Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 22376 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 22376 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18436/2023 R.G. proposto da : TENUTA LA REALE RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE; pec: ), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE SESIA
-intimato-
e contro
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE dell’Avvocatura Regionale della Lombardia, pec:
-controricorrente-
avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 82/2023 depositata il 02/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria nel comune di Garlasco (Pavia) di un fondo agricolo (denominato ‘Possessione RAGIONE_SOCIALE‘ o ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ), coltivato principalmente a riso e mais e servito da dotazione di acqua di irrigazione defluente dal cd. ‘Cavo Reale’ o ‘Roggia Reale’ , derivante, tramite una diga esistente sin dal 1500, dal Torrente INDIRIZZO sito nel comune di Tromello (Pavia), impugnava il decreto 16 aprile 2021 della Regione Lombardia, con cui era assentita, congiuntamente all’Associazione RAGIONE_SOCIALE Sesia e alla RAGIONE_SOCIALE, la concessione di derivazione della complessiva quantità d’acqua in misura non superiore a 26 moduli (l/s 2.600) per uso irriguo.
Con il ricorso innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche la società ricorrente evidenziava che:
in data 10 dicembre 1987 l’amministrazione del Condominio Cavo Reale aveva presentato al Ministero dei Lavori Pubblici, un ‘ istanza di concessione in sanatoria e subentro nella precedente domanda, risalente al 6 maggio 1933, della Società RAGIONE_SOCIALE
e Agricoli (P.I.R.E.A.) per grande derivazione d’acqua pubblica dal INDIRIZZO, in Comune di Tromello (PV) per moduli annui medi 25 per uso irriguo (domanda pubblicata, ai sensi dell’art. 7 del regio decreto n. 1775 del 1933, sulla Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 1988);
in data 11 ottobre 2004 l’amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE aveva presentato domanda di concessione in sanatoria della derivazione d’acqua per uso irriguo , incluso l’antico diritto a suo favore per moduli 6,0375 (l/s 603,75), dal Colatore Terdoppio in località Tromello a mezzo del Cavo INDIRIZZO o Massazza durante le stagioni primaverile ed estiva (dal 25 marzo all’8 settembre) nella quantità di l/s 1065,69;
alla domanda del Condominio Cavo Reale, a seguito di istanza presentata nel 2016, era subentrata l’Associazione RAGIONE_SOCIALE Sesia RAGIONE_SOCIALE;
tuttavia:
il Condominio Cavo Reale non era legittimato a presentare la richiesta di concessione in sanatoria e subentro nella domanda del 1933 della società RAGIONE_SOCIALE poiché non era avente causa di quest’ultima, né era proprietario dei terreni della Possessione ‘La Reale’ ;
‘Amministrazione regionale , pertanto, avrebbe dovuto rigettare la domanda di sanatoria e subentro proposta dal Condominio per carenza di titolarità sui terreni da irrigare;
conseguentemente e a maggior ragione, l’ARAGIONE_SOCIALE non poteva subentrare nella domanda del Condominio, né beneficiare della relativa anteriorità temporale, ma avrebbe dovuto presentare una nuova domanda, che poteva essere ammessa solo in concorrenza con quella della RAGIONE_SOCIALE, la cui domanda, del 2004, era la prima in ordine temporale.
Concludeva per l’illegittimità del provvedimento concessorio poiché aveva frustrato la possibilità, per la ricorrente, di ottenere il maggiore quantitativo d’acqua necessario per le coltur e della propria azienda.
Il TSAP rigettava il ricorso, affermando la regolarità della concessione che trovava il suo fondamento nell’art. 58 r.d. n. 1775 del 1933, trattandosi di utenza idrica derivante da un’unica opera di presa dal corso d’acqua pubblica, goduta da una pluralità di utenti.
Evidenziava, inoltre, la carente specificazione della domanda della ricorrente in ordine all’effettivo quantitativo di acqu a necessario per l’irrigazione dei terreni di sua proprietà atteso il riconoscimento, con l’atto concessorio, dell’antico diritto in proprio favore.
Avverso detta sentenza, la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste la Regione Lombardia con atto denominato memoria ex art. 47, quinto comma, cod. proc. civ.
L ‘A.IRAGIONE_SOCIALE. è rimasta intimata.
Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevato che la Regione Lombardia si è costituita depositando memoria formalmente denominata ‘memoria difensiva ex art, 47, comma 5, c.p.c.’, ancorché il ricorso sia ordinario e non sia stato presentato quale regolamento di competenza.
L’atto, peraltro, presenta i requisiti formali e sostanziali del controricorso ed è stato depositato nei termini ex art. 370 cod. proc. civ., sicché l’inesatta denominazione non è ragione di inammissibilità
(v. per l’ipotesi speculare Cass. n. 25891 del 21/12/2010; Cass. n. 34595 del 16/11/2021).
1.1. Sempre in via preliminare, va disattesa l’eccezione di difetto di interesse sollevata dalla Regione Lombardia: il ricorso, infatti, mira ad ottenere il riconoscimento a proprio favore della derivazione in via principale e prevalente e non solo in concorrenza.
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 58 r.d. n. 1775 del 1933, di cui, contrariamente a quanto affermato dal TSAP, non ricorrevano i presupposti posto che ciascuno degli utenti aveva utilizzato l’acqua come titolare di un proprio autonomo diritto in nome e nell’interesse proprio e non quale parte di un complesso organismo associativo.
L’art. 58 cit., inoltre, non legittima il consorzio al subentro nelle precedenti istanze di concessione in base all’estensione dei terreni da irrigare, parametro da ritenersi irragionevole posto che oggetto del consorzio non sono i terreni ma la quantità d’acqua necessaria ad irrigarli tenuto conto della natura fisica degli stessi, delle coltivazioni e dei sistemi di irrigazione.
Il motivo è infondato.
L’art. 58 del r.d. n. 1775 del 1933 prevede che « A tutti gli effetti della presente legge le derivazioni ad uso agricolo, che abbiano in comune la presa dal corso di acqua pubblica, anche se godute da diversi utenti, costituiscono una utenza unica complessiva e sono rappresentate secondo le norme regolanti il consorzio, se questo esiste, o la comunione degli utenti ».
Nella vicenda in giudizio, come accertato dal TSAP e neppure posto in dubbio dallo stesso ricorrente, ‘ l’utenza idrica in questione ha un’unica opera di presa dal corso d’acqua pubblico ed è goduta da diversi utenti ‘, sicché la fattispecie è stata correttamente sussunta
nell’art. 58 r.d. n. 1775 del 1933, con la conseguenza che al consorzio degli utenti – nella specie, il consorzio RAGIONE_SOCIALE che, mediante la costituzione del Distretto Cavo Reale, rappresenta i 2/3 della proprietà dei terreni irrigabili – spettava la rappresentanza dei singoli in ogni controversia attinente alla tutela dei diritti di derivazione delle acque pubbliche (v. Sez. U, n. 3353 del 18/03/1992; v. anche TSAP, sentenza n. 42 del 17/05/2000), come anche, di conseguenza, nelle procedure avviate per la regolarizzazione dell’utenza idrica in comune.
Priva di pregio è la dedotta valorizzazione delle quote di proprietà anziché della quantità di acqua necessaria ad irrigare i terreni, posto che è proprio la superficie dei terreni ‘irrigabili con le acque pubbliche derivate dal torrente Terdoppio’ che per mette di identificare, nella sua concreta entità, ‘l’utenza unica complessiva’ prevista dall’art. 58 r.d. n. 1775 del 1933.
E, del resto, va rilevato che il consorzio, costituito ai sensi del citato art. 58, mira, per sua natura, ad assicurare la più razionale e proficua utilizzazione delle acque ed il migliore esercizio delle utenze, perseguendo una finalità di interesse generale distinta da quelle delle singole imprese.
Da ciò, dunque, deriva, come statuito dal TSAP, che l’A.RAGIONE_SOCIALES. (il Distretto Cavo Reale), in rappresentanza pure delle utenze minori dissenzienti, era legittimamente subentrato nelle precedenti istanze di sanatoria dei proprietari confluiti nel Distretto medesimo (tra cui il Condominio e la pregressa domanda di P.I.R.E.A.), agendo, secondo i principi della comunione, in nome e per conto anche delle utenze comuniste che non avevano aderito al consorzio.
5. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. in relazione all’art. 111, comma 6, Cost., vizio di motivazione apparente per aver il TSAP altresì escluso la fondatezza della domanda per non aver il ricorrente ‘ sufficientemente dettagliato
perché le quantità concesse non sarebbero adeguate ‘ e che ‘ non appare certo sufficiente che la domanda di sanatoria risalente al 2004 riguardasse una portata superiore ‘.
Il motivo è inammissibile e per più ragioni.
6.1. La statuizione, invero, integra una seconda ratio decidendi , riferita alla carente prova della sussistenza di un concreto interesse ad agire da parte del ricorrente.
Ne deriva che, ove la sentenza risulti sorretta da due diverse rationes decidendi , distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’infondatezza del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame del motivo riferito all’altra, il quale non risulterebbe in nessun caso idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o infondata (Cass. n. 15399 del 13/06/2018; Cass. n. 5102 del 26/02/2024).
6.2. In secondo luogo, la statuizione, come già su evidenziato, non è apparente, risultando chiaro e argomentato il ragionamento del giudice, il cui iter è agevolmente riscontrabile nei seguenti termini:
-al ricorrente è stato riconosciuto l’antico diritto in suo favore per moduli 6,0375;
la quantità di acqua concessa in derivazione per la complessiva utenza è di gran lunga maggiore perché determinata ‘in misura non superiore a moduli 26,00’;
la superfice dei terreni della società ricorrente è pari a circa un quarto del totale dei terreni irrigabili serviti dalla derivazione di acqua pubblica (ha 204.82.72 a fronte di una complessiva superficie di ha 796.93.97);
il ricorrente non ha indicato, a fronte delle specifiche contestazioni di controparte, perché le quantità concesse non fossero adeguate;
-in ogni caso, non era sufficiente (‘non è certo sufficiente’ ) a tale fine che la domanda di sanatoria del 2004 riguardasse una portata superiore (‘ben potendo la stessa rilevarsi sovrastimata’);
Dunque, la motivazione, pur sintetica, si pone al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. ( v. Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014, nonché, tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021). In realtà la doglianza mira a contestare, e in termini del tutto generici, la sufficienza della motivazione, sicché non è più proponibile ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, sono regolate per soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, in favore della Regione Lombardia, in complessive € 5.000,00 , oltre € 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 06/05/2025.