Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27973 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 27973  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31676/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente principale- contro
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato    in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  GENOVA  n. 295/2020, depositata il 5/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME ha citato in giudizio il coniuge NOME COGNOME, dal quale è separata legalmente, proponendo nei suoi confronti quattro domande principali e una domanda subordinata. NOME COGNOME si è costituito, a sua volta proponendo cinque domande riconvenzionali, delle quali la prima è stata oggetto di rinuncia, nei confronti dell’attrice. Con ordinanza del 19 dicembre 2016 il Tribunale di Genova ha accolto la domanda dell’attrice di divisione della comunione relativa a un immobile sito in INDIRIZZO INDIRIZZO, per mancanza di opposizione del convenuto, liquidando la quota ad essa spettante, ossia euro 7.750, e ha parzialmente accolto la domanda di corresponsione di un ottavo dei canoni di locazione dell’immobile; ha accolto nella misura di euro 763,49 la domanda di condanna del convenuto al pagamento di euro 200.000, quale 50% dei proventi della sua attività lavorativa non consumati al 13 aprile 2013, data di passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Il Tribunale ha poi parzialmente accolto la seconda e la terza domanda riconvenzionale del convenuto, aventi ad oggetto la condanna dell’attrice al pagamento delle spese di amministrazione di un altro immobile sito in Genova, INDIRIZZO, e ha rigettato la quarta domanda riconvenzionale del convenuto volta a ottenere il pagamento delle spese di amministrazione e delle imposte relative all’immobile sito in INDIRIZZO.
 L’ordinanza  è  stata  appellata  da  COGNOME  che  ha  in  particolare contestato il valore dell’ottavo dell’immobile di INDIRIZZO e dei relativi canoni locatizi, nonché il mancato riconoscimento della quota  di  euro  200.000.  Con  la  sentenza  n.  295/2020,  la  Corte d’appello  di  Genova  ha  ritenuto  dovuta  una  maggiore  somma  in relazione  alla  quota  dell’immobile  di  INDIRIZZO  e  ha
rigettato le restanti censure e in particolare la censura relativa alla rivendicazione della somma di euro 200.000 quale quota della comunione de residuo . Quanto alle spese di lite la Corte d’appello ha ritenuto, a fronte del parziale accoglimento di uno solo dei motivi d’appello, di confermare la compensazione delle spese di lite effettuata dal giudice di primo grado e per il giudizio d’appello ha compensato le medesime per quattro quinti, ponendo a carico di COGNOME il restante quinto.
Avverso  la  sentenza  ricorrono  sia  NOME  COGNOME,  con ricorso  notificato  il  4  dicembre  2020,  che  NOME  COGNOME,  con ricorso notificato il 7 dicembre 2020.
Memoria è stata depositata da entrambi i ricorrenti.
CONSIDERATO CHE
 Il  ricorso  di  NOME  COGNOME  è  da  ritenersi  ricorso principale, stante  che  la notifica del ricorso  è  avvenuta  il  4 dicembre 2020, mentre è da ritenersi incidentale il ricorso di NOME COGNOME, notificato il 7 dicembre 2020.
Il ricorso principale è basato su una censura, che contesta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.: in relazione alla domanda di condanna di COGNOME al pagamento di euro 200.000 quale quota della comunione de residuo costituita dai proventi della sua attività, la ricorrente lamenta che controparte non abbia contestato in modo specifico il quantum debeatur , limitandosi a definire iperboliche le somme richieste dalla ricorrente, senza indicare il diverso importo che egli riteneva corrispondente al vero, e questo a fronte delle dettagliate allegazioni di parte attrice; la Corte d’appello avrebbe poi errato laddove ha affermato che sarebbe stato onere probatorio della ricorrente fornire ai sensi dell’art. 2697 c.c. la prova dei fatti affermati, in quanto, sulla base del principio della cosiddetta vicinanza della prova, COGNOME aveva il potere-dovere di fornire elementi positivi atti a contrastare la domanda avversaria; inoltre,
la Corte d’appello ha erroneamente dato valenza probatoria alle indagini della Guardia di Finanza che ha accertato l’esistenza di modeste somme su un conto corrente di COGNOME nel 2013, data del passaggio in giudicato della sentenza di separazione; la causa di separazione è iniziata nel 2011 e la relativa sentenza è passata in giudicato nel 2013, cosicché gli accertamenti bancari disposti ed eseguiti nel 2016 sono stati effettuati dopo un lasso di tempo tale che ha consentito all’interessato di occultare la cospicua liquidità di cui disponeva molti anni prima ed è ormai superato l’orientamento giurisprudenziale per il quale la cessazione del regime di comunione legale tra i coniugi si riconduceva al momento del passaggio in giudicato o dell’omologa della sentenza di separazione; l’avere quindi limitato l’arco temporale dell’indagine della Guardia di Finanza a un’epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza di separazione e non a quello antecedente dell’inizio della causa è un grave error in procedendo , che vizia irrimediabilmente la portata probatoria di tale indagine, indagine comunque superficiale e incompleta in quanto non si è fatto ricorso ai dati dell’anagrafe tributaria.
Il motivo non può essere accolto. Quanto al profilo della mancata contestazione il giudice di merito ha ritenuto che COGNOME abbia contestato la pretesa della ricorrente e ‘l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione; ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto ‘contestato’ uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione e al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa ‘non contestazione’, diventa inammissibile’ (cfr. al
riguardo Cass., n. 27490/2019). Correttamente la Corte d’appello ha posto a carico della ricorrente il rischio della mancata prova della pretesa da ella fatta valere, in quanto appunto si tratta di una domanda di condanna della controparte a pagare una quota di una comunione de residuo e pertanto ad ella spettava provare i relativi fatti costitutivi, né al riguardo è invocabile il principio di vicinanza della prova. La ricorrente poi contesta che la Corte d’appello abbia tratto elementi di convincimento dalle indagini poste in essere dalla Guardia di Finanza, in quanto tali indagini sono state effettuate in relazione al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione e non al momento in cui è iniziato il giudizio di separazione. In realtà la stessa ricorrente ha chiesto (cfr. pagina 3 della sentenza impugnata) il pagamento del ‘50% dei proventi dell’attività lavorativa dell’COGNOME non consumati al 16 aprile 2013, data di passaggio in giudicato della sentenza di separazione’. Correttamente, quindi, l’indagine è stata volta ad accertare quali fossero i risparmi del marito esistenti a tale data, anche perché il disposto di cui al secondo comma dell’art. 191 c.c., secondo il quale nel caso di separazione personale la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati è stato introdotto dall’art. 2 della legge n. 55/2015 e non può quindi trovare applicazione al caso in esame. Il ricorso va pertanto rigettato.
Il ricorso incidentale di COGNOME è articolato in due motivi.
Il primo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nullità della sentenza per motivazione incomprensibile e incoerente quanto alla liquidazione delle spese di lite: la Corte d’appello ha accolto parzialmente solo uno dei motivi di gravame di controparte, cosicché la compensazione per quattro quinti delle spese d’appello con il residuo quinto a carico del ricorrente si pone in violazione del disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c. ed è per di più privo di qualsiasi comprensibile motivazione.
Il motivo è infondato. Come ha più volte precisato questa Corte, ‘la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente’ (cfr. al riguardo Cass., n. 30592/2017).
2. Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.m. n. 55/2014 e delle relative tabelle: la Corte d’appello nel quantificare le spese legali ha considerato lo scaglione da euro 26.000 a euro 52.000, assumendone uno inferiore rispetto a quello corretto sulla base della domanda introdotta dall’appellante, cosicché non solo le spese di lite non dovevano essere addebitate ad COGNOME, ma a COGNOME, sulla base delle regole della soccombenza, ma le stesse dovevano essere calcolate su un diverso e più elevato scaglione.
Il  motivo è inammissibile per mancanza di interesse. Alla luce del rigetto del precedente motivo, che come si è appena visto contesta la  condanna  al  pagamento  di  un  quinto  delle  spese  del  giudizio d’appello, il  presente motivo si presenta contrario all’interesse del ricorrente, essendo volto a ottenere l’applicazione di uno scaglione più  elevato  e  quindi  una  condanna  alle  spese  maggiore  di  quella stabilita dalla Corte d’appello.
Il ricorso va pertanto rigettato.
 A  fronte  del  rigetto  di  entrambi  i  ricorsi,  le  spese  vanno compensate tra le due parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  della  ricorrente  principale  e  del  ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Sussistono, ex art.  13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale  e  del  ricorrente  incidentale,  di  un  ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso  in  Roma,  nella  adunanza  camerale  della  sezione seconda civile, in data 9 aprile 2025.
La Presidente NOME COGNOME