Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 7001 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 7001 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso, n. 12704/2023 r.g., proposto da:
COMUNE DI VERBANIA, in persona del Sindaco pro tempore , PROVINCIA DEL VERBANO CUSIO OSSOLA, in persona del Presidente pro tempore , COMUNE DI CANNOBIO, COMUNE DI BAVENO e COMUNE DI CANNERO RIVIERA, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore , tutti rappresentati e difesi, in virtù di procure speciali allegate al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domiciliano presso lo studio d i quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Pontevecchio di Magenta (MI), alla INDIRIZZO in persona del Presidente del Consiglio di gestione e legale rappresentante NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso i rispettivi indirizzi digitali EMAIL ed EMAIL
-controricorrente –
e
CONSORZIO COGNOME, con sede in Milano, al INDIRIZZO in persona della Direttrice NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
e
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI -DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore , MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA SICUREZZA ENERGETICA, in persona del Ministro pro tempore , ed AUTORITA’ DI RAGIONE_SOCIALE, con sede in Parma, INDIRIZZO, in persona del Segretario Generale e legale rappresentante pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrenti –
e
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore ; REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente pro tempore ; NOME COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore ; MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ SOSTENIBILE, in persona del Ministro pro tempore ; MINISTERO DELLA CULTURA, in persona del Ministro pro tempore ; ISTITUTO PER LO STUDIO DEGLI ECOSISTEMI DEL CNR DI PALLANZA, in persona del legale rappresentante pro tempore ; RAGIONE_SOCIALE
INTERREGIONALE PER IL FIUME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ; ENTE DI GESTIONE DELLE RAGIONE_SOCIALE TICINO E DEL LAGO MAGGIORE, in persona del legale rappresentante pro tempore ; GESTIONE RAGIONE_SOCIALE BACINO DEL LAGO MAGGIORE, in persona del legale rappresentante pro tempore ; GESTIONE RAGIONE_SOCIALE BACINO DEL BASSO LAGO MAGGIORE, in persona del legale rappresentante pro tempore ; ORGANISMO DI CONSULTAZIONE BILATERALE NOMERAGIONE_SOCIALE SULLA REGOLAMENTAZIONE DEL LAGO MAGGIORE, in persona del legale rappresentante pro tempore .
-intimati –
in esteso contraddittorio a
COMUNE DI COGNOME e COMUNE DI COGNOME, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore .
-ricorrenti in primo grado –
avverso la sentenza, n. 73/2023, del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il giorno 31/03/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 11/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso del 21 marzo 2022, i Comuni di Verbania, Ghiffa, Cannobio, Oggebbio, Cannero Riviera e Baveno, nonché la Provincia del Verbano Cusio Ossola -enti rappresentativi delle collettività stanziate sui territori che si affacciano sulle rive del Lago Maggiore -impugnarono, innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, la deliberazione dell’Autorità di Bacino del fiume Po n. 7 del 2021, con cui era stato approvato il proseguimento della sperimentazione, per il quinquennio 2022-2026, ai fini dell’innalzamento, nel periodo estivo, del livello di invaso del Lago Maggiore nei limiti dei livelli già sperimentati, fino a +1.25 m., elevabile a + 1.35 m. in caso di situazioni di
severità idrica ‘ media ‘ o ‘ alta ‘ « nell’area vasta costituita dall’asta del Ticino e del Po ». Ne chiesero l’annullamento assumendo che l’innalzamento del livello del Lago Maggiore da + 1,00 m. a + 1,50 sullo zero idrometrico di Sesto Calende avrebbe inciso su una pluralità di interessi riferibili alla collettività insediata sui rispettivi territori, e segnatamente: l’interesse alla tutela dell’ambiente, in quanto l’innalzamento suddetto avrebbe compromesso il tipico ecosistema lacuale, e quello allo sviluppo economico e sociale, in ragione della riduzione progressiva dell’ampiezza delle spiagge disponibili e della conseguente diminuzione dell’offerta turistica. A fondamento della domanda di annullamento, dedussero che: a ) l’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po non era titolare del potere di incidere sui limiti di regolazione dei livelli del Lago Maggiore, il quale, invece, era attribuito al Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile; b ) la deliberazione impugnata era stata adottata sulla scorta di una travisante ricostruzione della realtà e di una grave omissione degli apporti partecipativi: in particolare, la « carenza di criticità » di cui si leggeva nella menzionata Delibera, era stata smentita dalla ‘ Divisione delle costruzioni, Ufficio dei corsi d’acque-Dipartimento del territorio della Repubblica e Cantone Ticino ‘ , dalla ‘ Gestione Associata Bacino Maggiore Provincia Verbano Cusio Ossola del 20 dicembre 2020 ‘ , dal ‘ Consiglio Nazionale delle Ricerche Istituto di Ricerca sulle acque-Sede secondaria di Verbania ‘ ; c ) la parzialità del provvedimento gravato si era tradotta, altresì, in una scorretta valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti e nella violazione del principio di precauzione.
Instauratosi il contraddittorio, si costitu irono l’A utorità di Bacino distrettuale del fiume Po, la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della protezione civile, il Ministero della Transizione Ecologica, il Consorzio del Ticino, la Regione Lombardia ed il Parco Lombardo della Valle del Ticino, argomentando diffusamente l ‘infondatezza dell’avversa pretesa. Rimasero contumaci, invece, la Regione Piemonte, l’ Arpa Piemonte, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, il Ministero della Cultura, l’I stituto per lo studio degli ecosistemi del CNR di Pallanza, l’A genzia Interregionale
per il fiume Po, l’E nte di gestione delle aree protette del Ticino e del Lago Maggiore, la Gestione associata del demanio idrico lacuale del bacino del Lago Maggiore, la Gestione associata del demanio idrico lacuale del bacino del basso Lago Maggiore e l’O rganismo di consultazione bilaterale italo-elvetico sulla regolamentazione del Lago Maggiore.
3. L’adito Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con sentenza del 31 marzo 2023, n. 73, respinse la domanda degli enti ricorrenti sul rilievo che la regolazione dei livelli di invaso del lago era di pertinenza della « gestione del demanio idrico » cui « provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio », come espressamente previsto dall’art. 63 del d. lgs. n.152 del 2006, che assegnava all’Autorità di bacino distrettuale le competenze regionali relative alla gestione delle risorse idriche. Spiegò le ragioni di infondatezza del motivo di impugnazione con il quale era stata censurata la deliberazione per difetto istruttorio derivante dall’omessa considerazione degli apporti partecipativi degli Enti Locali e delle Autorità svizzere. Affermò, infine, che la decisione impugnata si collocava nell’alveo di misure volte a permettere il contemperamento dei differenti interessi in gioco e che, d’altro canto, le parti ricorrenti non avevano addotto dati e analisi puntuali comprovanti danni all’economia turistica lacuale.
4. I Comuni di Verbania, Cannobio, Baveno e Cannero Riviera, nonché la Provincia del Verbano Cusio hanno promosso ricorso avverso la suddetta decisione, affidandosi a tre motivi. Hanno resistito, con autonomi controricorsi, il Parco Lombardo della Valle del Ticino ed il Consorzio del Ticino, nonché, con unico controricorso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della Protezione Civile, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e l’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po. Non hanno svolto difese in questa sede, invece, la Regione Lombardia, la Regione Piemonte, l’Arpa Piemonte, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, il Ministero della Cultura, l’I stituto per lo Studio degli ecosistemi del CNR di Pallanza, l’A genzia Interregionale per il fiume Po, l’E nte di gestione delle aree protette del Ticino e del Lago Maggiore, la Gestione associata del demanio idrico lacuale del bacino del Lago Maggiore, la Gestione associata
del demanio idrico lacuale del bacino del basso Lago Maggiore, l’O rganismo di consultazione bilaterale italo-elvetico sulla regolamentazione del Lago Maggiore, il Comune di Ghiffa ed il Comune di Oggebbio.
Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, il Collegio ritiene opportuno rimarcare che: i ) l’odierno ricorso deve considerarsi ammissibile, ancorché i motivi denuncino violazioni di legge, poiché, come recentemente ribadito da Cass., SU, n. 28193 del 2024 (cfr. pag. 5 della motivazione), « nelle materie di cui all’art. 143 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione è esperibile, oltre che per i vizi richiamati dall’art. 201 del citato regio decreto -incompetenza ed eccesso di potere -, anche per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale. Il controllo affidato alle Sezioni Unite afferisce, cioè, non alle sole questioni inerenti alla giurisdizione, perché tale limitazione, a norma dell’art. 111 Cost., è operante unicamente per le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (Sez. U, 29 ottobre 2002, n. 15251; 1 ottobre 2003, n. 14624; da ultimo 15 aprile 2020, n. 7833) »; ii ) la questione riguardante la configurabilità, o meno, della legittimazione attiva degli odierni ricorrenti non assume specifico rilievo con riferimento alla impugnazione in esame, perché il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha espressamente disposto l’assorbimento dell a corrispondente eccezione pregiudiziale in applicazione del ‘ principio della ragione più liquida ‘ ( cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è così rubricato: « Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 89, comma 1, lett. b), e 91 del d.lgs. n. 112/1998; art. 63, comma 11, del d.lgs. n. 152/2006; artt. 5 e 13 del d.P.R. 1.11.1959, n. 1363; art. 2, comma 170 e 171, del d.l. 3.10.2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24.11.2006, n. 286); artt. 3 e 5 del d.P.C.M 23.12.2020, n. 190 ( ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) ». Si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui -pronunciandosi in merito alla lamentata incompetenza dell’ Autorità di Bacino ad adottare il provvedimento gravato -il giudice di prime cure, in pretesa violazione delle
norme indicate in rubrica, ha ritenuto che la regolamentazione della INDIRIZZO (sbarramento di altezza superiore ai 15 metri, posto a servizio di un invaso -il Lago Maggiore -ben superiore ad 1.000.000 di m³), con particolare riferimento alla determinazione dei livelli di invaso del Lago Maggiore, « rientra nella competenza del livello di governo regionale » e, nello specifico, che l’attività di sperimentazione « è attribuita all’ Autorità di Bacino », residuando in capo al Ministero unicamente le competenze relative « alla sicurezza dello sbarramento e alla struttura della diga ».
2.1. Questa doglianza si rivela infondata, posto che il giudice di prime cure, dopo aver esaurientemente descritto la complessiva cornice normativa nella specie concretamente utilizzabile, l’ha correttamente interpretata ed applicata, giungendo alla conclusione -che questa Corte condivide -che « le competenze statali (e ministeriali) attengono esclusivamente alla sicurezza dello sbarramento ed alla struttura della diga, e dunque alla materia delle infrastrutture e pianificazione delle opere idrauliche (per questo motivo, il richiamo all’art. 1 del decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 1994, n. 584 è inconferente, in quanto riferito per l’appunto alla realizzazione di opere di sbarramento). La regolamentazione delle acque -ivi inclusa la regolamentazione dei livelli di invaso del Lago ai fini dell’utilizzo, anche ambientale, dell’acqua in esso contenuto -rientra quindi nella competenza del livello di governo regionale. Nello specifico, la gestione dell’attività di sperimentazione è attribuita all’Autorità di Bacino (presieduta in Conferenza Istituzionale Permanente dal Ministero dell’Ambiente), che si occupa del coordinamento tecnico e della vigilanza del concessionario Consorzio del Ticino » ( cfr . pag. 11 della sentenza impugnata).
2.2. Gli odierni ricorrenti sostengono che alcune circostanze da essi dedotte innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche non sarebbero state da questo scrutinate. Il riferimento è alle autorizzazioni -compiutamente indicate: il 10 marzo 1961, quando il Consorzio inoltrò al Ministero dei Lavori Pubblici istanza per effettuare, in via sperimentale, un maggior invaso estivo, previe intese con il Governo svizzero; il 18 luglio 1986,
allorquando il medesimo Ministero autorizzò, ancora una volta nei limiti convenuti con la delegazione svizzera, il livello di invaso; il 23 aprile 2012, quando la richiesta per elevare la soglia di invaso fu presentata al Ministero dell’Ambiente -per variare i livelli di regolazione del Lago, tutte sempre inoltrate dal Consorzio del Ticino al menzionato Ministero.
Al contrario, rileva la Corte che, come pure condivisibilmente affermato nel proprio controricorso d all’Avvocatura dello Stato , il Tribunale suddetto ha fornito una esauriente ricostruzione dell’evoluzione dell’ordinament o, dando conto anche del variare delle attribuzioni delle competenze. Infatti, muovendo proprio dall’ultima delle circostanze citate dai ricorrenti, quella, cioè, del richiesta del 23 aprile 2012, la sentenza oggi impugnata l ‘ha richiamata e presa in considerazione esplicitamente laddove ( cfr . pag. 4) ha rimarcato che « il Consorzio del Ticino, con nota del 23 aprile 2012, proponeva al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (oggi Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), alla Regione Piemonte e alla Regione Lombardia una istanza di autorizzazione », successivamente precisando che, per valutare tale istanza, « il Ministero richiedeva all’Autorità di Bacino del fiume Po di convocare una conferenza di servizi istruttoria ». Ciò perché, ha spiegato il Tribunale ( cfr . pag. 9), « La regolazione dei livelli di invaso del Lago -oggetto della presente contenziosa -pertiene alla ‘gestione del demanio id rico’ cui ‘provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio’, come espressamente prescritto dall’art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 ».
Quello stesso giudice, del resto, ha indicato il fondamentale elemento di raccordo tra competenze statali e locali, correttamente individuandolo nell’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006, che assegna all’Autorità di bacino distrettuale le competenze regionali relative alla gestione delle risorse idriche. Orbene, considerato che è il medesimo art. 63, al comma 2, a prevedere che le Autorità di bacino distrettuali siano indirizzate e coordinate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (oggi Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), il Tribunale ha spiegato ( cfr . pag. 10-11 della sentenza impugnata) che: i ) « Gli atti di indirizzo, coordinamento
e pianificazione delle Autorità di bacino sono adottati in sede di conferenza istituzionale permanente (organo dell’Autorità di bacino), cui partecipano i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico, nonché il Ministro dell’ambiente e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri e, nei casi in cui siano coinvolti i rispettivi ambiti di competenza, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo »; ii ) «Ai fini del presente giudizio, conta sottolineare che il comma 11 dell’art. 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce espressamente che « le Autorità di bacino coordinano e sovrintendono le attività e le funzioni dì titolarità dei consorzi di bonifica integrale di cui al regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, nonché del Consorzio del Ticino-Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell’opera regolatrice del Lago Maggiore , con particolare riguardo all’esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche e di bonifica, alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e alla fitodepurazione ». È evidente, dunque, che il Tribunale, oltre che prendere in considerazione la suddetta circostanza della cui omessa valutazione oggi si dolgono gli enti ricorrenti, ha fornito gli elementi e presentato ordinatamente la sequenza dei passaggi logico-normativi che spiegano il motivo per cui, il 26 aprile 2012, il Ministero aveva richiesto all’Autorità di Bacino del fiume Po di convocare una conferenza di servizi istruttoria per valutare l’istanza del Consorzio del Ticino di elevare la soglia di invaso del Lago.
Le altre circostanze invocate dagli stessi enti, cioè le precedenti istanze del 1961 e del 1986 che il medesimo Consorzio inoltrò al Ministero dei Lavori Pubblici, appaiono, invece, irrilevanti, se non altro perché, nelle more, l’ordinamento è stato modificato dal d.lgs. n. 112/1998, come, del resto, chiarito dal Tribunale fin dal principio del suo ragionamento ( cfr . pag. 9 della sentenza impugnata, laddove si è sancito, come si è già anticipato, che « La regolazione dei livelli di invaso del Lago -oggetto della presente contenziosa
-pertiene alla ‘gestione del demanio idrico’ cui ‘provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio’, come espressamente prescritto dall’art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 »).
2.3. Per i ricorrenti , poi, un’altra circostanza, asseritamente dirimente, che il Tribunale a quo non aveva valutato e che, invece, a loro dire, dimostrava la fondatezza del proprio assunto (ossia della competenza dell’Autorità statale a stabilire i livelli di invaso del Lago Maggiore, non rilevando il fatto che trattavasi di sperimentazione ), troverebbe riscontro testuale nella stessa impugnata Delibera del 20 dicembre 2021, n. 7, ove si legge che: ‘ Al termine dell’attività oggetto della presente deliberazione, si demanda al M inistero della Transizione Ecologica la cura dell’istruttoria tecnica presso il Consiglio dei lavori pubblici per la definizione stabile della nuova regola di gestione dei livelli lacustri ‘ (art. 1, par. 10).
Al contrario, ritiene la Corte che proprio il fatto che trattasi di sperimentazione ha un suo particolare rilievo, come, del resto, lo stesso Tribunale non ha mancato di evidenziare. Invero, la delibera impugnata non modifica l’atto di concessione, disponendo la sola prosecuzione delle attività di sperimentazione, la quale viene mantenuta ai medesimi livelli previsti dalla delibera precedente n. 1 del 2015, senza alcun incremento del livello massimo (segnatamente: + 1,25 metri dal 15 marzo al 15 settembre, con la possibilità di innalzare il livello a +1,35 metri nel caso di crisi idrica severa e prolungata).
Pertanto, l’assunto dei ricorrenti di individuare nel l’ evocato passaggio del testo della Delibera della Conferenza istituzionale permanente impugnata un riscontro letterale al proprio convincimento per cui la competenza alla regolazione degli invasi, anche a fini sperimentali, permarrebbe in capo al Ministero (da ciò derivando, a loro dire, l’invalidità della citata delibera che aveva disposto la prosecuzione delle attività di sperimentazione sulla regolazione dei livelli estivi dell’invaso dell’Autorità di bacino distrettuale ) non merita seguito. Infatti, diversamente da quanto da essi auspicato, quel passaggio della citata delibera mostra, chiaramente, che non era stata disposta alcuna modificazione del disciplinare di concessione. In altri termini, nessuna definizione stabile della nuova regola di gestione dei livelli lacustri
era stata sancita da quella delibera, atteso che una tale definizione potrà avvenire solo per mezzo della modifica dell’atto di concessione che costituirà l’ultimo passaggio, peraltro del tutto eventuale, che potrà compiersi solo qualora il risultato delle attività di sperimentazione lo dovesse consentire, e che certamente vedrà coinvolto il Ministero dell’Ambiente e, da ultimo, il Consiglio dei lavori pubblici, in quanto, oltretutto, la sicurezza dello sbarramento e la struttura della diga, e dunque la materia delle infrastrutture e pianificazione delle opere idrauliche, gli pertiene.
2.4. Neppure può condividersi l’affermazione dei ricorrenti secondo cui la normativa che è succeduta al d.P.R. n. 1363/1959 aveva ribadito l’impostazione originaria circa la competenza a d incidere sulla regolamentazione dei livelli dell’invaso, confermandola al Ministero.
Così opinando, infatti, essi mostrano, ancora una volta, di non considerare che la regolazione dei livelli di invaso del Lago riguarda la « gestione del demanio idrico » cui « provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio », come espressamente prescritto dall’art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998, mentre le competenze statali (e ministeriali) attengono esclusivamente alla sicurezza dello sbarramento ed alla struttura della diga, e, dunque, alla materia delle infrastrutture e pianificazione delle opere idrauliche. In altri termini, gli stessi finiscono per non inquadrare correttamente la reale portata dei compiti via via conferiti al Registro italiano Dighe, alla Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche, ed ai suoi uffici periferici: ricostruzione che, invece, ha trovato adeguato e corretto riscontro nella sentenza oggi impugnata. In particolare, come ancora condivisibilmente osservato dalla medesima Avvocatura dello Stato, « la conclusione secondo cui il potere di regolamentare l’uso della diga, di disciplinare il limite massimo di invaso e svaso delle dighe e di rilasciare la concessione all’esercizio delle dighe, cui conseguirebbe il potere di re golamentare il livello di invaso ai fini dell’utilizzo della risorsa idrica contenuta nell’invaso sotteso alla diga medesima , spetterebbe al MIMS anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 112/1998 non appare del tutto coerente rispetto all’apparato legislativo di settore, in quanto non tiene conto della
differenza, fondata normativamente, tra la materia relativa alle dighe e la materia della gestione del demanio idrico; in quest’ultima rientrerebbe la modificazione dei livelli di invaso di cui trattasi » ( cfr . pag. 28 del suo controricorso).
Orbene, come può agevolmente desumersi da ll’art. 91 del d.lgs. 112 del 1998 (a tenore del quale il Registro italiano dighe -RID, che sostituisce il Servizio nazionale dighe, provvede esclusivamente ‘ ai fini della tutela della pubblica incolumità, all’approvazione tecnica dei progetti ed alla vigilanza sulla costruzione e sulle operazioni di controllo spettanti ai concessionari sulle dighe di ritenuta ‘ ) e dal l’art. 2, comma 171, del d.l. n. 262/2006 (il quale dispone che ‘ fermi i compiti, gli obblighi, e le responsabilità degli enti concessionari e dei soggetti gestori in materia di sicurezza, nonché le funzioni di controllo delle amministrazioni concedenti, i compiti e le attribuzioni facenti capo al Registro italiano dighe, ai sensi del citato articolo 91, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, nonché dell’articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 marzo 2003, n. 136, sono trasferiti al Ministero delle infrastrutture ‘ ), al MIMS (Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili) sono trasferiti i soli poteri relativi all’approvazione tecnica dei progetti ed alla vigilanza sulla costruzione e sulle operazioni di controllo spettanti ai concessionari sulle dighe di ritenuta; si tratta, pertanto, di funzioni inerenti alla materia della sicurezza infrastrutturale e della sicurezza idraulica connessa alle infrastrutture, nonché alla materia della pianificazione delle opere idrauliche e non, invece, come opinato dai ricorrenti, di poteri inerenti alla materia delle concessioni e della gestione delle risorse idriche.
2.5. Infine, resta da dire, come ulteriore dimostrazione dell’infondatezza dell’odierna doglianza, che: i ) l’interpretazione dell’art. 1 del d.l. n. 507 del 1994 datane dagli enti ricorrenti, per i quali tale norma regola la fase della realizzazione delle dighe ma non esclude, affatto, la competenza del Ministero a stabilire i livelli di invaso dei grandi invasi, così come non sancisce la relativa competenza in capo all’Autorità di bacino , stravolge completamente la lettera e il senso di quanto affermato, sul punto, dal Tribunale, il quale si è limitato
ad affermare, sostanzialmente, che il richiamo all’art. 1 di detto d.l. n. 507/1994, effettuato dai medesimi enti, è inconferente, in quanto riferito, per l’appunto , alla realizzazione di opere di sbarramento, ovverosia alla sola realizzazione di tali opere. Mentre è l’art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998 la norma che il Tribunale ha correttamente identificato come quella che prevede la competenza a regolare i livelli di invaso del Lago, indicando testualmente che « La regolazione dei livelli di invaso del Lago -oggetto della presente con tenziosa pertiene alla ‘gestione del demanio idrico’ cui ‘provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio’ , »; ii ) il tentativo dei ricorrenti di contrastare la lineare ricostruzione fatta dal Tribunale Superiore sostenendo che la competenza per la fase di esercizio (e, dunque, la determinazione dei livelli di invaso) è disciplinata dall’art. 2 dello stesso d.l. n. 507/1994, altresì rilevando che quell’articolo , al comma 1, non fa che prevedere l’emanazione di un regolamento che a l momento della decisione della sentenza oggi impugnata non era stato ancora emanato, sicché, fino alla sua entrata in vigore, giusta il successivo comma 2 del medesimo articolo, continuava ad applicarsi il d.P.R n. 1363 del 1959, si infrange contro la ragionevole considerazione che, in realtà, già solo per l’epoca in cui quest’ultimo fu emanato, cioè nel 1959, sarebbe estremamente difficoltoso sostenere che detto d.P.R. contenesse norme volte a regolare il fenomeno di cui oggi si discute, cioè la sperimentazione della regolazione estiva dei livelli idrometrici del Lago Maggiore finalizzata a verificare la possibilità di disporre di una riserva idrica aggiuntiva per le aree circostanti e per i differenti comparti d’uso (uso irriguo, industriale, idropotabile, energetico e ambientale) e per contrastare l’incremento di frequenza e severità , accentuatosi in questi ultimi anni, delle crisi idriche.
Tra l’altro, l’art. 13 del d.P.R. n. 1363 del 1959 (d.P.R., quest’ultimo, che, giova rimarcarlo, contiene il Regolamento per la compilazione dei progetti, la costruzione e l’esercizio delle dighe ), specificamente invocato dagli enti ricorrenti per ulteriormente rafforzare il proprio convincimento ( cfr. pag. 1516 del loro ricorso), si occupa della fase di costruzione delle dighe e degli sbarramenti, e in relazione ai soli casi di sbarramenti non ancora ultimati (tra
i quali, dunque, certamente non può rientrare, oggi, la INDIRIZZO Miorina, perché da tempo ultimata) prevede l’autorizzazione a d invasi parziali a titolo sperimentale e in via provvisoria. È di tutta evidenza, allora, che non poteva ritenersi plausibile che quel d.P.R. regolasse il fenomeno suddetto al momento della decisione del Tribunale Superiore oggi impugnata.
2.6. Né questa conclusione può ritenersi efficacemente smentita e/o superata dall’avvenuta emanazione, solo nelle more di questo procedimento di legittimità , del Regolamento previsto dall’art. 2, comma 1 , del d.l. n. 507 del 1994, ossia del decreto del Ministero Infrastrutture e dei Trasporti 14 maggio 2024, n. 94, avente ad oggetto: ‘ Regolamento recante la disciplina del procedimento di approvazione dei progetti e del controllo sulla costruzione e l’esercizio degli sbarramenti di ritenuta (dighe e traverse) ‘, s u cui hanno particolarmente insistito i ricorrenti nella loro memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 27 febbraio 2025. Esso, infatti, proprio in ragione del suo concreto oggetto, deve intendersi riferito alle competenze statali (e ministeriali) concernenti la sicurezza degli sbarramenti e la struttura delle dighe, e, dunque, la materia delle infrastrutture e pianificazione delle opere idrauliche, restando, dunque, alle regioni ed agli enti locali competenti per territorio, giusta l’art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998, la regolazione dei livelli di invaso del Lago, in quanto riguardante la « gestione del demanio idrico » (una fonte regolamentare, del resto, non può ritenersi idonea, in liea di principio, a modificare l’assetto delle competenze legislative ).
Neppure, del resto, potrebbe ragionevolmente concepirsene una sua applicabilità a vicende (quali, appunto, l’adozione della deliberazione della Conferenza istituzionale permanente dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po del 20 dicembre 2021, n. 7, qui in discussione) cronologicamente risalenti a quasi due anni e mezzo prima della sua emanazione: ciò anche in ragione del fatto che l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 507 del 1994, nello stabilire che ‘ Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1 continuano ad avere applicazione il regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1 novembre 1959, n. 1363, e le disposizioni
tecniche ed amministrative emanate sulla base di questo ‘ , faceva comunque ‘ salve le innovazioni apportate dalla legislazione successiva ‘ .
Pertanto, insistendo nella loro opinione smentita dal Tribunale a quo , gli enti ricorrenti mostrano, ancora una volta, di non considerare che la regolazione dei livelli di invaso del Lago riguarda la « gestione del demanio idrico » cui « provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio », come espressamente prescritto dall’art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998, mentre le competenze statali (e ministeriali) attengono esclusivamente alla sicurezza dello sbarramento ed alla struttura della diga, e, dunque, alla materia delle infrastrutture e pianificazione delle opere idrauliche.
2.7. In definitiva, come ancora condivisibilmente osservato dall ‘Avvocatura dello Stato già nel proprio controricorso , per quanto i medesimi ricorrenti abbiano cercato di accreditare un’interpretazione estensiva delle disposizioni contenute nel d.P.R. n. 1363 del 1959, al fine di ricomprendervi ambiti di regolazione che nemmeno risultano essere stati presi in considerazione dal legislatore dell’epoca, tale sovrainterpretazione non può trovare accoglimento. Opinare diversamente significherebbe avallare una s valutazione del complesso di norme a tutela dell’ambiente e delle risorse idriche che via via ha arricchito l’ordinamento e che, modificando l’assetto previgente, ha attribuito nuove funzioni a nuovi enti (le Autorità di bacino distrettuali, ex art. 63 d.lgs. n. 152 del 2006, vedono loro assegnate le competenze regionali in materia di risorse idriche), ed Organi (la Conferenza istituzionale permanente adotta gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino distrettuali), da ciò derivando, altresì, che oggi le competenze statali (e ministeriali) investono esclusivamente la sicurezza dello sbarramento e la struttura della diga, e, dunque, la materia delle infrastrutture e pianificazione delle opere idrauliche.
2.8. In contrario, nemmeno può fondarsi la pretesa competenza Ministeriale ( id est del Ministero delle infrastrutture) a regolare i livelli di invaso del Lago su esigenze di valutazioni di tipo ‘ politico ‘ di livello generale, e sui riflessi transregionali e transnazionali, tanto rivelandosi sostanzialmente
un tentativo di radicale travisamento dei processi storici che hanno determinato le attuali competenze.
2.9. Esigenze di completezza, infine, impongono di ricordare che già, la sentenza resa da Cass., SU, n. 252 del 2021, riguardante la crisi idrica del Lago di Bracciano, aiuta a confermare la spettanza a livello regionale della competenza di cui oggi si discute. Anche in quel l’occasione , infatti, le misure vennero adottate in un tavolo tecnico regionale, la cui competenza a deciderle non fu in alcun modo contestata.
Il secondo motivo di ricorso, rubricato, « Nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione. Violazione di legge: art. 132, n. 4, c.p.c. ( ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) », ascrive al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di avere omesso totalmente di motivare con riguardo alle censure (pur dedotte in ricorso) di contraddittorietà e violazione del principio d’imparzialità dell’azione amministrativa. S i assume che, sul punto, sono state utilizzate mere formule di stile, senza che, viceversa, sia possibile evincere le effettive ragioni del rigetto del ricorso in parte qua .
3.1. La doglianza risulta infondata.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha illustrato esaustivamente le argomentazioni poste a base della sua conclusione reiettiva del ‘ secondo ordine di motivi ‘ di impugnazione ivi prospettati dagli odierni ricorrenti, spiegando, con dovizia di particolari, perché la delibera impugnata non aveva omesso di considerare gli apporti partecipativi degli Enti Locali e delle Autorità svizzere ( cfr. amplius , pag. 11-13 della sentenza in esame). Nessuna carenza argomentativa, allora, è ravvisabile su questo profilo, in quanto il Tribunale ha espressamente considerato i rilievi critici refluiti nella relazione finale dando atto delle osservazioni critiche e rilevando come le stesse non ponessero questioni concretamente ostative bensì considerassero comunque proseguibile la sperimentazione.
Si tratta di motivazione che esplicita le ragioni della decisione su questo punto, rendendone agevolmente individuabile l’ iter logico seguito, dovendo qui solo puntualizzarsi che il rispetto della prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
impone al giudice del merito, non già di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, bensì di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. 24434 del 2016, nonché, in motivazione, Cass., SU, n. 34782 del 2024). In altri termini, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in Cassazione ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 11176 del 2017 e l’appena citata Cass., SU, n. 34782 del 2024 ).
Pertanto, non resta che constatare che il motivo in esame, per come concretamente argomentato , a fronte, tra l’altro, di una decisione adeguatamente motivata, si risolve in un tentativo di riversare dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione la cognizione dell’intero merito della vicenda, così nemmeno considerando che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr ., tra le più recenti, Cass. nn. 5237, 21424 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 14595 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 10712 e 27328 del 2024; Cass., SU, n. 34782 del 2024; Cass. n. 3284 del 2025).
4. Il terzo motivo di ricorso, infine, denuncia « Violazione di legge: artt. 6 e 10, della L. 7.8.1990 n. 241. Violazione dell’art. 9 Cost., dell’art. 3 TUE, degli artt. 21, 191, 192 e 193 TFUE (principi di imparzialità, di adeguatezza dell’istruttoria e della valutazione comparativa degli interessi coinvolti -principio di leale collaborazione tra enti pubblici -principio euro-unitario di precauzione e di azione preventiva) ( ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) ». Si censura il capo della sentenza con cui il medesimo Tribunale ha ritenuto che il provvedimento gravato fosse ossequioso dei principi di doveroso
bilanciamento degli interessi e di precauzione, ponendosi conseguentemente essa stessa decisione in contrasto con le disposizioni indicate in rubrica.
4.1. Questa doglianza si rivela inammissibile.
Invero, nella sentenza in esame si legge, tra l’altro (cfr. pag. 14 e ss.) che « il ‘principio di precauzione’ di derivazione europea, a partire dall’art. 7 del Regolamento n. 178 del 2002, poi dall’art. 191 del TFUE e recepito da ulteriori fonti europee e dai singoli ordinamenti nazionali -impone che quando sussistono incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, devono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi, e anche prima che subentrino più avanzate e risolutive tecniche di contrasto. Posta, dunque, la differenza concettuale che intercorre tra precauzione (in presenza di rischi ipotetici o basati su indizi) e prevenzione (in presenza di rischi oggettivi e provati), l’attuazione del principio di precauzione comporta che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scienti fiche (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655; sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525; sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495) ». Si aggiunge, poi, che « nella prospettiva della Commissione Europea (cfr. la Comunicazione del 2 febbraio 2000), l’azione precauzionale è giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un ‘ ragionamento rigorosamente logico ‘ e, tuttavia, permanga un’ampia incertezza scientifica sulla ‘ portata ‘ del suddetto rischio (par. 5.1.3). Nel conseguente bilanciamento delle più opportune iniziative di contenimento del rischio, la scelta del cd. ‘ rischio zero ‘ entra in potenziale tensione con il principio di proporzionalità, il quale impone misure ‘ congrue rispetto al livello prescelto dì protezione ‘ ed una conseguente analisi dei vantaggi e degli oneri dalle stesse derivanti. Dunque, non è sempre vero che un divieto totale od un intervento di contrasto radicale costituiscano ‘ una risposta proporzionale al
rischio potenziale ‘ , potendosi configurare situazioni e contesti specifici che rendono una tale strategia inopportuna, inutilmente dispendiosa, se non sostanzialmente improduttiva. In siffatte ipotesi, per coniugare in modo bilanciato esigenze di precauzione e di proporzionalità, la Commissione suggerisce di modulare l’azione cautelativa in relazione alla evoluzione dei suoi risultati, sottoponendo le misure adottate ad un’opera di controllo e di «revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici» (par. 6 e 6.3.5) ».
Poste tali premesse, e richiamata la giurisprudenza del Consiglio di Stato che, condividendo questa linea di pensiero, ha ritenuto che il principio di precauzione presuppone l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura ( cfr . Consiglio di Stato, sez. V, n. 6250 del 2013; sez. IV, n. 1240 del 2018), il Tribunale non ha ravvisato elementi di irragionevolezza nelle scelte sottese dalla delibera innanzi ad esso impugnato. Ha ritenuto, in particolare, che tale delibera era frutto di un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti e, quanto al principio della precauzione, ha evidenziato la mancata indicazione, in concreto, di pericoli e rischi derivanti dalla prosecuzione della sperimentazione ovvero di « elementi di prova di danni di carattere ambientale », rimarcando, altresì, che « le finalità della sperimentazione sono rimaste quelle del 2015 -di verificare cioè la possibilità di disporre di una riserva idrica aggiuntiva per le aree circostanti e per i differenti comparii d’uso (uso irriguo, industriale, idropotabile, energetico e ambientale) vieppiù corroborate dall’incremento della frequenza e della gravità delle crisi idriche registrate negli ultimi anni ».
Ricordato, allora, che le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015), va osservato che, nella specie, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha fornito ampia giustificazione del proprio convincimento -ricavato dalla valutazione della documentazione
sottoposta alla sua attenzione alla luce della normativa ampiamente richiamata nella parte iniziale della sua pronuncia -circa il fatto che « La decisione impugnata si colloca nell’alveo di misure volte a permettere il contemperamento dei differenti interessi in gioco. Le esigenze turisticoricettive evidenziate dai ricorrenti vanno contemperate con le altre parimenti meritevoli di tutela (ad esempio quelle ambientali, irrigue e idroelettriche) e che parimenti insistono sul Lago Maggiore », sottolineando pure, come si è già anticipato, che, « In ogni caso, le parti ricorrenti non hanno addotto dati e analisi puntuali comprovanti danni all’economia turistica lacuale ».
Pertanto, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni della censura in esame si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così omettendo di specificare le violazioni in punto di diritto (in proposito v.. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 34782 del 2024; Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022. Si veda pure Cass., SU, 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »).
Inoltre il giudizio di legittimità -come si è già detto concludendo l’esame del precedente motivo -non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito (cfr., i precedenti citati alla fine del predetto motivo).
5. In conclusione, il ricorso dei Comuni di Verbania, Cannobio, Baveno e Cannero Riviera, nonché della Provincia del Verbano Cusio, deve essere respinto, restando a loro carico ed in via solidale le spese di questo giudizio di legittimità, atteso il principio di soccombenza, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il loro ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso dei Comuni di Verbania, Cannobio, Baveno e Cannero Riviera, nonché della Provincia del Verbano Cusio e li condanna, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla parti controricorrenti che si liquidano: i ) in favore del Parco Lombardo della Valle del Ticino e del Consorzio del Ticino, in € 6.000,00 ciascuno per compensi, oltre alle rispettive spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati, per ognuno, in € 200,00, ed agli accessori di legge; ii ) in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della Protezione Civile, del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e dell’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po, in € 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il loro ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili