Corte non può esimersi dall’affrontare l’interferenza sulla controversia in esame della questione dello ius novorum nel frattempo intervenuto.
9.1. Deve premettersi che con un recente sentenza la Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte giustizia UE del 5/6/2025, in causa C-464/24) ha affermato che l’art. 44 della direttiva 2006/123/CE deve essere interpretato nel senso che le concessioni demaniali marittime gestite per finalità turistico-ricreative, rilasciate prima del 28 dicembre 2009, ma rinnovate successivamente a tale data, rientrano nell’ambito di applicazione di detta direttiva.
Nel nostro caso la concessione demaniale è stata rilasciata nel 2004, ma è stata rinnovata successivamente nel 2009, sicché trova applicazione la direttiva 2006/123/CE.
9.2. E’ bene allora riepilogare, anche a beneficio del giudice del rinvio, il quadro di riferimento.
La prima pronuncia unionale che ha trattato la materia va individuata nella sentenza della Corte di giustizia del 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15 (RAGIONE_SOCIALE); si è ritenuto che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del parlamento europeo e del consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel
mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.
Allo stesso modo, l’art. 49 del TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turisticoricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo.
In motivazione, si è chiarito che quanto all’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, «occorre ricordare che quest’ultimo deve essere valutato sulla base di tutti i criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, tenendo conto delle caratteristiche proprie dell’appalto in questione».
Subito dopo sono intervenute due sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: n. 17 del 9 novembre 2021 e n. 18 del 9 novembre 2021.
Con la sentenza n. 17 del 2021, si è affermato che al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le Amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre
effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.
Con la sentenza n. 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è precisato che le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative -compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’ emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’ art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77 /2020 sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’ art. 49 TFUE e con l’ art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P .A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset , senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’ esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’ incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del
rapporto. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’ auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ ordinamento dell’ U.E.
Questa Corte, a sezioni unite, con riferimento alla sentenza n. 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto che è ammissibile, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., il ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Consiglio di Stato – estromettendo dal giudizio dinanzi a sé gli enti esponenziali titolari di interessi legittimi collettivi incisi dal provvedimento amministrativo impugnato in prime cure – preclude ad essi la tutela giurisdizionale di loro posizioni giuridiche sostanziali qualificate nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 18 del 2021 che, chiamata a pronunciarsi su alcune questioni di rilevanza nomofilattica relative alla proroga delle concessioni dei ccdd. “balneari”, aveva dichiarato inammissibile l’intervento delle associazioni di categoria e della Regione Abruzzo, concretizzando così un’ipotesi di rifiuto di giurisdizione – (Cass., Sez. U., 23 novembre 2023 n. 32559).
Successivamente è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia 20 aprile 2023, in causa C-348/22 (Comune di Ginosa), la
quale ha precisato che «l’art. 12, paragrafi 1 e 2 , di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo», in risposta alla richiesta del giudice di rinvio il quale aveva chiesto se tale articolo «debba essere interpretato nel senso che esso si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentino un interesse transfrontaliero certo».
Ha poi precisato la Corte di giustizia che «l’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 prescrive, in maniera incondizionata e sufficientemente precisa, un contenuto di tutela minima a favore dei candidati potenziali Tale disposizione ha effetto diretto in quanto vieta, in termini inequivocabili, agli Stati membri, senza che questi ultimi dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità o possano subordinare tale divieto a una qualsivoglia condizione e senza che sia necessaria l’adozione di un atto dell’unione o degli Stati membri, di prevedere proroghe automatiche e generalizzate di siffatte concessioni».
Pertanto, tali obblighi «sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere considerati disposizioni produttive di effetti diretti».
Si è precisato, poi, che «l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie incombe ai giudici nazionali e alle autorità amministrative, comprese quelle comunali».
Anche in dottrina, in commento alla sentenza della Corte di giustizia del 20/4/2023, Comune di Ginosa, si è rimarcato che la direttiva del 2006 non si applica soltanto alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo, ma le disposizioni di detta direttiva coinvolgono tutte le tipologie di concessioni balneari, a prescindere
dal fatto che esse presentino un interesse transfrontaliero certo o che riguardino una situazione i cui elementi rilevanti rimangono tutti confinati all’interno di un solo Stato membro.
Peraltro, non può non tenersi conto delle nuove disposizioni normative intervenute, come pure delle successive pronunce, sia della Corte costituzionale, sia del giudice unionale, sia del giudice amministrativo.
13.2. Ed infatti, in precedenza l’art. 1, comma 18, del decretolegge 30/12/2009, n. 194, aveva eliminato il diritto di insistenza, ma aveva prorogato comunque le concessioni esistenti fino al 31/12/2015.
A seguito di una prima procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (n. 4908/2008), era intervenuto l’art. 34duodecies , comma 1, del decreto-legge 18/10/2012, n. 179, il quale conteneva una nuova proroga al 31/12/2020.
Nelle more della revisione e del riordino della materia, con l’art. 24, comma 3septies , del decreto-legge 24/6/2016, n. 113, si è ammessa la validità delle concessioni in essere.
Successivamente, l’art. 1, commi 682 e 683, della legge 30/12/2018, n. 145, ha stabilito una nuova proroga generalizzata 31/12/2033 (di 15 anni).
Il 3/12/2020 è stata avviata la seconda procedura di infrazione dei confronti dell’Italia sul tema (n. 2020/4118).
Con gli articoli 3 e 4 della legge annuale per il mercato della concorrenza (legge 5/8/2022, n. 118), dopo l’abrogazione dei commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 118 del 2022, si è riconosciuta la proroga tecnica della scadenza delle concessioni al 31/12/2023 salvo eccezioni.
Solo in presenza di ragioni oggettive, tali da impedire la conclusione delle procedure di gara entro tale data, il legislatore ha
consentito un ulteriore differimento del termine di scadenza delle concessioni, per il tempo strettamente necessario e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024 (comma 3).
L’art. 12, comma 6sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, introdotto dalla legge di conversione 24/2/2023, n. 14, ha fissato il termine ultimo al 31/12/2024, mentre l’art. 10quater , comma 3, ha spostato al 31/12/2025 l’ulteriore possibilità di differimento in caso di oggettive ragioni tali da impedire la conclusione tempestiva delle procedure selettive.
13.3. La legge di conversione n. 14 del 24/2/2023 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica con contestuale invio di una lettera, in data 24/2/2023, ai presidenti delle due Camere del Parlamento ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; si è sottolineato che la nuova proroga delle concessioni demaniali marittime era in contrasto sia con il diritto UE, sia con le sentenze dell’Adunanza Plenaria sopra citate.
13.4. Il Consiglio di Stato, con le sentenze 28/8/2023 n. 7992 e 1/3/2023, n. 2192, ha affermato la possibilità di non applicare le norme della legge n. 14 del 2023, proprio per violazione del diritto UE.
13.4.1. Va poi menzionata la sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge della regione Sicilia 22 febbraio 2023, n. 2, il quale stabiliva nuovi termini in materia di concessioni demaniali marittime, fissando il nuovo termine del 3/4/2023 per la presentazione delle domande di proroga delle concessioni attualmente in essere.
Per la Corte costituzionale, dunque, devono essere applicate norme dell’unione europea munite di efficacia diretta.
Ed infatti, si è affermato che «il diritto dell’unione europea sottopone il rilascio del titolo autorizzativo a stringenti condizioni, atte a favorire il ricambio tra gli operatori e a rimuovere gli ostacoli all’ingresso nel mercato di riferimento», con il conseguente obbligo di provvedere alla disapplicazione della normativa nazionale.
13.5. La Corte di giustizia UE, con la sentenza dell’11/7/2024, causa C-598/22, ha ritenuto che l’art. 49 TFEU deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione.
Ha ribadito la Corte di giustizia UE che «il rinnovo di una concessione di occupazione del demanio pubblico si traduce nella successione di due titoli di occupazione di tale demanio e non nella perpetuazione o nella proroga del primo. Tale interpretazione è peraltro idonea a garantire che l’attribuzione di una concessione possa avvenire soltanto all’esito di una procedura concorrenziale che ponga tutti i candidati e gli offerenti su un piede di parità».
13.6. Di particolare interesse è la sentenza del Consiglio di Stato, 20/5/2024, n. 4479, che segue alla riassunzione del giudizio dopo la pronuncia di questa Corte, a sezioni unite, n. 32559 del 23/11/2023, che ha annullato la sentenza n. 18 del 9/11/2021 dell’Adunanza Plenaria.
Il Consiglio di Stato ha, dunque, chiarito la permanente efficacia della sentenza n. 17 del 19/11/2021 dell’adunanza plenaria.
Ha affermato che la direttiva 2006/123/CE ha effetti diretti, è self executing ed è immediatamente applicabile, sicché tutte le
proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turisticoricreative sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva.
Dopo aver richiamato tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continua ad introdurre, «con una sistematica violazione dei diritti dell’unione», le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018; art. 182, comma 2, del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito in legge n. 67 del 2020; art. 100, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2020, convertito in legge n. 126 del 2020; articoli 10quater , comma 3 e 12, comma 6sexies , del decreto-legge n. 198 del 2022, inseriti dalla legge di conversione n. 14 del 2023 e l’art. 1, comma 8, della stessa legge n. 14 del 2023, che ha introdotto il comma 4bis all’art. 4 della legge n. 118 del 2022; articoli 3 e 4, della legge 5/8/2022, n. 118; legge n. 14 del 2023, art. 1, comma 8), il Consiglio di Stato ha ribadito che si è mantenuta la disciplina delle attuali concessioni balneari italiane senza termine, in contrasto con i richiamati principi dell’unione (Cons. Stato, sentenza n. 4479 del 2024).
Ancorché, come detto, richiamando la più recente giurisprudenza unionale, nonché la stessa pregressa giurisprudenza amministrativa, il requisito dell’interesse transfrontaliero certo non sembri più costituire condizione necessaria ai fini dell’indizione della gara, il Consiglio di Stato ha qui, comunque, ritenuto utile ribadire che l’interesse transfrontaliero certo è «da presumersi finché non venga accertato che la concessione difetti di tale interesse, sulla scorta di una valutazione completa della singola concessione» (paragrafo 20 della sentenza n. 4479 del 2024). Ma ha anche chiosato che ove la
risorsa sia oggettivamente scarsa – come accade in molte Regioni (cfr. paragrafo 17.7.) -, non vi è neppure la necessità di accertare l’interesse transfrontaliero certo (paragrafo 20.3.).
Il Consiglio di Stato ha poi ritenuto compatibile con il diritto dell’unione «la sola proroga tecnica», funzionale all’espletamento della gara, prevista dall’art. 3, commi 1 e 3 della legge n. 118 del 2022 nella sua originaria formulazione, prima delle modifiche determinate e apportate dal decreto-legge n. 198 del 2022, dove è stato previsto il termine di efficacia delle concessioni al 31/12/2023.
Si è anche sottolineato che compete al legislatore fissare le regole che presiedono allo svolgimento delle procedure competitive, come chiarito dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 del 2024.
Si è però anche precisato che, pure nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone in ogni caso di procedere all’indizione della gara.
Non è però consentito, sul piano logico prima ancora che cronologico, disporre una proroga tecnica finalizzata alla conclusione di una procedura di gara che nemmeno sia stata avviata, quantomeno a livello programmatico, pur di fronte a vicende contenziose e/o a difficoltà legate all’espletamento della procedura stessa.
13.7. E’ ancora utile riferire che il decreto-legge 16/9/2024, n. 131, convertito con la legge 14/11/2024, n. 166, ha fissato la cessazione delle concessioni demaniali marittime al 30/9/2027 o, al massimo, al 31/3/2028, nel caso in cui non sia possibile concludere le procedure di selezione del concessionario entro la prima data, in accordo con le istituzioni europee.
In particolare, l’art. 3 della legge 5/8/2022, n. 118, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 16/9/2024, n. 131, stabilisce al comma 1 che «l fine di consentire l’ordinata programmazione delle procedure di affidamento di cui all’art. 4 e il loro svolgimento nel rispetto del diritto dell’Unione europea e secondo le modalità stabilite dal medesimo art. 4, continuano ad avere efficacia fino al 30 settembre 2027, ovvero fino al termine di cui al comma 3, qualora successivo, se in essere alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base di proroghe o rinnovi disposti anche ai sensi della legge 30 dicembre 2018, n. 145, e del decreto-legge di 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126: a) le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio dell’attività turistico-ricreative e sportive di cui all’art. 01, comma 1, del decreto-legge 5 ottobre 1993 n. 400».
L’art. 3, comma 3bis , della legge n. 118 del 2022, come modificata dal decreto-legge n. 131 del 2024, prevede anche che «i titolari delle concessioni demaniali marittime per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e dei punti di approdo con finalità turistico-ricreative in cui sono istallati manufatti amovibili , possono, in vigenza del titolo concessorio e ferma restando la corresponsione del relativo canone, fino alla data di aggiudicazione delle procedure selettive avviate ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera a), n. 1.1.), secondo periodo, del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, mantenere installati i predetti manufatti anche nel periodo di sospensione stagionale dell’esercizio delle attività turisticoricreative».
13.8. Il Consiglio di Stato (sentenza n. 4479 del 2024), a tale riguardo ha ritenuto di chiarire che tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, anche quelle in favore di concessionari che avessero ottenuto il titolo
in ragione di una precedente procedura selettiva, laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata prima del 31 dicembre 2023, sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva.
Ciò senza che gli Stati membri «dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità» (Cons. Stato, sentenza n.4479 del 2024, paragrafo 15.5.), con la precisazione per cui «l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie incom ai giudici nazionali e alle autorità amministrative, comprese quelle comunali, senza che ciò possa essere condizionato o impedito da interventi del legislatore».
Per la giurisprudenza amministrativa può considerarsi compatibile con il diritto dell’Unione la sola proroga «tecnica», funzionale allo svolgimento della gara (Cons. Stato, 4479/2024, paragrafo 25).
14. Va, però chiarito che nella fattispecie in esame la società ha precisato nella memoria scritta del 6/5/2025 che «l’originaria scadenza della concessione demaniale marittima n. 8/2004 era il 31 dicembre 2009, e che la stessa ha fruito della proroga ex lege al 31 dicembre 2020, disposta con d.l. n. 194/2009 come modificato dal d.l. n. 221/2012», ammettendo espressamente che «il 31 dicembre 2020 la società ha rinunciato alla concessione demaniale marittima n. 8/2004 a far data dal 1 ° gennaio 2021».
Tale ammissione è stata ribadita nel corso dell’udienza pubblica dall’avvocato della società.
È dunque pacifico che alla data in vigore della legge 5/8/2022, n. 118, la concessione demaniale della società non era più «in essere», non trovando applicazione il decreto legge 16 settembre 2024, n. 131, che ha modificato l’art. 3 della legge n. 118 del 2022,
che ha previsto il perdurare della efficacia fino al 30 settembre 2007 delle concessioni demaniali marittime «in essere» alla data della entrata in vigore «della presente legge».
14.1. Pertanto, risulta fondato il secondo motivo di ricorso per cassazione, in quanto alle concessioni demaniali non più in essere alla data del 27/8/2022, data di entrata in vigore della legge n. 118 del 2002 – come nella specie -va applicato, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenze 20/4/2023, in causa C-348/22, Comune di Ginosa; sentenza 14/7/2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, RAGIONE_SOCIALE), oltre che della Corte costituzionale (sentenza n. 109 del 2024) e di quella del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. VII, 20/5/2024, n. 4479), il principio comunitario della necessità dell’espletamento della gara, non essendo consentito il rinnovo automatico e dovendosi disapplicare i relativi provvedimenti amministrativi.
Il terzo motivo è inammissibile.
15.1. Infatti, la Corte d’appello, con giudizio di merito, attraverso l’esame delle risultanze istruttorie e delle conclusioni cui è pervenuto il CTU ha ritenuto corretto inserire l’attività esercitata dalla società nell’ambito del settore «terziario», pur facendo applicazione di quanto previsto «dal procedimento di calcolo stabilito dall’art. 1, comma 251, lett. B) 2.1. della legge 27.12.2006, n. 296».
Ha evidenziato che non poteva trovare accoglimento la prospettazione delle amministrazioni che chiedevano che il canone fosse calcolato mediante l’adozione delle valutazioni OMI riferite agli immobili a destinazione commerciale; tesi fondata sul presupposto che il concessionario consegue un vantaggio economico dall’attività.
La Corte territoriale ha ritenuto che tale impostazione confondesse «il termine attività commerciale di ispirazione civilistica», con la più circoscritta nozione di destinazione
commerciale riferita alla tipologia immobiliare OMI, relativa ad immobili adibiti alla sola attività commerciale in senso stretto.
15.2. Peraltro, questa Corte, sia pure ai fini previdenziali, dovendosi decidere in ordine alla iscrizione dei gestori di impianti balneari, tra le imprese artigiane oppure tra quelle commerciali, ha reputato che debba essere attribuita decisività al «requisito della prevalenza di tali servizi, ovvero della loro accessorietà e strumentalità, rispetto ai servizi non commerciali, consistenti nella sistemazione, pulizia e riassetto della spiaggia e delle attrezzature occorrenti per rendere confortevole la permanenza dei clienti».
Pertanto, ha ritenuto questa Corte (Cass., sez. L, 27 maggio 2003, n. 8439) che in presenza di un’attività di impresa con una pluralità di prestazioni, rispettivamente riconducibili negli schemi della locatio rei e locatio operis , l’individuazione di quelle principali e di quelle accessorie «necessariamente passa attraverso una valutazione comparativa, che consideri il bene primario, sotto il profilo funzionale ed anche economico, offerto alla clientela».
Si è chiarito, soprattutto, che «l’inclusione di una determinata attività fra quelle commerciali lascia aperto ed impregiudicato il problema in questione, vale a dire non esclude che la stessa attività possa essere espletata dall’imprenditore artigiano, dato che l’ampia nozione di attività commerciale (v. ultimo comma del citato art. 2195 c.c.) abbraccia anche le prestazioni di servizi diversi da quelli commerciali in senso stretto (servizi diversi che sono propri anche dell’azienda artigiana, se rispetti i ricordati limiti di dimensione)».
Tale orientamento è stato successivamente confermato da questa Corte. Si è, infatti, ritenuto, che ai fini dell’inquadramento valido anche per il conseguente regime previdenziale ed assistenziale – dell’attività di fornitura di servizi ed attrezzi da spiaggia nel settore artigianale o commerciale, l’inclusione
dell’attività di esercizio di stabilimenti balneari tra quelle di natura commerciale, operata dall’art. 29, primo comma, della legge n. 160 del 1975 (che aveva sostituito l’art. 1 della legge n. 1397 del 1960), è venuta meno, a decorrere dal primo gennaio 1997, a seguito della nuova disciplina introdotta dall’art. 1, Comma 203, della legge n. 662 del 1996, che non contiene più detto specifico riferimento.
Pertanto, la qualificazione della menzionata attività va effettuata in base al disposto dell’art. 49 della legge n. 88 del 1989, il quale richiama, per l’individuazione delle attività ricomprese nel settore dell’artigianato, i requisiti stabiliti dalla legge 443/85: in caso di pluralità di attività esercitate, quelle tipicamente commerciali devono essere solo strumentali ed accessorie rispetto a quelle artigianali; ai fini previdenziali, quindi, ogni valutazione va effettuata in relazione alla natura dell’attività ritenuta prevalente.
La Corte ha, dunque, confermato il decreto della Corte d’Appello, che aveva ritenuto il carattere artigianale dell’impresa, la quale svolgeva altresì attività di somministrazione di alimenti e bevande mediante l’esercizio di un bar, rilevando che il valore delle attrezzature destinate alla prestazione dei servizi di spiaggia era più elevato di quello dei beni strumentali utilizzati per l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, che il volume di affari dichiarato per tale ultima attività, prevista nella licenza come relativa al “Bagno”, era notevolmente inferiore a quello riferibile alle attività relative ai servizi di spiaggia e che l’apertura del bar era strettamente collegata alla utilizzazione delle strutture aziendali per l’utilizzazione dell’arenile, avendo carattere stagionale ed essendo circoscritta alle ore diurne (Cass., sez. 1, 2 dicembre 2004, n. 22609; poi anche Cass., sez. 1, 18 marzo 2005, n. 5980, per la quale la legittimità dell’iscrizione all’albo delle imprese artigiane deve essere verificata solo alla stregua dei criteri dettati dalla legge n. 443 del
1985, i quali consentono l’iscrizione anche alle imprese che esercitano, oltre a quelle artigianali, attività tipicamente commerciali – come la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande purché esse «siano solamente strumentalità ed accessorie»).
15.3. Da ultimo questa Corte con ordinanza n. 16088 del 7/6/2023 ha ritenuto – superando il principio della prevalenza della tipologia di attività svolta – che la volontà espressa dal dato testuale dell’art. 1, comma 251, n. 2, della legge n. 296 del 2006 è rivolta ad individuare in modo differenziato le modalità di determinazione del canone, in ragione della diversa natura delle pertinenze, appunto connesse ad attività commerciali, terziarie, direzionali e di produzione di beni e servizi.
Si prendono in considerazione non soltanto la fascia, la aggregazione di zone omogenee, la tipologia edilizia, ma anche la destinazione degli immobili all’interno della zona di riferimento.
Tale precedente di questa Corte attiene, però, all’attività di ristorazione e bar (in tal senso anche TAR Lazio, Sez. IV, 17/6/2024, n. 12245; TAR Lazio, sez. V-ter, 31/12/2024, n. 23845, che si riferisce a bar, cucina, tabaccheria e negozi; Cons. Stato, sez. VII, 1/3/2023, n. 2137), quindi ad una ipotesi diversa da quella in oggetto, che attiene all’utilizzo di una piscina.
15.4. Il giudizio di merito espresso dalla Corte di appello, che si è riferita proprio alla nuova disciplina del 2006, non può però essere sindacato in questa sede.
Anche perché l’art. 1, comma 251, n. 2, della legge n. 296 del 2006, laddove si sofferma sulle «concessioni comprensive di pertinenze demaniali marittime», prevede l’applicazione di un criterio identico per «le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione e servizi», mentre i ricorrenti
non chiariscono quali siano in concreto i diversi criteri di calcolo, che condurrebbero ad importi differenti.
16. Il quarto motivo è fondato.
Deve essere accolto, poi, il motivo di ricorso articolato dalla Agenzia delle dogane e dal MEF, in quanto erroneamente il giudice di appello ha dato atto che ricorrevano i presupposti per il «raddoppio» del contributo unificato con riferimento all’appello incidentale proposto dalla ADD e dal MEF.
Per questa Corte, in tema di raddoppio del contributo unificato a carico della parte impugnante ex art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, l’attestazione del giudice dell’impugnazione della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore (c.d. doppio contributo) può essere condizionata all’effettiva debenza del contributo unificato iniziale, che spetta all’amministrazione giudiziaria accertare, tenendo conto di cause di esenzione o di prenotazione a debito, originarie o sopravvenute, e del loro eventuale venir meno (Cass., Sez. U.., 20 febbraio 2020, n. 4315).
Ed infatti, nella specie, il « raddoppio» del contributo unificato non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il terzo motivo di ricorso;
cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione