Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 28959 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26835/2024 R.G. proposto da
COGNOME NOME, in proprio ed in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
,
e
;
– ricorrenti –
Civile Ord. Sez. U Num. 28959 Anno 2025
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, che ha indicato il seguente indirizzo
di posta elettronica certificata:
e
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione;
-intimate – avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 3963/24, depositata il 2 maggio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 maggio 2025 dal Presidente NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE, già concessionaria di un’area demaniale marittima per l’esercizio di uno stabilimento balneare in Ameglia, propose ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, per sentir annullare la delibera della Giunta regionale della Liguria n. 112 del 14 febbraio 2019, la delibera della Giunta municipale n. 49 del 10 aprile 2019 , la delibera del Consiglio comunale n. 29 del 31 luglio 2019 e la delibera della Giunta municipale n. 90 del 3 agosto 2019, con cui erano state impartite disposizioni per l’attuazione del piano particolareggiato degli arenili e della fascia costiera, nonché l’atto di diffida del 29 maggio 2020, con cui il responsabile dell’area tecnico-urbanistica del Comune aveva intimato ai concessionari demaniali l’immediata demolizione dei manufatti abusivi realizzati in parte su suoli demaniali ed in parte su suoli di proprietà privata, con rimessione in pristino
;
-controricorrente –
e
REGIONE LIGURIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
e
;
-controricorrente –
dello stato dei luoghi.
1.1. Con sentenza del 17 novembre 2022, il Tar rigettò la domanda.
L’appello proposto dalla COGNOME è stato rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza del 2 maggio 2024.
A fondamento della decisione, il Giudice amministrativo di secondo grado ha ritenuto innanzitutto insussistenti uno scarto temporale tra la durata del piano particolareggiato (avente scadenza al 2029) e quella residua delle concessioni demaniali, e la conseguente impossibilità per gli operatori economici di mantenere le strutture indispensabili per la gestione delle aree, osservando che, a seguito delle sentenze dell’Adunanza plenaria 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, che avevano ritenuto contrastanti con il diritto dell’Unione Europea le proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, il termine di efficacia di queste ultime era stato individuato nel 31 dicembre 2023, ed aggiungendo che con sentenze del 1° marzo 2023, n. 2192, 28 agosto 2023, n. 7992 e 28 novembre 2023, n. 10237 era stata riconosciuta la possibilità della disapplicazione, anche da parte delle Autorità amministrative, dell’art. 3 della legge 5 agosto 2022, n. 118 e dell’art. 10quater del d.l. 29 dicembre 1922, n. 198, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14, che avevano differito il predetto termine dapprima al 31 dicembre 2024 e successivamente al 31 dicembre 2025, con l’affermazione dell’obbligo di indire le procedure di gara pe r l’affidamento delle concessioni, potendo il differimento essere disposto con atto motivato solo in presenza di ragioni oggettive che impedissero la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2024. Ha ritenuto comunque generiche le censure proposte dall’appellante, osservando che il rilascio della concessione balneare non assicura al titolare un diritto di insistenza sine die o un incondizionato diritto di permanenza sul bene demaniale, ma una situazione soggettiva condizionata alla sussistenza ed alla permanenza delle condizioni paesaggistico-ambientali ed urbanistico-edilizie, e rilevando che la ricorrente non aveva spiegato in qual modo l’intervento urbanistico contestato avrebbe vulnerato il suo legittimo affidamento.
Il Consiglio di Stato ha poi escluso che, ai fini del recepimento delle prescrizioni impartite dalla Regione in sede di approvazione del piano, fosse ne-
cessaria la rinnovazione del procedimento previsto dalla legge regionale 8 luglio 1987, n. 24, trattandosi di modifiche sostanziali ma circoscritte, in quanto relative ad una limitata porzione territoriale e a una specifica previsione normativa, che non comportavano quindi una rielaborazione complessiva del piano, e non essendo la pubblicazione richiesta in caso di modificazione del piano a seguito dell’accoglimento delle osservazioni o delle modifiche introdotte in sede di approvazione. Ha ritenuto inoltre superfluo il coinvolgimento dell’RAGIONE_SOCIALE, osservando che le strutture balneari che si prevedeva di rimuovere erano per lo più di facile rimozione/stagionali oppure abusive/irregolari, e reputando non pertinente il riferimento all’arricchimento che l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe tratto dall’incameramento della proprietà delle stesse, avuto riguardo alla questione trattata, riguardante la compatibilità urbanistica delle opere edilizie.
Quanto poi all’incidenza delle previsioni contenute nelle norme tecniche di attuazione sull’esercizio remunerativo dell’attività d’impresa, il Giudice amministrativo ha escluso che le stesse costringessero i concessionari ad acquistare aree private al fine di realizzare opere edilizie, osservando che il piano degli arenili aveva inteso riorganizzare per ragioni di pubblico interesse l’intero litorale, prevedendone la liberazione dai disorganici manufatti edilizi esistenti e la realizzazione di nuovi manufatti di minor impatto quantitativo e paesistico nelle retrostanti aree non demaniali. Ha aggiunto che i costi per le opere di urbanizzazione sarebbero stati sostenuti dai nuovi concessionari, rilevando comunque che le concessioni non prevedevano la facoltà di realizzare edifici. Ha ritenuto inoltre insussistente l’interesse a contestare le scelte pianificatorie sulla base del rilievo che le aree confinanti sarebbero divenute edificabili, e ha escluso la configurabilità di un affidamento in ordine al mantenimento delle strutture, giacché alla scadenza delle concessioni i titolari avrebbero dovuto rilasciare le aree demaniali libere dai manufatti.
Il Consiglio di Stato ha disatteso infine le censure riguardanti gli atti di diffida a demolire, rilevando che la ricorrente non aveva prodotto i titoli edilizi che ne legittimavano la presenza, aggiungendo che la necessità di rimuovere le strutture attuali costituisce il proprium delle concessioni demaniali, e ritenendo indimostrato che l’area in questione fosse stata caratterizzata da un
progressivo, forte e veloce arretramento della linea del mare.
Avverso la predetta sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi il Comune e la Regione. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 362 cod. proc. civ., dell’art. 110 cod. proc. amm. e dell’art. 111, ottavo comma, Cost., la violazione dell’art. 288, comma terzo, TFUE e dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, sostenendo che, nel disapplicare le disposizioni della legge n. 145 del 2018 e del d.l. n. 198 del 2022, la sentenza impugnata è incorsa in eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al potere legislativo, non avendo tenuto conto del carattere non self executing della predetta direttiva.
Premesso infatti che l’art. 12 della stessa impone agli Stati membri l’obbligo di applicare procedure di selezione pubbliche, imparziali e trasparenti, per il rilascio di autorizzazioni per una determinata attività, ove il numero di tali autorizzazioni «sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili», prevedendo inoltre che le stesse abbiano una durata limitata e vietandone la rinnovazione automatica, richiama la giurisprudenza unionale, secondo cui tale disposizione lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili per la valutazione della predetta scarsità. Rilevato inoltre che il legislatore italiano non ha affatto disposto una proroga automatica delle concessioni, ma ha istituto presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un tavolo tecnico per la definizione dei predetti criteri, prevedendo che i rapporti in questione continuino ad avere efficacia fino al rilascio delle nuove concessioni, sostiene che il termine individuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non ha alcun fondamento normativo, ma è stato creato autonomamente dal Giudice amministrativo, il quale ha ecceduto l’ambito dei propri poteri d’interpretazione ed applicazione del diritto, invadendo la sfera riservata al legislatore.
Aggiunge che, anche a voler ritenere la direttiva self executing , la disap-
plicazione delle norme interne ha avuto luogo in favore di una Pubblica Amministrazione, in violazione del principio secondo cui, in caso d’inerzia del legislatore nell’attuazione di una direttiva, il carattere vincolante della stessa può essere invocato esclusivamente nei confronti dello Stato membro cui è rivolta.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 362 cod. proc. civ., dell’art. 110 cod. proc. amm. e dell’art. 111, ottavo comma, Cost., la violazione degli artt. 29 e 99 cod. proc. amm., dell’art. 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 741, degli artt. 117, primo comma, e 134 Cost., dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sostenendo che la sentenza impugnata è incorsa in eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata alla Pubblica Amministrazione ed alla Corte costituzionale, avendo attribuito alle pronunce dell’Adunanza Plenaria una portata normativa, sostanzialmente abrogativa della legge n. 145 del 2018 e del d.l. n. 198 del 2022.
Premesso infatti che il provvedimento comunale che comunicava la caducazione delle concessioni alla data del 31 dicembre 2023 era stato ritenuto privo di efficacia lesiva, e quindi non impugnabile, in quanto dichiarativo degli effetti delle predette pronunce, afferma che in tal modo è stata negata ad essa ricorrente la possibilità di richiedere che fosse sollevata la questione di legittimità costituzionale della relativa disposizione. Ribadisce inoltre che, nell’attribuire portata normativa alle pronunce dell’Adunanza Plenaria, la sentenza impugnata ha invaso la sfera riservata al legislatore nazionale ed a quello unionale, avendo integrato indebitamente il contenuto della direttiva 2006/123/CE, senza verificare in concreto la sussistenza del requisito della scarsità delle risorse naturali.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 362 cod. proc. civ., dell’art. 110 cod. proc. amm. e dell’art. 111, ottavo comma, Cost., la violazione dell’art. 7 cod. proc. amm., censurando la sentenza impugnata per diniego di giurisdizione, nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi in ordine alla questione riguardante lo scarto temporale tra la durata del piano e quella delle concessioni, in virtù dell’esclusione di un diritto di insistenza sine die del titolare.
Sostiene infatti che l’impugnazione del piano si fondava sulla lesione non già di un diritto soggettivo assoluto, ma di un interesse legittimo collegato alla titolarità della concessione, avendo essa ricorrente dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato per contraddittorietà ed eccesso di potere, in quanto, oltre a porsi in contrasto con la durata residua delle concessioni, negava alle concessionarie la possibilità di esercitare l’attività turistico-balneare sul bene che costituiva oggetto della concessione, imponendo alle stesse di acquisire la disponibilità di aree private.
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Come ripetutamente affermato da queste Sezioni Unite, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, denunziabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost., è configurabile soltanto nel caso in cui il giudice speciale applichi una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non anche quando il medesimo giudice si sia limitato ad interpretare, sia pure in via estensiva o analogica, una disposizione di legge, giacché eventuali errori ermeneutici, anche nel caso in cui comportino uno stravolgimento radicale del senso della norma, non investono la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio (cfr. Cass., Sez. Un., 26/12/2024, n. 34499; 9/07/ 2024, n. 18722; 12/12/2018, n. 32175).
Nella specie, attraverso la denuncia del predetto vizio, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini del rigetto dell’impugnazione da loro proposta avverso gli atti del procedimento di approvazione del piano particolareggiato degli arenili e della fascia costiera, ha richiamato i seguenti principi, enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze nn. 17 e 18 del 2021: « a) le norme legislative nazionali che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (ivi compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma secondo, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, e pos-
sono essere pertanto disapplicate sia dai giudici che dalla Pubblica Amministrazione; b) anche nel caso in cui siano intervenuti atti amministrativi di proroga, anche adottati in ottemperanza ad un giudicato favorevole o seguiti da un giudicato favorevole, non sussiste un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari, trattandosi di un effetto previsto direttamente dalla legge, la cui disapplicazione implica che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano ritenersi tamquam non esset ; c) al fine di evitare il significativo impatto socioeconomico derivante da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere e di tener conto dei tempi tecnici necessari per la predisposizione delle procedure di gara richieste, nonché nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto, perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’UE».
Nel censurare i predetti principi, per invasione della sfera riservata al legislatore, i ricorrenti contestano per un verso l’interpretazione della normativa interna fornita dall’Adunanza plenaria, sostenendo che il legislatore nazionale non ha affatto inteso disporre una proroga automatica delle concessioni, e lamentano per altro verso l’errata interpretazione della direttiva 2006/ 123/CE, insistendo sulla natura non self executing della stessa, con particolare riguardo all’individuazione dei criteri per la valutazione della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, in presenza della quale gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell’art. 12, ad applicare procedure di selezione pubbliche, imparziali e trasparenti, ai fini del rilascio di autorizzazioni per una determinata attività.
Sotto il primo profilo, la censura si pone in contrasto con il citato orientamento di queste Sezioni Unite, il quale esclude l’ammissibilità di un sindacato in ordine all’attività interpretativa svolta dal Giudice amministrativo, anche nel caso in cui la stessa si sia tradotta in un provvedimento abnorme o
anomalo oppure in uno stravolgimento delle norme di riferimento (cfr. Cass., Sez. Un., 26/11/2021, n. 36899; 11/11/2019, n. 29082), o ancora nell’individuazione di una lacuna legis e della disciplina applicabile per il suo riempimento (cfr. Cass., Sez. Un., 25/11/2021, n. 36593; 7/07/2021, n. 19244), giacché tale operazione ermeneutica può dar luogo, al più, ad un error in iudicando , ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale: il controllo in ordine all’osservanza di tali limiti, che l’art. 111, ottavo comma, Cost., affida alla Corte di cassazione, non include infatti il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo , non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell’attività giurisdizionale. (cfr. Cass., Sez. Un., 4/12/2020, n. 27770; 25/03/2019, n. 8311).
Quanto poi alla violazione del diritto unionale, va richiamato il principio, anch’esso affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui il controllo del rispetto dei limiti esterni della giurisdizione, che l’art. 111, ottavo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione rispetto alle sentenze del Consiglio di Stato, non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione Europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, TFUE, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato, quale giudice di ultima istanza, garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello della Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, mentre, per contro, l’ordinamento nazionale contempla, per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del Giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell’Unione, altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che sia grave e manifesta (cfr. Cass., Sez. Un., 10/05/2019, n. 12586; 17/11/2015, n. 23460; 6/02/2015, n. 2242; 4/02/2014, n. 2403). E’ quindi
inammissibile il ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale avverso una sentenza con cui, come nella specie, il Consiglio di Stato abbia disapplicato una norma di legge interna per contrasto con norma unionale contenuta in una direttiva europea non immediatamente esecutiva, giacché con esso si deduce, in sostanza, un error in iudicando , asseritamente consistente nell’erronea interpretazione della portata della direttiva europea nell’ordinamento nazionale, e dunque un errore nell’attività ermeneutica, che costituisce il proprium della funzione giurisdizionale (cfr. Cass., Sez. Un., 5/ 12/2019, n. 31758).
5. E’ parimenti inammissibile il secondo motivo.
L’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, deducibile ai sensi dell’art. 111, ottavo comma Cost., è infatti configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal Giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, divenga strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito che si estrinsechi in una pronunzia la quale abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (cfr. Cass., Sez. Un., 8/07/2024, n. 18559; 24/05/2019, n. 14264; 26/11/2018, n. 30526). Tale vizio non è in alcun modo configurabile in relazione alle pronunce con cui, come nella specie, il Giudice amministrativo abbia rigettato il ricorso, poiché il contenuto delle stesse si esaurisce nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituisce in alcun modo a quest’ultimo, conservando l’autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato, fatta eccezione per la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice (cfr. Cass., Sez. Un., 13/03/ 2019, n. 7207; 17/12/2018, n. 32619; 9/11/2001, n. 13927).
Nel richiamare le pronunce dell’Adunanza plenaria, la sentenza impugnata non ha d’altronde preteso in alcun modo di attribuirvi un’efficacia normativa (né autorità di giudicato, trattandosi di sentenze pronunciate nei con-
fronti di altri soggetti), ma si è limitata a ribadire i principi dalle stesse enunciati, non ravvisando ragioni per discostarsene, anche in conformità di quanto previsto dallo art. 99 cod. proc. amm., secondo cui, ove la sezione cui è assegnato un ricorso ritenga di non condividere un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, è tenuta a rimettere alla stessa la decisione, con ordinanza motivata. L’applicazione dei predetti principi non ha comportato in alcun modo una lesione del diritto di difesa della ricorrente, la quale, essendo a conoscenza dell’orientamento del Giudice amministrativo, ben avrebbe potuto nel corso del giudizio eccepire l’illegittimità costituzionale delle norme poi applicate dalla sentenza impugnata o chiedere la rimessione alla Corte di Giustizia UE della questione d’interpretazione della disciplina unionale, non risultando tale facoltà preclusa dalla natura dichiarativa attribuita alla comunicazione inviatale dall’Amministrazione a seguito delle pronunce dell’Adunanza plenaria.
6. E’ infine inammissibile anche il terzo motivo.
In tema di controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione delle sentenze dei giudici speciali, il diniego di giustizia è infatti sindacabile solo in astratto, cioè allorquando il giudice speciale deneghi la propria giurisdizione sulla base dell’erroneo presupposto che la materia, astrattamente considerata, non possa formare oggetto della funzione giurisdizionale, mentre non è configurabile in caso di negazione in concreto di tutela, determinata dall’errata interpretazione di norme sostanziali o processuali, dal momento che in tale ipotesi la censura non investe la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio (cfr. Cass., Sez. Un., 28/11/2024, n. 30605; 26/10/2021, n. 30112; 19/12/2018, n. 32773).
Non è pertanto censurabile sotto tale profilo la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che lo scarto temporale tra la scadenza delle concessioni ed il termine di efficacia del piano fosse insussistente, e comunque irrilevante ai fini della legittimità delle disposizioni di attuazione del piano: a tal fine, infatti, il Consiglio di Stato ha richiamato per un verso la giurisprudenza amministrativa, che aveva individuato la data di cessazione delle convenzioni al 31 dicembre 2023, in virtù della disapplicazione delle norme interne che ne avevano disposto la proroga, rilevando per altro verso che la ricorrente non
aveva individuato il pregiudizio arrecatole dal piano, la cui mera prevalenza sulla concessione non poteva costituire una causa d’illegittimità, giacché la concessione non attribuisce al titolare un diritto incondizionato sine die . In realtà, nel censurare tale statuizione, la ricorrente non ne coglie la ratio decidendi , la quale non consiste nella non tutelabilità in astratto della posizione soggettiva d’interesse legittimo spettante alla titolare della concessione, ma nella mancata prospettazione di un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, non ricollegabile alla mera prevalenza del piano sulla concessione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 27/05/2025
Il Presidente Aggiunto