LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Competenza territoriale collaboratori: la Cassazione decide

Una società di servizi digitali ha contestato la competenza territoriale del Tribunale in una causa promossa dai suoi collaboratori. Questi ultimi chiedevano l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato. La società sosteneva che dovesse applicarsi il foro del domicilio del collaboratore, tipico del lavoro autonomo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che quando si invoca la disciplina del lavoro subordinato, anche le relative norme processuali, inclusa la competenza territoriale collaboratori, devono essere applicate. Di conseguenza, il foro competente è quello del luogo in cui sorge il rapporto o dove si trova una sede dell’azienda presso cui il lavoratore opera.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Competenza territoriale collaboratori: la Cassazione estende le tutele processuali

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nel mondo del lavoro moderno: la competenza territoriale collaboratori delle piattaforme digitali. La decisione chiarisce quale sia il giudice competente a decidere le controversie di quei lavoratori che, pur essendo formalmente autonomi, chiedono l’applicazione delle tutele previste per il lavoro subordinato. La Corte ha stabilito che se si invoca la disciplina sostanziale del lavoro dipendente, si devono applicare anche le relative norme processuali.

I Fatti del Caso

Un gruppo di collaboratori operanti per una nota piattaforma digitale di servizi ha avviato un’azione legale per ottenere il riconoscimento del loro diritto all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, come previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2015, e il conseguente pagamento di differenze retributive. La società convenuta ha sollevato un’eccezione di incompetenza territoriale, sostenendo che il giudice corretto non fosse quello adito, bensì quello del luogo di domicilio di ciascun collaboratore, come previsto per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 413, co. 4, c.p.c.). Il Tribunale di primo grado ha respinto l’eccezione, affermando la propria competenza sulla base dei criteri previsti per il lavoro subordinato (luogo in cui è sorto il rapporto o dove si trova una dipendenza dell’azienda). La società ha quindi proposto ricorso per regolamento di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione sulla Competenza Territoriale dei Collaboratori

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015. Questa norma estende la disciplina del lavoro subordinato a rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. La società ricorrente sosteneva che tale estensione dovesse riguardare solo gli aspetti sostanziali (diritti economici e normativi) e non quelli processuali, come la determinazione della competenza territoriale. Secondo questa tesi, i collaboratori, rimanendo giuridicamente autonomi, avrebbero dovuto far valere i loro diritti presso il foro del proprio domicilio, considerato più favorevole per il lavoratore autonomo. I collaboratori e il Tribunale, invece, ritenevano che l’applicazione della disciplina della subordinazione fosse integrale, comprendendo quindi anche le regole sulla competenza territoriale previste dall’art. 413, co. 2, c.p.c.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la competenza del Tribunale originariamente adito. Le motivazioni della Corte si fondano su una interpretazione sistematica e teleologica delle norme.

L’Applicazione Estensiva della Disciplina del Lavoro Subordinato

Richiamando un suo precedente (sentenza n. 1663/2020), la Corte ha ribadito che l’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 è una ‘norma di disciplina’ e non di ‘fattispecie’, non creando un tertium genus di lavoratore. Essa ha lo scopo di estendere l’intera disciplina della subordinazione a rapporti che, pur non essendolo formalmente, presentano caratteristiche di debolezza economica e organizzativa simili. La Corte ha sottolineato che non è possibile ‘selezionare’ quali norme applicare. Pertanto, l’applicazione deve essere omnicomprensiva, includendo sia le norme sostanziali che quelle processuali, a meno di una oggettiva e ontologica incompatibilità, che in questo caso non è stata ravvisata.

La Correlazione tra Disciplina Sostanziale e Processuale

La Corte ha affermato un principio di stretta correlazione: la scelta dei criteri di competenza territoriale collaboratori è una diretta conseguenza della disciplina sostanziale invocata in giudizio. Se un lavoratore agisce per ottenere le tutele del rapporto di lavoro subordinato, è logico e coerente che si applichino anche i fori territoriali previsti per quel tipo di rapporto. Questi fori (luogo di nascita del rapporto, sede dell’azienda o sua dipendenza) sono pensati per radicare la controversia nel luogo dove si svolge l’attività lavorativa e dove è presente un’organizzazione del datore di lavoro. Questa logica, definita ‘rimediale’, mira a garantire una tutela effettiva, anche attraverso la scelta di un giudice più vicino alla realtà operativa del rapporto.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un importante principio a favore dei collaboratori delle piattaforme digitali e di altre forme di lavoro etero-organizzato. Stabilendo che la richiesta di applicazione della disciplina del lavoro subordinato attira anche le relative regole processuali sulla competenza, la Corte di Cassazione garantisce una coerenza sistematica e rafforza la tutela di questi lavoratori. La decisione implica che le aziende non possono più eccepire l’incompetenza territoriale basandosi sulla natura formalmente autonoma del rapporto, quando l’oggetto della causa è proprio l’applicazione delle tutele della subordinazione. Questo orientamento facilita l’accesso alla giustizia per i collaboratori, consentendo loro di adire il tribunale del luogo in cui effettivamente operano.

Quale criterio di competenza territoriale si applica ai collaboratori che chiedono l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato?
Si applicano i criteri previsti per il lavoro subordinato dall’art. 413, co. 2, c.p.c., ovvero il giudice del luogo in cui è sorto il rapporto, dove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale il lavoratore è addetto o prestava la sua opera.

L’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 riguarda solo gli aspetti sostanziali del rapporto di lavoro o anche quelli processuali?
Secondo la Corte di Cassazione, la norma si applica all’intera disciplina della subordinazione, includendo quindi sia gli aspetti sostanziali (retribuzione, ferie, etc.) sia quelli processuali, come le regole sulla competenza territoriale, salvo casi di oggettiva incompatibilità.

Perché il foro del domicilio del collaboratore non è stato ritenuto applicabile in questo caso?
Il foro del domicilio del collaboratore (art. 413, co. 4, c.p.c.) è previsto per i rapporti di collaborazione autonoma. Poiché la causa aveva ad oggetto proprio la richiesta di applicazione delle tutele del lavoro subordinato, la Corte ha ritenuto che dovesse applicarsi il foro corrispondente alla disciplina invocata, ovvero quello previsto per i lavoratori subordinati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati