Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3028 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3028 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 169-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOMENOME, elettivamente domiciliato in ROMA al INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 15888/2023 del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 09/11/2023;
lette le memorie della ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. l’avv. NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale civile di Lecce in composizione monocratica, COGNOME NOME per il pagamento dei rimborsi e compensi -quantificati sulla base delle tariffe di cui al D.M. n. 55/2014 con riferimento allo scaglione ‘indeterminabile di particolare importanza’, in complessivi € 18.558,33 – per l’attività giudiziale svolta nell’interesse della Sig.ra COGNOME NOME NOME, defunta madre della resistente, nel giudizio civile promosso al fine di ottenere l’annullamento di alcuni atti di disposizione patrimoniale effettuati in vita dalla de cuius , per incapacità di intendere e di volere della medesima.
Si costituiva in giudizio COGNOME Elena che, nel richiedere la separazione, ai fini del giudizio, del proprio patrimonio da quello ereditario avendo accettato l’eredità con beneficio di inventario, contestava non l’esistenza dell’incarico professionale, bensì l’importo complessivo dei rimborsi e compensi richiesto.
In particolare, la resistente eccepiva l’avvenuto pagamento dell’importo di € 4.000,00, non decurtati dal ricorrente.
A seguito di istruttoria documentale, con provvedimento del 17 gennaio 2023, la causa veniva rimessa davanti al Collegio per essere avviata a decisione.
Il Tribunale civile di Lecce, con ordinanza collegiale n. 15888/2023, nell’accogliere la domanda, condannava la resistente
al pagamento della somma di € 9.500,00, previa detrazione della somma di € 2.500,00 che il ricorrente riconosceva di aver già ricevuto in acconto mediante assegno.
Il Collegio evidenziava, inoltre, che l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario non priva l’erede della legittimazione passiva nel giudizio proposto in relazione a posizioni debitorie del de cuius , ma ha la funzione di circoscrivere la sua eventuale responsabilità, per tali debiti, al valore dei beni ereditari.
Avverso tale ordinanza è stato proposto ricorso per cassazione da COGNOME Elena sulla base di quattro motivi, illustrati da memorie.
L’Avv. COGNOME NOME resiste con controricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 702 bis e 702 ter comma 2, 99 e 112 c.p.c., dell’art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 150/2011, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale adito erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto rivolto al Giudice monocratico ed illegittimamente deciso dal Giudice in composizione collegiale. In particolare, a parere della ricorrente, il giudice di merito non avrebbe potuto pronunciarsi sulla domanda attorea, dovendo la stessa essere dichiarata inammissibile in virtù del disposto dell’art. 702 ter, comma 2, c.p.c. applicabile ratione temporis .
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 490, comma 2, c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per aver il Tribunale erroneamente condannato l’odierna ricorrente al pagamento, in proprio e non quale erede beneficiata della defunta madre, dei compensi professionali a favore dell’Avv. COGNOME Daniele,
omettendo di riconoscere, in capo all’erede, gli effetti del beneficio di inventario ai sensi dell’art. 490, comma 2, c.c. e non tenendo conto delle risultanze processuali da questa fornite.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2721 e 2726 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per non avere il Tribunale ammesso la prova per interpello e testi ritualmente formulata dalla ricorrente al fine di dimostrare l’avvenuto pagamento di una parte del compenso professionale da parte della defunta madre, omettendo di fornire le ragioni che avrebbero consentito la prova oltre il limite di valore di cui all’art. 2721 c.c.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per aver il Tribunale omesso di operare la compensazione delle spese di lite, nonostante le risultanze di causa e la condotta processuale delle parti legittimassero tale compensazione, anche alla luce della soccombenza parziale del controricorrente.
Ritiene il Collegio che il primo motivo di ricorso sia fondato e che atteso l’accoglimento del medesimo, restino assorbiti gli altri motivi di ricorso.
Assume la ricorrente che, essendo stato introdotto il giudizio con un ricorso indirizzato al Tribunale in composizione monocratica, lo stesso giudice adito avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare l’inammissibilità della domanda, in quanto proposta con modalità diverse da quelle prescritte dall’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, che, per l’ipotesi di pagamento di compensi maturato per
prestazioni giudiziali civili, prevede la cognizione riservata al tribunale in composizione collegiale.
La doglianza è però in parte qua infondata, in quanto, come si ricava dallo stesso precedente invocato dalla ricorrente (Cass. n. 18331/2019), l’erronea individuazione del Tribunale in composizione monocratica, adito con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ordinario, implica la necessità di disporre il mutamento del rito, al fine di incanalare il giudizio nelle forme imposte dal legislatore per le controversie di liquidazione dei compensi per prestazioni giudiziali civili, senza permettere invece l’adozione di una pronuncia definitoria in rito in termini di inammissibilità (e ciò in quanto la declaratoria di inammissibilità di cui all’art. 702 ter c.p.c. riguarda le ipotesi in cui sia proposta domanda con le forme del sommario di cognizione per ipotesi per le quali, sempre con le forme del rito ordinario, sia prevista la riserva di collegialità, ma non anche al diverso caso, qui in esame, in cui anche la controversia riservata alla decisione del collegio, ex art. 14 citato, sia sottoposta alle forme del processo sommario di cognizione, essendo l’errore della parte suscettibile di essere sempre emendato mediante il mutamento del rito da sommario ordinario a sommario speciale, come appunto previsto dal primo comma dell’art. 4 del D. Lgs. n. 150/2011).
Le critiche della ricorrente si palesano però fondate nella parte in cui segnalano che il procedimento è stato inizialmente trattato dal Tribunale in composizione monocratica, per essere stato poi solo deciso in composizione collegiale, senza che la trattazione stessa si fosse svolta dinanzi al Collegio.
In tal senso rileva, dall’esame degli atti, al quale è possibile per la Corte far ricorso, in ragione del tipo di vizio denunciato, che le
udienze del 5 febbraio 2020 e quelle a trattazione cartolare del 29 settembre 2021 e del 16 febbraio 2022 si sono tenute dinanzi al tribunale in persona del giudice monocratico come pure l’udienza del 6 luglio 2022, all’esito della quale fu disposto rinvio per verificare la possibilità di una conciliazione; all’esito poi dell’udienza del 12 ottobre 2022, con ordinanza emessa dal giudice monocratico, dinanzi al quale l’udienza era stata celebrata, è stata poi rimessa la causa alla decisione del collegio per la data del 13 febbraio 2023, senza che vi sia appunto stata alcuna trattazione collegiale.
Tale modus procedendi si palesa evidentemente erroneo, e determina la nullità della decisione impugnata.
Rileva a tal fine il principio affermato da questa Corte secondo cui le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti degli avvocati sono soggette al rito di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 e sono trattate e decise dal tribunale in composizione collegiale, salva la delega al singolo giudice per l’espletamento degli incombenti istruttori, sicché, ove la decisione sia deliberata in camera di consiglio da un collegio composto da giudici che non hanno assistito alla discussione della causa, si configura la violazione dell’art. 276 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza (Cass. n. 13856/2022, ed in senso conforme Cass. n. 24754/2019; Cass. n. 1276/2024; Cass. n. 25882/2023 che ricorda che, sulla scia di Cass., S.U., n. 12609/2012, è stato chiarito in motivazione che « l’art. 3 del d.lgs. n. 150/2011, al comma 2, prevede, oltre alla designazione del giudice relatore, la sola delega da parte del presidente a uno dei componenti del collegio dell’assunzione dei mezzi istruttori, con la conseguenza che le restanti attività devono svolgersi davanti all’intero collegio,
in particolare la discussione della causa e la precisazione delle conclusioni, essendo tale conclusione confortata dalla relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 150/2011, secondo cui i processi in materia di liquidazione degli onorari degli avvocati “devono essere trattati in composizione collegiale”).
La ricorrenza quindi della detta causa di nullità del procedimento implica che anche la decisione assunta sia invalida, e ciò determina anche l’assorbimento dell’ulteriore censura che la ricorrente muove, per l’ipotesi in cui il tribunale abbia operato il mutamento del rito da sommario ordinario a sommario speciale, in relazione alla tardività di tale mutamento, che sarebbe stato operato ben oltre la prima udienza (per la nullità della decisione che sia stata assunta con le forme di cui al citato art.14, ove il mutamento del rito non sia stato disposto in prima udienza, si veda da ultimo Cass. n. 23783/2024).
L’ordinanza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, deve pertanto essere cassata, con assorbimento degli altri motivi di ricorso, che investono invece il merito della decisione.
Il giudice di rinvio che si designa nel Tribunale di Lecce in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, ed assorbiti gli altri motivi di ricorso, cassa ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 24 gennaio 2025