Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1509 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1509 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
OGGETTO: regolamento di competenza territoriale -collaboratori ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015
ORDINANZA
sul ricorso per regolamento di competenza iscritto al n. 10634/2023 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Milano, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME Happy, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME Pedro , elett. dom.ti in INDIRIZZO Torino, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrenti
avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano pubblicata in data 03/04/2023, n.r.g. 9294/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Vista la memoria depositata dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.RAGIONE_SOCIALE ha proposto regolamento di competenza avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Milano ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale, sollevata dalla predetta società nell’ambito di un giudizio promosso dai collaboratori indicati in epigrafe per ottenere l’accertamento del loro diritto all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015 e la condanna della società al pagamento delle differenze retributive, calcolate secondo il VI livello ccnl terziario.
2.- COGNOME e altri hanno depositato scritto difensivo.
3.- Il Procuratore Generale, in persona del Sostituto dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte ex art. 380 ter c.p.c. ed ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
1.La società premette che il giudizio non ha ad oggetto l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, bensì soltanto l’accertamento dell’applicabilità della disciplina della subordinazione ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015 a rapporti di lavoro che sono pacificamente di ‘collaborazione coordinata e continuativa’ di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c.
Sulla base di tale premessa, la ricorrente ritiene che il criterio per l’individuazione del giudice territorialmente competente sia quello dettato dall’art. 413, co. 4, c.p.c., ossia il luogo di domicilio del collaboratore. Precisa che nel caso di specie, a seconda della residenza dei vari ricorrenti nel giudizio di merito, tale criterio radicherebbe la competenza territoriale del Tribunale di Monza, del Tribunale di Varese e del Tribunale di Busto Arsizio.
Lamenta che il Tribunale di Milano abbia invece utilizzato il criterio dettato dall’art. 413, co. 2, c.p.c. (ossia quello del luogo in cui è sorto il rapporto, ovvero dove si trova l’azienda o una sua dipendenza in cui il lavoratore è addetto o prestava la sua opera) sulla base dell’assunto che l’applicabilità, ai rapporti di lavoro in esame, della disciplina della subordinazione (disposta dall’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015)
comprenderebbe sia quella di diritto sostanziale sia quella di diritto processuale.
2.- I lavoratori -come già il Tribunale -invocano i principi di diritto espressi da questa Corte nella sentenza n. 1663/2020 (relativa ai riders ), che ha qualificato appunto l’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 come norma di disciplina e non di fattispecie, come tale non idonea a creare un tertium genus (v. par. 39.).
3.- Orbene, la stessa ricorrente ricorda come questa Corte, nel noto precedente sopra citato, ha affermato che ‘ la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile ‘ (v. par. 40.). Ed allora la conseguenza logico-giuridica di questa affermazione è che in via di principio occorre applicare l’intera disciplina (sostanziale e processuale) della subordinazione ai rapporti di cui all’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, quindi -sul piano della competenza territoriale -quella dettata dall’art. 413, co. 2, c.p.c., sicché competente è il Tribunale di Milano.
La ricorrente invoca però quel passo della citata sentenza, in cui questa Corte non ha escluso la presenza di possibili ‘ situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare ‘. Al riguardo, tuttavia, non viene evidenziato alcun profilo di incompatibilità dei rapporti di collaborazione oggetto di giudizio con l’art. 413, co. 2, c.p.c., utilizzato dal Tribunale di Milano per affermare la propria competenza territoriale.
4.Sotto altro profilo, la ricorrente sostiene poi che dall’interpretazione sistematica dei due commi dell’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 si ricava a suo dire -che la disposta applicabilità della disciplina della subordinazione riguarderebbe solo quella sostanziale e non anche quella processuale. Ciò in quanto altrimenti non si spiegherebbe il secondo comma della norma, a tenore del quale la regola posta dal primo comma non si applica nel caso in cui vi siano accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che prevedano discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore. Quindi deduce che ‘se la disciplina stabilita dalle parti collettive (comma 2) può sostituire la disciplina di natura legale (comma 1), se ne
deduce che tra le stesse debba esserci precisa coincidenza’ (v. ricorso per regolamento di competenza, p. 5). E pertanto -conclude -poiché il comma secondo dell’art. 2, d.lgs. n. 81 cit. si riferisce alla disciplina sostanziale, correlativamente alla disciplina sostanziale deve intendersi limitato il comma primo.
La tesi, per quanto suggestiva, non può essere condivisa.
5.- Va premesso che, come già affermato da questa Corte, ‘ L’art. 1 legge n. 128 del 1992 che, modificando l’art. 413 cod. proc. civ., stabilisce, per le controversie di cui all’art. 409 n. 3 dello stesso codice, la competenza del giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente (o degli altri lavoratori parasubordinati indicati), fissa un foro esclusivo (non alternativo o concorrente con quelli indicati al secondo comma del medesimo articolo), la cui previsione è ispirata a esigenze di tutela del lavoratore parasubordinato, restando escluso che, giusta l’ordinanza n. 241 del 1993 della Corte Costituzionale, la suddetta norma sia per ciò sospettabile di illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost .’ (Cass. 22/04/1997, n. 3464; Cass. 04/05/1998, n. 4459).
In particolare, questa Corte ha evidenziato che ‘ l’esigenza di fondo cui si è ispirato lo stesso legislatore è stata quella di radicare la competenza nel luogo in cui l’agente e gli altri prestatori d’opera parasubordinata esplicano o hanno esplicato la loro attività ‘ (Cass. n. 3464 cit., in motivazione), tale dovendo intendersi il luogo del domicilio utilizzato dall’art. 413, co. 4, c.p.c. (su cui v. Cass. ord. n. 17782/2007). Già sotto questo profilo, dunque, non è condivisibile la deduzione della società, che vorrebbe individuare il Tribunale territorialmente competente con riguardo alla residenza anagrafica -invece che al domicilio -di ciascun collaboratore.
6.Dal suo canto, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 241/1993, dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 413, co. 4, c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. In particolare, i giudici remittenti avevano prospettato la violazione dell’art. 3 Cost. ‘ per la discriminazione che esso creerebbe tra lavoratori parasubordinati e lavoratori subordinati che hanno a disposizione tre fori alternativi nonché per la evidente irrazionalità della stessa, essendosi trascurato il foro ove ha sede il mandante o il destinatario della
prestazione ‘, nonché la violazione dell’art. 24 Cost. ‘ essendosi reso più gravoso l’esercizio del diritto di azione dell’imprenditore con notevole aggravio dei costi della difesa ‘. La Consulta precisò che ‘ la scelta dei criteri di determinazione della competenza per territorio è riservata alla discrezionalità del legislatore la quale non è sindacabile nel giudizio di legittimità costituzionale se non sia del tutto irragionevole ‘ e che ‘ nella specie, correttamente e ragionevolmente, per i soli rapporti di parasubordinazione è stato scelto come foro territoriale esclusivo quello del domicilio dell’agente nell’equo contemperamento degli interessi del lavoratore e dell’imprenditore ‘. Dunque decise in termini di manifesta inammissibilità della questione.
7.- Pertanto, deve in via astratta concludersi che il criterio esclusivo del foro del domicilio del collaboratore, previsto dall’art. 413, co. 4, c.p.c. sia certamente più favorevole (nel caso in cui attore sia il collaboratore) dei fori alternativi previsti per il lavoratore subordinato dall’art. 413, co. 2, c.p.c. E può logicamente ritenersi che tale misura sia stata individuata dal legislatore del 1992 per ‘compensare’ il minor grado di tutela apprestato al rapporto giuridico del collaboratore dalla disciplina di diritto sostanziale applicabile (su cui Cass. n. 3464/1997 supra ricordata), nonché per far fronte a quei casi in cui manchi una relazione fisica o materiale fra il collaboratore e l’azienda o una sua dipendenza occasionata dall’esecuzione della prestazione lavorativa . Altrimenti ne conseguirebbe l’ insanabile incertezza nell’applicazione dei criteri posti dall’art. 413, co. 2, c.p.c. pertanto l’inevitabile applicazione del criterio residuale dell’art. 18 c.p.c. (art. 413, penult. co., c.p.c.).
8.- Sotto questo profilo, dunque, deve convenirsi che nella logica dell’art. 413 c.p.c. i diversi criteri di competenza territoriale sono dettati come conseguenza non tanto della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, che può anche essere essa stessa controversa, quanto della disciplina (sostanziale) invocata da chi agisce in giudizio. Ossia la norma istituisce una stretta correlazione fra giudice territorialmente competente e disciplina (sostanziale) che è chiamato ad applicare al rapporto giuridico sottoposto alla sua cognizione: se è quella della subordinazione, allora i criteri di individuazione della competenza territoriale sono quelli previsti
dall’art. 413, co. 2, c.p.c.; se è quella dell’agenzia o di altri rapporti di collaborazione (autonoma), il criterio è quello (più favorevole per il collaboratore) dettato dall’art. 413, co. 4, c.p.c.
9.- Ciò posto, ribadendo i principi di diritto espressi da questa Corte nella sentenza n. 1663/2020, la regola dettata dal comma 1 dell’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 attiene all’intera disciplina della subordinazione. Il carattere omnicomprensivo della norma è tale da indurre a ritenervi inclusa anche la disciplina di natura processuale, proprio perché -come questa Corte ha affermato nel citato precedente -non vi è possibilità di selezionare le norme applicabili. Soltanto in via di eccezione possono ipotizzarsi casi in cui sussista una oggettiva incompatibilità ontologica fra la disciplina (sostanziale e processuale) della subordinazione e i rapporti di collaborazione di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81 cit.
Ebbene, tale incompatibilità non sussiste con riguardo ai criteri di competenza territoriale dettati dall’art. 413, co. 2, c.p.c., ravvisandosi anzi la medesima ratio che indusse nel 1973 il legislatore a individuare quei fori alternativi nelle controversie aventi ad oggetto rapporti di lavoro subordinato: radicare la controversia dinanzi a quel giudice che sia il più vicino possibile ai luoghi interessati dall’esecuzione della prestazione lavorativa e nei quali sia presente anche un’articolazione organizzativa del datore di lavoro a cui quella prestazione sia correlata per essere eterodiretta.
Inoltre, se la ‘norma di disciplina’ di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81 cit. deve essere interpretata in ‘un’ottica sia di prevenzione, sia ‘rimediale’ ‘ (v. punto 26. della motivazione di Cass. n. 1663/2020), allora è inevitabile concludere che la disciplina (della subordinazione) dichiarata applicabile dal legislatore sia non soltanto quella sostanziale, ma pure quella processuale, poiché anche quest’ultima attiene all’ottica ‘rimediale’.
10.- Infine, come si è detto, nella logica dell’art. 413 c.p.c. i diversi criteri di competenza territoriale sono correlati alla disciplina invocata da chi agisce in giudizio. Ne consegue l’irrilevanza del fatto che la controversia sia stata proposta da collaboratori ex art. 409 n. 3), c.p.c., perché ciò che rileva è che l’azione sia volta a conseguire le tutele discendenti dall’applicazione della disciplina (sostanziale) del rapporto di lavoro
subordinato. Pertanto, se chi agisce in giudizio è un collaboratore ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, i criteri per individuare il giudice territorialmente competente sono quelli dettati dall’art. 413, co. 2, c.p.c. , atteso che la controversia ha ad oggetto la disciplina sostanziale del rapporto di lavoro subordinato.
Si tratta di una ricostruzione complessiva del tutto ragionevole: la garanzia del giudice naturale individuato sulla base dei criteri di competenza -nella specie territoriale -è strettamente legata alla disciplina sostanziale che quel giudice è chiamato ad applicare.
11.- La regolazione delle spese va rinviata alla sentenza di merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Milano, dinanzi al quale le parti dovranno riassumere la causa per la prosecuzione del giudizio nei termini di legge; rinvia alla sentenza definitiva di merito la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in