Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1453 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1453 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11898/2020 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n.1710/2019 depositata il 22.7.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME in data 13.2.1983 contraeva matrimonio con COGNOME NOME in regime di comunione legale tra coniugi, e dalla loro unione nascevano i figli NOME e NOME. Con la sentenza non definitiva n. 519/2008 il Tribunale di Alessandria pronunciava la separazione giudiziale dei coniugi, con scioglimento della comunione legale alla data del 18.4.2007, e tale sentenza veniva confermata dalla sentenza n. 725/2013 del 6.8.2013 della Corte d’Appello di Torino.
COGNOME NOME conveniva, quindi, in giudizio, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, davanti al Tribunale di Alessandria, per chiedere lo scioglimento della comunione relativa all’immobile di Ovada ed alla ditta individuale di autotrasporti del convenuto, asseritamente costituita dopo il matrimonio, e trasformatasi poi, dopo la separazione giudiziale, nella RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (con socio di maggioranza RAGIONE_SOCIALE e soci di minoranza i due figli della coppia), ed in subordine, nel caso in cui la ditta di autotrasporto fosse ritenuta costituita già prima del matrimonio, la divisione degli utili e degli incrementi della stessa esistenti alla data della cessazione della comunione legale, nonché per accertare il valore della quota della COGNOME dei beni donati dal marito e dei conti correnti e fondi patrimoniali esistenti alla cessazione della comunione legale, ed ulteriormente per ottenere la restituzione della somma di € 85.000,00, che la COGNOME aveva ricevuto a titolo ereditario, e che aveva versato a più riprese su un conto corrente intestato solo al marito, somma dal medesimo in parte utilizzata per l’acquisto di beni strumentali dell’impresa di autotrasporti, ed infine per ottenere la condanna del marito alla
liquidazione equitativa delle sue spettanze per il lavoro da lei asseritamente svolto a favore dell’impresa familiare in costanza di matrimonio.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NOMECOGNOME che aderiva alla richiesta di divisione dell’immobile, che le parti poi operavano stragiudizialmente rinunciando alla domanda relativa, e chiedeva il rigetto delle domande della COGNOME, sostenendo che la ditta di autotrasporto, costituita prima del matrimonio, era stata solo da lui gestita, e che la somma ricevuta in eredità dalla moglie e convogliata su un conto corrente a lui intestato, era stata utilizzata per far fronte alle necessità della famiglia, mentre nessuna collaborazione aveva prestato la Del Grande nell’impresa di autotrasporti.
Il Tribunale di Alessandria, assunte prove testimoniali ed espletata CTU, con la sentenza n. 123/2018 del 12.2.2018, accertava che la ditta di autotrasporti era stata costituita già prima del matrimonio e che era stata gestita solo dal Lepratto, che della comunione de residuo tra i coniugi composta dal valore dei beni in comunione, delle somme giacenti sui conti correnti e dei fondi gestione alla data della cessazione della comunione legale (18.4.2007) faceva parte il valore complessivo di € 55.923,18, per cui la quota di spettanza della Del Grande era di € 27.961,59, alla quale andava aggiunta la somma di €14.000,00 di esclusiva proprietà della Del Grande perché derivatale da successione ereditaria e versata su un conto corrente intestato solo al Lepratto, e pertanto condannava quest’ultimo al pagamento in favore dell’attrice della complessiva somma di € 41.961,39, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, compensando le spese processuali e ponendo a carico delle parti, per metà ciascuna, le spese di CTU.
Avverso tale sentenza proponeva appello in via principale la COGNOME che chiedeva di accertare che la ditta di autotrasporti era stata costituita in costanza di matrimonio, per cui le apparteneva
per metà, ed in subordine di accertare che gli utili e gli incrementi della stessa, facenti parte della comunione de residuo, le competevano per metà, riproponeva le sue maggiori pretese derivanti dallo scioglimento della comunione, e quanto alla somma da lei ricevuta a titolo ereditario di € 85.000,00, chiedeva la condanna della controparte alla restituzione della stessa in suo favore per l’intero, e non per la sola somma riconosciuta in primo grado di €14.000,00.
Contro la stessa sentenza proponeva appello incidentale COGNOME NOMECOGNOME che oltre al rigetto dell’impugnazione principale, chiedeva di respingere l’avversa domanda di restituzione della somma derivata alla COGNOME da successione ereditaria anche per l’importo di € 14.000,00, che in esecuzione della sentenza di primo grado aveva alla predetta pagato e del quale chiedeva la restituzione.
La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1710/2019 del 22.7/23.10.2019, rigettava l’appello principale e l’appello incidentale, compensando le spese processuali di secondo grado.
In particolare la sentenza di secondo grado confermava che la ditta di autotrasporti del Lepratto doveva ritenersi costituita prima del matrimonio in quanto dall’iscrizione nel Registro delle Imprese era desumibile una presunzione di inizio dell’attività d’impresa, confermata dalla titolarità della partita IVA, rilevava che in base all’art. 2082 cod. civ. per l’esistenza dell’impresa era sufficiente l’organizzazione dei fattori di produzione, mentre non era indispensabile la proprietà degli stessi, che potevano essere anche di proprietà di terzi, per cui era ininfluente la circostanza che beni strumentali dell’impresa fossero stati acquistati utilizzando la donazione del 1995 del padre della COGNOME, né poteva il CTU surrogarsi all’attrice nell’assolvimento dell’onere di provare che, in contrasto con la suindicata presunzione, la ditta di autotrasporti fosse stata costituita dopo il matrimonio delle parti del 13.2.1983,
e confermava quindi l’esclusione della ditta di autotrasporti dalla comunione legale tra coniugi.
La Corte d’Appello, poi, sulla base delle testimonianze acquisite, e delle mancate richieste di esibizione e di assunzione di informazioni aziendali da parte della appellante principale, escludeva che vi fosse stata una cogestione della ditta di autotrasporti da parte della COGNOME, che pur essendo dotata di un’ampia delega bancaria per le attività della ditta, non aveva provato di averla effettivamente utilizzata, né aveva provveduto alla tenuta della contabilità, affidata ad un soggetto terzo, essendosi limitata in qualche occasione a consegnare alla commercialista alcuni documenti aziendali per conto del marito.
Il giudice di secondo grado evidenziava, poi, che in materia di scioglimento di una comunione, l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e quindi dei beni ed utili entrati nella comunione da sciogliere, gravava sulla parte che aveva richiesto lo scioglimento, e che solo una volta fornita la prova dei fatti costitutivi, il convenuto aveva, a sua volta, l’onere di provare i fatti impeditivi, modificativi, o estintivi concernenti i beni che la controparte avesse dimostrato essere entrati a far parte della comunione, confermando quindi il valore dei beni della comunione legale al momento della sua cessazione accertato in primo grado.
Quanto alla domanda della COGNOME di restituzione della somma di € 85.000,00 da lei ricevuta a titolo di successione ereditaria, la Corte d’Appello riteneva che non fosse stata contestata la ricezione da parte della COGNOME della suddetta eredità, ma che fossero stati contestati i singoli versamenti di essa sul conto corrente intestato al solo Lepratto, ritenendo provato solo il versamento con l’assegno di € 14.000,00, avvenuto su quel conto corrente proprio nel periodo di liquidazione delle somme dell’eredità, e solo genericamente contestato dal COGNOME, che peraltro non aveva
dimostrato, come era suo onere, che tale somma fosse stata utilizzata per soddisfare bisogni familiari.
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto tempestivo ricorso a questa Corte COGNOME NOME, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, affidandosi a quattro motivi, mentre COGNOME NOME é rimasto intimato.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale la COGNOME ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, individuato nella costituzione della ditta di autotrasporti di COGNOME NOME in costanza di matrimonio, sottolineando la mera efficacia dichiarativa e non costitutiva che l’art. 2448 cod. civ. assegna all’iscrizione del Registro delle Imprese.
Il primo motivo é inammissibile, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. apportata dall’art. 54 comma 1 lett. b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L.7.8.2012 n. 134, applicabile ratione temporis in quanto la sentenza di primo grado é stata pubblicata nel 2018, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione non sono più sindacabili.
A ciò va aggiunto che il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. per l’esistenza di una doppia pronuncia conforme in ordine alla collocazione temporale della costituzione della ditta di autotrasporti di Lepratto Maurizio prima del matrimonio, ed in quanto non é stato individuato un fatto storico principale, o secondario decisivo, oggetto di discussione tra le parti, che non sia stato considerato. In ogni caso l’impugnata sentenza non ha attribuito, come sostenuto
dalla ricorrente, all’iscrizione nel Registro delle Imprese della ditta RAGIONE_SOCIALE un’efficacia costitutiva, anziché meramente dichiarativa, essendosi limitata a fare discendere da quella iscrizione, in base all’id quod plerumque accidit, una presunzione di inizio dell’attività dell’impresa, corroborata anche dalla titolarità della partita IVA, e non contrastata da validi elementi probatori di segno contrario.
2) Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 2967 cod. civ.. Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello, nel rigettare il suo terzo motivo di appello, ritenendo assorbiti il 4°, 5° e 6° motivo, le abbia attribuito la mancata dimostrazione della situazione contabile dell’impresa di autotrasporti alla data dello scioglimento della comunione legale (18.4.2007) per non avere utilizzato la delega generalizzata attribuitale, in realtà revocatale nel 2006, ancorché lo stesso CTU incaricato avesse chiesto di essere autorizzato ad accedere alle banche dati tenute dall’Agenzia delle Entrate, in quanto il Lepratto si era limitato a produrre il Modello Unico 2007 relativo ai redditi 2006, sostenendo di non avere più a disposizione la documentazione contabile della ditta antecedente al 2006.
Ulteriormente la COGNOME invoca la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 17.11.2000 n. 14987; Cass. 10.10.1996 n. 8865), secondo la quale i redditi percepiti e percipiendi derivanti dall’attività separata del coniuge fanno parte della cosiddetta comunione de residuo al momento dello scioglimento della comunione legale, se il titolare dei redditi non riesca a dare la prova che sono stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, o per investimenti già caduti in comunione, e sostiene quindi che il Lepratto non avrebbe fornito tale prova contraria che a lui incombeva.
Da ultimo, si duole la ricorrente che il Lepratto non abbia fornito un’adeguata motivazione circa il divario d € 151.380,11 esistente
tra la consistenza del fondo patrimoniale di € 163.414,67 attestata dalla data del 30.6.2006, e quella di appena € 12.034,56 esistente alla data del 31.12.2006.
Il secondo motivo é infondato, in quanto la Corte d’Appello ha correttamente posto a carico dell’attrice COGNOME NOME, che aveva chiesto lo scioglimento della comunione legale e della comunione de residuo, l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi, ossia dell’esistenza di beni della comunione e di utili ed incrementi della ditta di autotrasporti gestita dal Lepratto alla data dello scioglimento della comunione legale (18.4.2007), sottolineando che solo una volta fornita quella prova dall’attrice, il marito avrebbe dovuto dimostrare i fatti impeditivi, modificativi, o estintivi concernenti tali beni, per cui non ha affatto violato l’art. 2697 cod. civ.
In particolare la giurisprudenza più recente di questa Corte, superando il precedente orientamento (del quale sono espressione le sentenze richiamate dalla ricorrente), che aveva ritenuto che i proventi dell’attività separata dei coniugi in regime di comunione legale dei beni dovessero essere comunque destinati in via esclusiva al soddisfacimento dei bisogni familiari e che pertanto una volta fornita la prova dei redditi percepiti, o percipiendi, fosse onere del coniuge percettore dimostrare che gli stessi erano stati consumati per soddisfare i bisogni familiari, ha ritenuto che una siffatta lettura non fosse conforme alla previsione dell’art. 177 lettera c) cod. civ., secondo il quale i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi costituiscono oggetto della comunione, solo se allo scioglimento della comunione non siano stati consumati (cosiddetta comunione de residuo ), per cui occorre prima fornire prova della persistenza degli utili e degli incrementi derivanti dall’attività separata del coniuge alla data della cessazione della comunione legale per farli rientrare nella comunione de residuo , e solo dopo che tale prova sia stata fornita incombe sul percettore
dei redditi l’onere di dimostrare che invece gli stessi siano stati destinati a soddisfare bisogni familiari, o per investimenti già caduti in comunione.
Così la sentenza di questa Corte n. 2597 del 7.2.2006 ha affermato che ” per i proventi dell’attività separata di uno dei coniugi, è dall’art. 177 c.c., lett. c) prevista la cosiddetta comunione de residuo, la quale si realizza al momento dello scioglimento della comunione, limitatamente a quanto effettivamente sussista nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto ivi rinvenirsi ritenendo a essa destinati ex lege i proventi personali che non siano stati provatamente impiegati per il soddisfacimento dei bisogni familiari, o che siano stati comunque investiti in acquisti già caduti in comunione ” (nello stesso senso vedi Cass. 14.6.2023 n.16993; Cass. 2.11.2022 n. 32212; Cass. n.1429/2018; Cass. 21.10.2010 n. 21648; Cass. n. 13441/2003).
Va detto poi che certamente non era onere del CTU incaricato surrogarsi nell’onere probatorio dei fatti costitutivi gravante sull’attrice.
Quanto al vistoso calo di consistenza del fondo patrimoniale registrato alla data del 31.12.2006 rispetto al precedente ammontare al 30.6.2006, la ricorrente era gravata dall’onere della prova della consistenza del fondo patrimoniale alla data della cessazione della comunione legale (18.4.2007), e non può trasformare un giudizio di divisione dei beni della comunione legale in un giudizio di rendiconto, per giunta senza individuare la violazione di legge contestata, che non può essere quella dell’art. 2697 cod. civ. essendo a suo carico la prova dei fatti costitutivi.
3) Col terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio individuato in una serie di documenti, elencati a pagina 12 del ricorso, che avrebbero dovuto indurre a determinare il valore residuo dei cespiti
dell’azienda di autotrasporti alla cessazione della comunione legale in almeno € 196.380,11, con attribuzione alla Del Grande di una quota pari ad €98.190,05 e non di soli € 27.961,59.
Il terzo motivo, prospettato ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. in presenza di una doppia pronuncia conforme sulla consistenza della comunione de residuo, ed anche perché non sono stati individuati fatti storici primari, o secondari decisivi oggetto di discussione tra le parti e si é fatto piuttosto riferimento alla mancata attribuzione di peso probatorio ad alcuni documenti, omettendo di tenere presente che la valutazione della comunione de residuo é già stata motivatamente compiuta dai giudici di merito, ai quali compete la scelta, nell’ambito del complessivo materiale probatorio raccolto, delle prove ritenute determinanti ai fini della formazione del convincimento, e posto che non può essere richiesto al giudice di legittimità di effettuare un terzo grado di giudizio di merito.
4) Col quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 183 e 115 c.p.c..
Si duole la Del COGNOME che la Corte d’Appello, avallando il ragionamento seguito dal giudice di primo grado, abbia ritenuto da lei non provato dove fosse stata versata la somma di € 85.000,00 percepita a titolo di eredità, aggiungendo che sarebbero stati contestati dal Lepratto i singoli versamenti effettuati dalla moglie sul conto corrente a lui solo intestato. Deduce la ricorrente che in realtà lei aveva documentato i vari bonifici bancari (elencati a pagina 13 del ricorso), effettuati sul conto corrente intestato al marito in coincidenza con la vendita dei beni dell’eredità pervenutale pro quota , bonifici che invoca ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c..
Ulteriormente lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello abbia inspiegabilmente disatteso la circostanza che il Lepratto alla pagina
4 della comparsa di costituzione e risposta del 17.12.2013 e nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 2) c.p.c. del 17.2.2013 avesse espressamente riconosciuto di aver utilizzato l’eredità della moglie per acquistare un veicolo BMW serie 5 ed una casa in montagna, ritrattando poi tardivamente e contestando inammissibilmente i fatti affermati dalla moglie dopo la definizione del thema decidendum e del thema probandum, in tal modo violando l’art. 115 c.p.c., secondo il quale i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita si considerano provati.
In ordine a tale ultimo motivo, va anzitutto rilevata l’inammissibilità ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. della lamentata violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. in presenza di una doppia pronuncia conforme circa il versamento di € 14.000,00 tramite assegno da parte della Del Grande a favore del Lepratto, provenienti da un’eredità lasciata alla Del Grande e da restituire alla medesima, ed in quanto non é stato dedotto un fatto storico principale, o secondario decisivo oggetto di discussione tra le parti, che non sia stato considerato, essendosi fatto piuttosto riferimento ad una pluralità di documenti relativi a bonifici affluiti sul conto del Lepratto, che però la Corte d’Appello ha già considerato alla pagina 15 della sentenza ritenendoli inidonei, date le contestazioni sul punto del Lepratto, a dimostrare che la relativa provvista fosse proveniente dall’eredità lasciata alla Del Grande.
Quanto alla doglianza relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c., ritiene la Corte che il motivo sia inammissibile per difetto di autosufficienza.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, ” il ricorso per cassazione con cui si deduce l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita,
presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova; tale principio vale tanto nel caso in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, sia perché effettivamente e specificamente contestato da parte sua, sia perché non allegato in modo specifico dalla controparte, quanto nel caso in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del giudice del merito, benché fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato ” (vedi Cass. 4.4.2022 n. 10786; Cass. sez. lav. n.7475/2020; Cass. n. 6303/2019; Cass. n. 12840/2017; Cass. n.20637/2016; Cass. n. 9843/2014; Cass. n. 324/2007).
Nella specie, la COGNOME non ha trascritto nel ricorso, come era suo onere, né i passi della sua citazione di primo grado asseritamente contenenti l’affermazione della ricezione da parte sua di un’eredità di € 85.000,00 e del versamento di tale somma in più tranches sul conto corrente intestato a COGNOME NOME, né i passi della comparsa di risposta e delle successive memorie ex art. 183 comma 6° c.p.c. di COGNOME NOME nei quali lo stesso avrebbe omesso di effettuare specifiche contestazioni ex art. 115 comma 1° c.p.c. e addirittura avrebbe compiuto delle ammissioni circa la destinazione delle somme così ricevute all’acquisto di una BMW serie 5 e di una casa in montagna, e l’omissione ha qui particolare rilevanza sia in quanto la stessa ricorrente sostiene, anche qui in modo generico ed approssimativo, che le suddette ammissioni sarebbero state poi oggetto di tardiva ritrattazione avversaria, sia in quanto la sentenza impugnata ha invece ritenuto che la non contestazione abbia riguardato solo l’attribuzione alla COGNOME di un’eredità di € 85.000,00, ma non il suo integrale versamento su un conto corrente intestato al di lei marito.
Nulla va disposto per le spese processuali di questo grado, in quanto il Lepratto é rimasto intimato.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di COGNOME NOME. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10.1.2025