Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31515 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31515 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16540-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI PAVIA;
– intimato – avverso la sentenza n. 1083/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/02/2023 R.G.N. 808/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Opposizione ad ordinanzaingiunzione
R.G.N. 16540/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 08/10/2024
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 33/2022 del Tribunale di Pavia che aveva accolto parzialmente l’opposizione proposta da detta società e dal legale rappresentante della stessa all’ordinanza ingiunzione n. 276/2019, con la quale l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Pavia aveva loro ingiunto il pagamento dell’importo di € 233.314,00 (per l’impiego di n. 51 lavoratori subordinati assunti senza la preventiva comunicazione di assunzione all’Ispettorato del lavoro e per l’accertato svolgimento di lavoro irregolare di tali lavoratori della durata da due giorni fino a sessanta giorni, nonché per aver omesso nonché eseguito infedeli registrazioni sul LUL).
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale giudicava infondato il primo motivo d’appello, con il quale si criticava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Ispettorato Territoriale del lavoro di Pavia. Secondo la Corte, la sentenza impugnata aveva fatto corretta applicazione degli artt. 17 e 22 L. 689/1981, considerando che l’unità operativa della società in Corteolona e Genzone (PV) rappresentava certamente una sede dislocata avente le caratteristiche di collegamento con la sede legale e principale sita in Pontecagnano Faiano (SA), risultando ivi collocati dipendenti addetti in maniera stabile alla gestione delle attività tipiche (amministrative, operative e di controllo) della società con collegamenti stabili anche operativi tra la sede legale e quella secondaria. E, a fronte di tale accertamento fattuale, nessuna validità poteva avere la distinzione che l’appellante voleva sostenere in merito allo sdoppiamento del
luogo di accertamento e del luogo di commissione dell’illecito, giacché le norme non fanno alcuna distinzione nel senso che, ai fini della competenza territoriale all’emissione del provvedimento sanzionatorio e della conseguente competenza giurisdizionale, il luogo resta consolidato in quello di accertamento della violazione (richiamando a riguardo un precedente di legittimità).
La Corte riteneva infondato anche il secondo motivo, con il quale si sosteneva che l’Ispettorato non avesse assolto l’onere di provare gli addebiti contenuti nell’ordinanza ingiunzione opposta. Per la Corte, infatti, la sentenza appellata aveva correttamente valorizzato gli elementi probatori in atti, mediante un coerente incrocio valutativo del complesso degli elementi a disposizione.
Infine, la Corte respingeva anche il terzo motivo d’appello, con il quale era impugnata espressamente la mancata ammissione delle prove orali richieste in primo grado. Considerava, infatti, che tali prove orali non potevano essere ammesse perché irrilevanti e in parte inammissibili.
Avverso tale decisione NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimato non si è costituito in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., co. 1, n. 3, in riferimento all’art. 22 della legge 689/1989 e art. 6
D.lgs. n. 150/2011 -per avere la Corte di Appello di Milano erroneamente ritenuto la legittimazione attiva dell’ITL di Pavia e del Tribunale di Pavia originariamente adito, in luogo di quelli competenti (Salerno) ai sensi delle disposizioni summenzionate’ .
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto ex art. 360, co. 1, n. 3 in riferimento agli artt. 2904 e 2976 c.c. ed in ogni caso per vizio di motivazione ed illogicità della valutazione. Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3 in riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., vizio di motivazione per omessa pronuncia, ex art. 360 co. 1 n. 4 in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro con la RAGIONE_SOCIALE -omessa e/o errata valutazione della documentazione offerta in giudizio’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. nonché degli artt. 115, 116 177, 187, 188, 189 e 244 c.p.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, in relazione alla mancata ammissione delle prove testimo niali richieste’.
5. Il primo motivo è inammissibile.
Rileva preliminarmente il Collegio che la censura, che fa esclusivo riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. riguarda nel contempo sia la competenza (amministrativa) dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Pavia ad emette re l’ordinanza ingiunzione opposta che la competenza per territorio del Tribunale di Pavia (peraltro, adito dagli stessi opponenti), ma che il ricorrente per cassazione, in relazione a quest’ultima distinta questione, non si riferisce all’ipotesi di cui al l’art. 360, comma primo, n. 2), c.p.c.
6.1. Inoltre, il ricorrente sostiene che la Corte di merito, nella sua valutazione di tali aspetti, non avrebbe affatto considerato che la condotta ritenuta dovuta ed omessa (la comunicazione preventiva di assunzione) non poteva dirsi consumata in Corteolona e Genzone in ragione della sola presenza ivi di ‘due impiegate amministrative’, le cui funzioni esulavano dalla condotta contestata (ed in tal senso fa riferimento alle dichiarazioni rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME in sede d’ispezione). Ad debita ancora alla stessa Corte di non aver considerato sul punto quanto riportato in taluni punti del verbale unico di accertamento e notificazione indicato, e si riferisce anche a un passo di un decreto di archiviazione del GIP presso il Tribunale di Pavia (cfr. facciate 9-11 del ricorso per cassazione).
Osserva allora il Collegio che il motivo s’incentra su una critica dell’accertamento probatorio e fattuale operato dalla Corte distrettuale (che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità: cfr. per tutte Sez. un. n. 34476/2019).
Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo.
Più nello specifico, tale censura si riferisce promiscuamente sia ad anomalie motivazionali che a violazioni di norme di diritto, in quest’ultimo caso, peraltro, erroneamente citate (il riferimento all’art. 2904 c.c. sembra da intendersi in realtà all’a rt. 2094 c.c. in tema di lavoro subordinato, e quello all’art. 2976 c.c., norma inesistente nel codice civile, forse vorrebbe alludere invece all’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova).
In ogni caso, anche il secondo motivo, come risulta chiaramente dal suo sviluppo (cfr. facciate 12-15 del ricorso), si
traduce in una critica dell’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte territoriale.
10.1. Occorre, allora, ricordare che, secondo questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (così Cass. civ., sez. un., 30.9.2020, n. 20867; e, tra le altre, in seguito id., sez. I, 3.11.2021, n. 31510; id., sez. I, 28.6.2022, n. 20751).
Inoltre, è pacifico che sono riservati al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (così Cass. civ., sez. II, 22.2.2022, n. 5732).
Parimenti inammissibile, infine, è il terzo motivo.
Premesso che la Corte di merito, nel respingere il terzo motivo di appello circa la mancata ammissione delle prove orali richiesta dall’appellante, si è espressa diffusamente, spiegando per ognuno dei capitoli quali fossero relativi a fatti giudicati irrilevanti, e quali altrimenti inammissibili (cfr. pagg. 9-10 della sua sentenza), la censura ora in esame doveva essere proposta, non in base al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., bensì in relazione a quello di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c..
Infatti, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (v. ex plurimis Cass. n. 16271/2022; n. 4716/2022; n. 23660/2020).
13.1. Il ricorrente, nella specie, neanche ha dedotto che la prova orale, motivatamente non ammessa dalla Corte territoriale, fosse idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare con certezza l’efficacia delle altre risultanze istruttorie in base alle quali la stessa ha formato il suo convincimento.
Tutto ciò considerato, secondo questa Corte, la declaratoria di inammissibilità del ricorso esonera la Suprema Corte dal disporre la rinnovazione della notificazione dello stesso nulla, poiché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato, in applicazione del
principio della ragionevole durata del processo che impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire i comportamenti che ostacolino una sollecita definizione del giudizio, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuale e in formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo (così Cass. civ., sez. I, 11.3.2020, n. 6924, che richiama a riguardo Cass. civ., sez. II, 21.5.2018, n. 12515).
Ebbene, nella specie, il ricorso in esame è stato appunto notificato, non già all’Avvocatura generale dello Stato, bensì all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano (all’indirizzo pec EMAIL; il che dà pacificamente luogo a nullità di tale notifica, sanabile in virtù della spontanea costituzione dell’amministrazione statale interessata a mezzo dell’Avvocatura generale, nella specie non avvenuta, oppure a seguito di rinnovazione rituale di tale notifica, ordinata ex art. 291 c.p.c.
Stante la chiara inammissibilità del ricorso per i motivi sopra illustrati, secondo il richiamato indirizzo tale rinnovazione risulta nella specie evitabile.
Non essendosi costituita l’amministrazione intimata, nulla dev’essere statuito sulle spese del giudizio di legittimità; nondimeno il ricorrente è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale