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Comunicazione trasferimento: WhatsApp non basta

Un’ordinanza del Tribunale di Firenze ha respinto il ricorso d’urgenza di un lavoratore che contestava una comunicazione di trasferimento ricevuta via WhatsApp. Il giudice ha ritenuto che tale messaggio informale fosse stato superato da una successiva comunicazione ufficiale (PEC) dell’azienda, la quale chiariva che nessuna decisione definitiva era stata presa. Di conseguenza, è stato riscontrato un “difetto di interesse ad agire” da parte del lavoratore, poiché non esisteva un provvedimento di trasferimento concreto ed efficace da impugnare.

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Comunicazione Trasferimento Lavoratore: Un Messaggio WhatsApp è Abbastanza?

Nell’era digitale, le comunicazioni istantanee come WhatsApp sono diventate uno strumento quotidiano anche nei rapporti di lavoro. Ma che valore legale ha una comunicazione di trasferimento lavoratore inviata tramite chat? Un’interessante ordinanza del Tribunale del Lavoro di Firenze chiarisce i confini tra comunicazioni informali e atti datoriali formali, sottolineando come solo questi ultimi abbiano reale efficacia giuridica.

I Fatti del Caso: La Controversia Nata da un Messaggio

La vicenda riguarda un autista, impiegato con contratto part-time per un servizio di bus navetta, che entra in malattia. Durante il periodo di assenza, riceve un messaggio su WhatsApp dal suo datore di lavoro. Il messaggio lo informa che, al termine della malattia, le sue mansioni dovranno essere svolte presso una sede aziendale a centinaia di chilometri di distanza, a Melito di Napoli.

Preoccupato per le gravi conseguenze di un simile trasferimento, sia personali (dovendo assistere una madre disabile) che professionali (rischio di dimissioni e perdita del reddito), il lavoratore si rivolge al Tribunale con un ricorso d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.), chiedendo di annullare o sospendere il provvedimento.

La Difesa dell’Azienda e la Comunicazione Trasferimento Lavoratore via PEC

L’azienda si costituisce in giudizio e offre una versione diversa. Sostiene che il messaggio WhatsApp non fosse un ordine di trasferimento formale ed esecutivo, ma una mera anticipazione informale. La difesa si fonda su un punto cruciale: successivamente a quel messaggio, l’azienda aveva inviato una comunicazione a mezzo Posta Elettronica Certificata (PEC) al legale del lavoratore.

In questa PEC, l’azienda chiariva in modo formale che si sarebbe riservata di adottare ogni eventuale provvedimento solo al termine dello stato di malattia del dipendente, alla luce delle effettive esigenze tecniche, organizzative e produttive. In altre parole, la PEC smentiva l’esistenza di un trasferimento già disposto, trasformandolo in una mera possibilità futura e condizionata.

L’Analisi del Tribunale

Il Giudice analizza la sequenza delle comunicazioni. Rileva che la comunicazione via PEC, successiva e formale, ha di fatto “superato, integrato e chiarito” il precedente messaggio informale su WhatsApp. La PEC ha trasformato quello che sembrava un ordine perentorio in una semplice “riserva di un eventuale e futuro provvedimento datoriale”.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della decisione del Tribunale risiede nel concetto di “difetto di interesse ad agire” (art. 100 c.p.c.). Il giudice ha stabilito che, al momento del ricorso, non esisteva alcun provvedimento di trasferimento attuale e lesivo contro cui il lavoratore potesse agire. Il messaggio WhatsApp, per quanto allarmante, era stato privato di efficacia giuridica dalla successiva PEC, che ne aveva neutralizzato l’immediata operatività. Poiché l’azienda aveva formalmente dichiarato di non aver ancora deciso alcun trasferimento, il lavoratore non aveva un interesse concreto e attuale a chiedere l’intervento del giudice. Mancava, in sostanza, l’atto da impugnare. Il ricorso è stato quindi respinto non perché il trasferimento fosse legittimo, ma perché, legalmente parlando, un trasferimento non era ancora avvenuto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. Per i datori di lavoro, evidenzia la necessità di utilizzare canali di comunicazione formali (come la PEC) per tutti gli atti che modificano il rapporto di lavoro. L’uso di strumenti informali come WhatsApp può generare equivoci e contenziosi, che possono però essere sanati da successive comunicazioni ufficiali e inequivocabili. Per i lavoratori, la decisione è un monito a verificare l’effettiva esistenza di un provvedimento formale e definitivo prima di intraprendere un’azione legale, specialmente d’urgenza. Un’anticipazione informale, se smentita o chiarita ufficialmente, potrebbe non essere sufficiente a fondare un’azione in giudizio per mancanza di un interesse attuale e concreto.

Un messaggio su WhatsApp può essere considerato un ordine di trasferimento valido?
No, secondo questa ordinanza, un messaggio informale su WhatsApp non è di per sé un atto formale di trasferimento, soprattutto se viene successivamente chiarito o smentito da una comunicazione ufficiale, come una PEC, che ne subordina l’efficacia a eventi futuri.

Perché il ricorso del lavoratore è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto per “difetto di interesse ad agire”. Il giudice ha ritenuto che non ci fosse un provvedimento di trasferimento attuale e concreto da impugnare, in quanto il messaggio WhatsApp era stato superato da una successiva PEC che rimandava ogni decisione al termine della malattia del lavoratore.

Cosa significa “difetto di interesse ad agire” in questo contesto?
Significa che il lavoratore ha avviato una causa senza che vi fosse una reale e attuale lesione del suo diritto. Dato che l’azienda aveva formalmente dichiarato di non aver ancora attuato alcun trasferimento, il lavoratore non poteva ottenere alcun beneficio concreto dalla sentenza, rendendo l’azione legale, in quel momento, inutile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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