Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33946 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33946 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 25127/2017 r.g. proposto da:
Comune di Monza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale al margine del ricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale
allegata al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, presso il suo studio, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3491/2017, depositata in data 26/7/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con delibere del Consiglio comunale n. 6 del 21/1/2005 e n. 9 del 31/1/2006, veniva inserito nel programma triennale delle opere pubbliche l’intervento di riqualificazione dell’area denominata INDIRIZZO in Monza.
Si trattava del progetto di riqualificazione urbanistica e sociale dell’area.
Successivamente, con delibera di Giunta comunale n. 416 del 29/6/2006 veniva approvato lo studio di fattibilità relativo ad un project financing per la realizzazione delle opere.
Con la delibera di Giunta comunale n. 417 del 29/6/2006 veniva approvato l’avviso di selezione.
Con la determina dirigenziale n. 1564 del 23/6/2008 si procedeva alla aggiudicazione all’ATI, di cui era mandataria la società RAGIONE_SOCIALE poi sostituita dalla società RAGIONE_SOCIALE
Prima della stipulazione della convenzione il Comune di Monza approvava il programma E-GOCS, con delibera n. 327 del 3/5/2006; dichiarava il pubblico interesse dell’opera con delibera n. 326 del 3/5/2007; con delibera n. 216 del 2009 stabiliva il recupero dell’area; con delibera n. 217 del 2009 approvava il progetto
definitivo; con delibera n. 218 del 2009 veniva stabilito il quadro d’insieme del concessionario, con approvazione del Master Plan RAGIONE_SOCIALE
Veniva quindi stipulata la convenzione tra il Comune di Monza, quale concedente, e la RAGIONE_SOCIALE quale concessionaria, in regime di project financing.
La Convenzione prevedeva per la RAGIONE_SOCIALE l’obbligo di portare a compimento a proprie spese l’operazione, con diritto di superficie in favore della stessa su una porzione di area da destinare a parcheggio per 35 anni, con concessione in esclusiva anche sulla rimanente porzione di area.
Il progetto esecutivo di RAGIONE_SOCIALE veniva presentato senza la relazione di validazione il 6/8/2010.
Con nota del 29/6/2011 n. 68417 il Comune richiedeva la verifica di compatibilità del progetto con la pianificazione urbanistica.
La società RAGIONE_SOCIALE comunicava le note del 2/8/2010 e del 9/11/2010, evidenziando condizioni ostative alla consegna dell’area: 1) mancata liberazione da tale porzione di area da manufatti e mobili; 2) realizzazione di opere incompatibili con il diritto di superficie; 3) attività imprenditoriali esercitate da terzi in concorrenza con RAGIONE_SOCIALE; 4) realizzazione di un impianto di skate park.
Ai fini del bilanciamento delle posizioni contrattuali, che vedevano la RAGIONE_SOCIALE impegnata in un’operazione molto più onerosa rispetto a quella preventivata, con un aggravio di spesa di circa euro 6.000.000,00, il Comune con deliberazione di Giunta n. 605 del 16/9/2011 autorizzava la stipulazione di un Atto Integrativo, che veniva sottoscritto il 29/12/2011.
Si prevedeva l’estensione del diritto di superficie per un’area più estesa, oltre alla previsione di una penale di euro 3000,00 per ogni
giorno di ritardo, con la previsione anche di una clausola risolutiva espressa, nell’ipotesi in cui, a seguito dell’attuazione della penale, si raggiungesse la soglia minima di euro 300.000,00.
La penale era prevista se la consegna dell’area ulteriore non fosse avvenuta entro il 31/1/2012.
Si prevedeva anche il mancato guadagno, calcolato ai sensi dell’art. 158, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 163 del 2006, pari al 10% del valore complessivo delle opere inserite nel project financing regolarmente approvato.
Con delibera di Giunta comunale n. 205 del 30/3/2012 si autorizzava la stipulazione di un Accordo Aggiuntivo, poi sottoscritto il 26/4/2012, che cristallizzava le previsioni dell’Atto Integrativo del 29/12/2011.
Con la delibera n. 405 del 5/7/2012 il Comune sospendeva l’efficacia delle precedenti delibere, in quanto mai sottoposte all’approvazione del Consiglio comunale.
Con nota del 30/10/2012 la RAGIONE_SOCIALE si avvaleva della clausola risolutiva espressa.
Il tribunale di Monza con sentenza n. 197 del 20/1/2015 dichiarava l’intervenuta risoluzione di diritto per grave inadempimento contrattuale imputabile al Comune di Monza della convenzione stipulata con RAGIONE_SOCIALE in data 22/3/2010 nonché dell’Atto Integrativo stipulato in data 29/12/2011 e dell’Atto Aggiuntivo successivamente stipulato in data 26/4/2012.
Condannava, quindi, il Comune di Monza a corrispondere in favore di RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 2.266.632,00, a titolo di indennizzo spettante ai sensi degli articoli 2.5 dell’Atto Integrativo, 4.4 dell’Atto Aggiuntivo e 6.2 della Convenzione originaria, che richiamava espressamente l’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Inoltre, stante l’effetto retroattivo conseguente alla pronuncia di risoluzione del rapporto contrattuale, in accoglimento delle domande riconvenzionali presentate dal Comune di Monza, condannava RAGIONE_SOCIALE a restituire immediatamente in favore del comune tutte le aree pubbliche e gli immobili specificamente indicati agli articoli 1.3.1 e 2.12.1 della Convenzione nonché 2.1 e 2.2 dell’Atto Integrativo. Ordinava al competente conservatore dell’Agenzia del territorio di Milano di procedere alla cancellazione della trascrizione del diritto di superficie costituito in favore di RAGIONE_SOCIALE sugli immobili indicati.
12.1. In particolare, il tribunale, per quel che ancora qui rileva, affrontava l’eccezione di nullità – sollevata dal Comune – della clausola risolutiva espressa azionata dall’attrice, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 4.4 dell’Atto Aggiuntivo e 2.5 dell’Atto Integrativo, in quanto stipulata in violazione dell’art. 42, comma 2, lettere b) ed e) del d.lgs. n. 267 del 2000 e, quindi, chiedendo la nullità ex art. 1418, secondo comma, c.c., per mancanza di un valido accordo a contrarre, la sua nullità ex art. 1418, primo comma, c.c., per contrarietà a norme imperative, e la sua inefficacia per difetto di legittimazione a contrarre e, comunque, l’annullabilità ex art. 1425 c.c., per mancanza di idonea delibera consiliare.
12.2. Il tribunale rigettava tutte le eccezioni. Muoveva dalla regola generale di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000, che individuava la competenza esclusiva del Consiglio comunale negli acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che «non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione».
Nella specie, però, in realtà, l’opera, da realizzarsi con il project financing, era stata «inserita nel piano triennale delle opere pubbliche relativo agli anni 2005-2007 ed in quello relativo agli anni 2006-2008, entrambi regolarmente approvati con le delibere consiliari rispettivamente emanate in data 21/1/2005 e in data 31/1/2006», sicché poteva «ragionevolmente sostenersi che gli atti esecutivi attraverso cui si sarebbe dovuto concretamente realizzare l’intervento autorizzato dal Consiglio rientrassero nella competenza dell’organo politico-esecutivo rappresentato dalla Giunta».
Aggiungeva il tribunale «la natura non immediatamente costitutiva quanto meno del diritto reale di superficie espressamente indicato nell’art. 4.4 dell’Atto Aggiuntivo con cui il Comune, al fine di riequilibrare il notevole squilibrio economico derivante a carico della controparte aveva semplicemente assunto l’obbligo di stipulare l’atto costitutivo del diritto di superficie e non già costituito immediatamente il suddetto diritto reale».
L’accordo non costituiva un contratto preliminare, nel senso che «non mai stata conclusa alcuna ulteriore convenzione volta alla costituzione effettiva di un qualsiasi diritto di superficie in favore del privato», essendovi soltanto l’impegno del Comune «di ampliare il diritto di RAGIONE_SOCIALE di sfruttare economicamente le opere da realizzare sull’area indicata attraverso una rivisitazione dell’estensione del diritto di superficie originariamente pattuito che era limitato sull’area e su tutti gli immobili individuati in rosso nella planimetria».
12.3. Quanto ai lavori complementari, il Comune reputava si trattasse di veri e propri lavori extra-contratto. In realtà, nelle premesse dell’Atto Integrativo si chiariva che tali lavori erano dovuti al «nuovo quadro progettuale che ne derivava avesse fatto insorgere
la necessità di approntare interventi complementari di riqualificazione di alcuni immobili ed edifici rientranti nel perimetro della concessione ma non posti a carico del concessionario nel progetto iniziale».
Il tribunale affrontava poi l’ulteriore eccezione di nullità della clausola risolutiva espressa «sotto il diverso profilo dell’indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto» ai sensi dell’art. 1343 c.c.
Per il tribunale, però, l’art. 4.4 dell’Atto Aggiuntivo dimostrava che il Comune si era impegnato a costituire un diritto di superficie su determinate altre aree di sua proprietà «che, sebbene non demarcate fisicamente ab origine , avrebbero comunque potuto essere agevolmente individuate per effetto della compiuta indicazione ex ante di tutti gli elementi concretamente utilizzabili», soprattutto in relazione all’estensione complessiva dell’area da assoggettare al vincolo, all’indice minimo di edificabilità, all’assenza di ulteriori vincoli e, soprattutto, al valore di scambio.
Il tribunale si preoccupava anche di rigettare l’eccezione di nullità della clausola risolutiva espressa per contrasto con norme imperative, quali l’art. 128, comma 4, del d.lgs. 163 del 2006 e l’art. 58, commi 1 e 2, della legge n. 133 del 2008, fondata in sostanza su una sorta di incompetenza assoluta dell’organo esecutivo della PA.
Tuttavia, il tribunale di Monza reputava che la Giunta comunale poteva ben assumere l’obbligo di concedere in favore del privato un diritto di superficie su aree di proprietà della PA riservando alla successiva fase attuativa di tale impegno, «il cui protagonista può ragionevolmente individuarsi nel Consiglio comunale, la costituzione effettiva del relativo diritto reale».
Venivano poi rigettate le ulteriori domande riconvenzionali proposta dal Comune, che imputava alla società attrice una serie di adempimenti.
In realtà, il progetto esecutivo, da redigersi in conformità al progetto definitivo già presentato in sede di gara, era stato realizzato senza la relazione di validazione a causa delle condizioni ostative e delle varianti imposte dalla PA.
Anzi, nelle premesse dell’Atto Integrativo le parti davano atto «che proprio le condizioni ostative rappresentate dal HI SENSES con le note del 2 agosto e del 9 novembre 2010 avevano reso necessario l’approntamento di alcune variazioni all’impianto progettuale originale».
Veniva, dunque, liquidato un indennizzo, per la clausola penale, pari ad euro 453.000,00, ossia euro 3000,00 x 151 giorni di ritardo.
A tale somma si aggiungeva un secondo indennizzo previsto dall’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006, richiamato dall’art. 6.2 della convenzione originaria, pari al 10% dell’importo complessivo dei lavori, di euro 18.136.327,83, quindi per la somma di euro 1.813.632,78.
Si ordinava la restituzione di «tutte le aree pubbliche e gli immobili specificamente indicati agli articoli 1.3.1. e 2. 12.1 della convenzione originaria nonché 2.1. e 2.2 dell’Atto Integrativo».
La Corte d’appello, con sentenza n. 3491 del 26/7/2017, rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione, confermava quasi integralmente la sentenza del tribunale tranne che con riferimento alle aree pubbliche e agli immobili da restituire, disponendo la restituzione in favore del Comune di Monza «di tutte le aree pubbliche e gli immobili indicati in modo specifico all’art. 3 dell’Atto Integrativo 29/12/2011».
18.1. La Corte territoriale ribadiva la piena legittimità degli atti aggiuntivi ed integrativi, in quanto, da un lato, le modifiche rispetto alla convenzione originaria potevano essere adottate dalla Giunta comunale poiché «l’operazione era già prevista espressamente in atti fondamentali del Consiglio e ne costituiva una mera esecuzione» e, dall’altra, in quanto il Comune non aveva costituito un diritto di superficie a favore di RAGIONE_SOCIALE ma «si era assunto l’impegno di costituirlo» (cfr. pagina 31 della sentenza d’appello).
Chiariva la Corte d’appello che «l’Atto Integrativo e l’Atto Aggiuntivo, infatti, si risolv in atti esecutivi dei piani programmatici ed organizzativi regolarmente approvati dal Consiglio comunale», con l’aggiunta per cui «né rileva che sia stato ‘stravolto’ l’impianto originario della Convenzione del 22/3/2010 atteso che, anche a seguito dei suddetti atti gli accordi tra le parti restavano confinati nell’ambito della progettazione e riqualificazione dell’area ex macello, oggetto dell’opera inserita nel piano triennale delle OO.PP. 2005/2007 e 2008/2010, approvata con delibera del Consiglio comunale n. 6/2005 e n. 9/2005» (pagina 32 della sentenza d’appello).
A fronte di maggiori impegni economici della RAGIONE_SOCIALE (per circa euro 6.000.000,00), ci si obbligava ad una maggiore estensione del diritto di superficie, da costituirsi in futuro.
19. Con riferimento alla richiesta dell’appellante di dichiarazione di nullità della clausola risolutiva espressa perché indeterminata ed indeterminabile quanto all’oggetto, ex art. 1418, secondo comma, e 1346 c.c., oltre che contraria a norme imperative ex art. 1418, primo comma, c.c., in quanto assunta in violazione dell’art. 128, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 e 58, commi 1 e 2 della legge n. 133 del 2008 «essendo mancate le previe e necessarie procedure finalizzate all’individuazione delle aree in questione, tra l’altro di competenza
consiliare esclusiva» (cfr. pagina 33 della sentenza d’appello), il tribunale la reputava infondata.
In realtà, vi era la compiuta indicazione ex ante di tutti gli elementi concretamente utilizzabili, con riferimento all’estensione complessiva dell’area, all’indice minimo di edificabilità, all’assenza di ulteriori vincoli e all’indicazione del valore di scambio del diritto di superficie.
Pertanto, si ribadiva «che le ragioni dell’appellante non scalfiscono la fondatezza limitandosi a ribadire che la clausola 3.6, a cui la clausola risolutiva espressa era collegata, andava ritenuta indeterminata ed indeterminabile senza, tuttavia, considerare i parametri richiamati dal giudice di primo grado che valevano, se non a determinarla, a renderla determinabile».
Quanto alla pretesa violazione delle norme imperative, si osservava che «tali procedure avrebbero dovuto essere seguite, a seguito dell’avvenuta determinazione delle aree da assegnare e non in questa fase in cui erano stati stabiliti unicamente i parametri sulla cui base le dovevano essere individuate» (cfr. pagina 34 della sentenza d’appello).
Peraltro, la mancata osservanza di tali previsioni legislative riguardava «i rapporti interni alla PA ma non incide sull’obbligo assunto dall’Ente di attribuire la proprietà superficiaria sui beni individuati».
Le medesime doglianze (nullità, inefficacia, annullabilità) venivano sollevate anche in relazione alle clausole contenute nell’Atto Integrativo.
In realtà, però, la Corte territoriale osservava che doveva essere considerata la clausola di cui all’originaria Convenzione del 22/3/2010 che prevedeva la possibilità di estensione di aree in
proprietà superficiaria, poiché «qualora necessario, le nuove condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’investimento potranno essere ripristinate anche attraverso la proroga del tempo di scadenza della concessione, nei limiti previsti dall’art. 143, comma 8, del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e successive modificazioni, e/o attraverso la concessione di aree e/o attività anche in diritto di superficie».
A sua volta la Convenzione originaria era «esecutiva di atti provvedimentali assunti legittimamente dal Consiglio comunale» (cfr. pagina 36 della sentenza d’appello).
La Corte territoriale si soffermava anche sull’asserito vizio dell’art. 3.2 dell’Atto Integrativo che prevedeva una durata (90 anni) del diritto di superficie, disancorata dal rapporto concessorio.
In realtà, però, non si teneva conto del particolare tipo di rapporto contrattuale instaurato tra le parti, in cui il corrispettivo a favore dell’appaltatore «non era in moneta ma derivava dal beneficio economico che sarebbe derivato alla stessa parte dalla gestione dei servizi e dei beni attribuiti in concessione» (cfr. pagina 37 della sentenza d’appello).
Le medesime doglianze (nullità, annullabilità, inefficace) venivano sollevate anche in relazione alle clausole dell’Atto Aggiuntivo del 26/4/2012.
Era stata pienamente giustificata la ragione per cui i lavori complementari erano stati affidati anch’essi alla RAGIONE_SOCIALE, in quanto l’esecuzione da parte di soggetti diversi dal concessionario avrebbe determinato il venir meno di un unico centro di responsabilità.
La sentenza andava riformata con riferimento alla restituzione delle aree individuate dall’art. 3 dell’Atto Integrativo, in quanto la pronuncia non le prevedeva.
Quanto ai pretesi inadempimenti lamentati dal Comune, la Corte territoriale li reputava non fondati.
In realtà, risultava che la convenzione originaria effettivamente prevedeva di realizzare il progetto esecutivo, che RAGIONE_SOCIALE ha presentato il 2/8/2010, in corso di validazione.
Lo sdoppiamento del progetto in due lotti era disposto dall’art. 4 dell’Atto Integrativo.
Pertanto, era stato presentato il progetto esecutivo e lo stesso era conforme al progetto definitivo approvato.
La ragione della stipulazione dell’Atto Integrativo dipendeva proprio dal «fine di evitare al Comune responsabilità risarcitoria conseguente alle richiamate condizioni ostative» (cfr. pagina 48 della sentenza d’appello).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Monza.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Il Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte in data 24/5/2023 chiedendo accogliersi il ricorso limitatamente al secondo motivo, mentre reputava sussistere la giurisdizione del giudice ordinario (primo motivo).
Questa Corte, a sezioni unite, con sentenza del 24/5/2024, n. 14571, dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario, decidendo in tal modo il primo motivo di ricorso per cassazione articolato dal Comune.
A seguito di istanza di prelievo la causa è stata portata in decisione all’adunanza del 18/12/2024.
Entrambe le parti hanno depositato memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il secondo motivo di impugnazione il Comune ricorrente deduce la «violazione degli articoli 3 e 97 Costituzione; degli articoli 1 e 3 legge 241/1990; degli articoli 1418, 1419, 1425, 1456, 1325, 1343, 1346, 1372 c.c.; dell’art. 42 d.lgs. 267/2000; degli articoli 128 d.lgs. 163/2006 e 58 legge 133/2008; degli articoli 143,144 e 147 d.lgs. 163/2006; degli articoli 4 e 5 legge 2248/1865 All.E, degli articoli 1 e 2 del d.lgs. 163/2006 e degli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – TFUE (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)».
In particolare, il ricorrente deduce la «invalidità» della clausola risolutiva espressa azionata da RAGIONE_SOCIALE in base al combinato disposto degli articoli 4.4 dell’Atto Aggiuntivo e 2.5 dell’Atto Integrativo.
La prima ragione di invalidità consiste nella circostanza che tale clausola «pretende di disporre di aree pubbliche comunali in diritto di superficie in assenza della necessaria deliberazione del Consiglio comunale».
Infatti, sia l’Atto Integrativo che l’Atto Aggiuntivo sono stati approvati con la deliberazione di Giunta comunale, segnatamente con le deliberazioni n. 605 del 2011 e 205 del 2012 che hanno dato luogo, rispettivamente, all’Atto Integrativo del 29/12/2011 e all’Atto Aggiuntivo del 27/4/2012.
Per la giurisprudenza amministrativa, tuttavia, la costituzione del diritto di superficie può avvenire solo su delibera del Consiglio comunale ex art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Non si tratterebbe, come invece affermato dei primi due giudici, di un’attività meramente esecutiva ovvero di gestione, a valle di una scelta politica realizzata a monte dal Consiglio comunale, in virtù dell’inserimento dell’intervento nel piano triennale delle opere pubbliche.
Si tratterebbe di atti che avrebbero «completamente stravolto l’impianto originario della convenzione, introducendo i contestati diritti di superficie e di proprietà superficiaria», a fronte di «PEF conseguentemente radicalmente modificati e di previsione di realizzazione di nuove opere».
Tra l’altro – ad avviso del ricorrente – la clausola risolutiva espressa azionata RAGIONE_SOCIALE è stata introdotta soltanto con gli articoli 4.4 dell’Atto Aggiuntivo e 2.5. dell’Atto Integrativo, atti «entrambi approvati dalla sola Giunta comunale in epoca ampiamente successiva (2011 e 2012) al piano triennale delle opere pubbliche 2005-2007 e 2006-2008».
Neppure condivisibile sarebbe «l’asserito valore meramente obbligatorio delle pattuizioni in esame», per cui il Comune si sarebbe soltanto «assunto l’impegno» a costituire il diritto di superficie.
La Giunta comunale non poteva certo assumere impegni di riequilibrio del rapporto concessorio eccedenti la propria competenza ed invadenti la competenza del Consiglio comunale.
La clausola risolutiva espressa, dunque, sarebbe nulla ex art. 1418, secondo comma, c.c. in mancanza dell’accordo, in quanto la volontà dell’amministrazione comunale di contrattare non si sarebbe correttamente formata; sarebbe affetta da nullità ex art. 1418, primo comma, c.c., per contrarietà a norme imperative, quali sono quelle che disciplinano la ripartizione di competenze tra Consiglio e Giunta comunale. Sarebbe poi inefficace in quanto il comune era privo ex tunc di legittimazione a negoziare; si tratterebbe comunque di vizio di annullamento per incapacità ex art. 1425 c.c., essendo viziato il procedimento volitivo e deliberativo dell’ente.
La clausola risolutiva espressa sarebbe anche affetta da nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto ex art. 1418,
secondo comma, e 1346 c.c., nonché per contrarietà a norme imperative sotto altro profilo.
Il diritto di superficie contemplato sarebbe indeterminabile, in quanto le aree sono da ricercarsi su tutto il territorio comunale, mentre il valore delle stesse non era condiviso tra le parti anche in relazione ai vincoli di PGT.
Le norme imperative violate sono costituite dall’art. 128, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 e dall’art. 58, commi 1 e 2 della legge n. 133 del 2008, essendo mancate le previe necessarie procedure finalizzate all’individuazione delle aree in questione.
Le invalidità sopra enucleati colpirebbero anche le previsioni dell’Atto Integrativo (da pagina 25 del ricorso per cassazione) e dell’Atto Aggiuntivo (da pagina 28 del ricorso per cassazione).
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
2.1. In primo luogo, si rileva che il motivo non risulta autosufficiente, in quanto la ricorrente ha omesso di trascrivere sia la Convenzione del 22/3/2010, sia l’Atto Integrativo del 29/12/2011, come pure l’Atto Aggiuntivo del 26/4/2012, con le rispettive clausole oggetto di impugnazione, non consentendo a questa Corte di comprendere pienamente il significato ed i termini precisi delle doglianze.
Soprattutto non è trascritta la clausola in cui è prevista la clausola risolutiva espressa, da esaminare anche all’interno dell’intero contenuto della Convenzione e degli atti integrativi e aggiuntivi.
2.2. Inoltre, si chiede a questa Corte una nuova valutazione degli elementi di fatto, già compiutamente eseguita dalla Corte di merito con adeguata motivazione, non consentita in questa sede.
2.3. Trattandosi, poi, di attività interpretativa compiuta dal giudice di merito in ordine al contenuto degli atti negoziali, il
ricorrente avrebbe dovuto indicare i criteri di ermeneutica contrattuale che sarebbero stati violati dalla Corte d’appello con la precisa indicazione anche dei diversi criteri interpretativi che si sarebbero dovuti seguire per la comprensione effettiva delle clausole contrattuali.
Quanto ai profili di non fondatezza, vanno indicati in sintesi i fatti rilevanti.
Anzitutto, risulta dirimente per la soluzione della controversia in esame la circostanza che il Consiglio comunale con delibere n. 6 del 21/1/2005 e n. 9 del 31/1/2006 ha inserito nel programma triennale delle opere pubbliche per gli anni 2005-2007 e 2006-2008 l’intervento di riqualificazione dell’area destinata ad ex macello in Monza.
Pertanto, si muove dall’adozione di un atto da parte dell’organo di indirizzo politico del Comune, ossia del Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Tutti gli atti successivi sono stati compiuti dalla Giunta comunale e, per quanto riguarda l’aggiudicazione del contratto, dal dirigente amministrativo.
A cascata si indicano la delibera della Giunta comunale n. 416 del 29/6/2006 con cui viene approvato lo studio di fattibilità relativo al project financing, oltre alla delibera della Giunta comunale n. 417 del 29/6/2006 con cui si approva l’avviso di selezione.
L’aggiudicazione avviene in favore della RAGIONE_SOCIALE con determinazione dirigenziale n. 1564 del 23/6/2008.
La Convenzione tra il Comune di Monza, quale concedente, e la RAGIONE_SOCIALE viene stipulata il 23/3/2010.
Il progetto esecutivo viene depositato da RAGIONE_SOCIALE il 6/8/2010, pur senza la relazione di validazione.
La Convenzione prevede il compimento dell’opera proprie spese, con diritto di superficie in favore di RAGIONE_SOCIALE su una porzione di area da destinare a parcheggio oltre alla concessione in esclusiva sulle rimanenti porzioni di area.
La società evidenzia l’impossibilità di portare a termine il project financing per:1. Mancata liberazione da tale porzione di area di manufatti e mobili;2. Realizzazione di opere incompatibili con il diritto di superficie;3. Attività imprenditoriali esercitate da terzi in concorrenza con RAGIONE_SOCIALE;4. Realizzazione di un impianto di skate park. Ciò avviene con le note del 2/8/2010 e del 9/11/2010 della società.
Con nota del 29/6/2011 n. 68417 il Comune chiede di verificare la compatibilità del progetto con la pianificazione urbanistica.
A seguito degli inadempimenti del Comune e dell’aumento rilevante delle opere da realizzare delle conseguenti spese, per un valore di circa euro 6.000.000,00, la Giunta comunale con delibera n. 605 del 16/9/2011 autorizza la stipula di un Atto Integrativo, che viene sottoscritto il 29/12/2011.
Con tale Atto Integrativo si prevede l’estensione del diritto di superficie ad un’ulteriore area più estesa, oltre ad una penale di euro 3000,00 al giorno per ogni giorno di ritardo rispetto al termine di consegna previsto per il 31/1/2012; si prevede anche la clausola risolutiva espressa in caso di raggiungimento della soglia minima di penale di euro 300.000,00.
Successivamente, con delibera di Giunta comunale n. 205 del 30/3/2012 si autorizza l’assicurazione dell’Atto Aggiuntivo, che viene sottoscritto il 26/4/2012, con la previsione di lavori complementari per euro 6.000.000,00. Si confermano le precedenti clausole.
Con nota del 30/10/2012 la RAGIONE_SOCIALE azionava la clausola risolutiva espressa.
La questione di base, posta a fondamento dell’intera controversia, attiene alla sussistenza o meno del potere da parte della Giunta comunale di sottoscrivere l’Atto Integrativo l’Atto Aggiuntivo, in luogo del Consiglio comunale, dovendosi verificare il rispetto della ripartizione dei poteri tra organi del Comune disciplinata ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 267 2000.
Va premesso un breve quadro normativo ragionato.
La norma fondamentale per la risoluzione della controversia è costituita dall’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede che «il Consiglio è l’organo di indirizzo e di controllo politicoamministrativo. Il Consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione ».
Inoltre, spettano alla competenza del Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 comma 2, lettera l) anche «acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della Giunta, del segretario o di altri funzionari».
4.1. Come si vede, il Consiglio comunale ha specifica competenza in relazione ai programmi triennali e all’elenco annuale dei lavori pubblici.
L’intervento di project financing dell’area costituente l’ex macello di Monza è stato inserito nel programma triennale dei lavori pubblici con delibera del Consiglio comunale di Monza n. 6 del 21/1/2005 e n. 9 del 31/1/2006.
4.2. La programmazione dei lavori pubblici si rinviene già nell’art. 14 della legge 11/2/1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), a mente del quale «le amministrazioni aggiudicatrici approvano, anche nell’ambito di documenti programmatori già previsti dalla normativa vigente, il programma dei lavori pubblici da eseguire nel triennio con l’indicazione dei mezzi stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio».
Tale norma viene poi modificata con il decreto-legge 3/4/1995, n. 101, convertito in legge 2/6/1995, n. 216, che, al comma 2, dispone che «il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni» e si fa riferimento alla «realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati».
Soprattutto, rileva il comma 4 dell’art. 14 laddove si prevede la possibilità di concessione del diritto di superficie («nel programma triennale sono altresì indicati i beni immobili pubblici che al fine di quanto previsto all’art. 19, comma 5ter , possono essere oggetto di diretta alienazione anche del solo diritto di superficie»).
4.3. Tale norma viene abrogata con il d.lgs. 12/4/2006, n. 163 che, all’art. 128, prevede proprio la programmazione dei lavori pubblici.
Si stabilisce all’art. 128 del d.lgs. n. 163 del 2006 che «l’attività di realizzazione dei lavori di cui al presente codice di singolo importo superiore a euro 100.000 si svolge sulla base di un programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono e approvano, nel rispetto dei documenti programmatori, già previsti dalla normativa vigente e della normativa urbanistica, unitamente all’elenco dei lavori da realizzare nell’anno stesso».
Pertanto, rilevano, non solo il programma triennale, ed i suoi aggiornamenti annuali, ma anche l’elenco dei lavori annuali.
Al comma 4 dell’art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 si fa riferimento anche all’alienazione del solo diritto di superficie, sicché «nel programma triennale sono altresì indicati i beni immobili pubblici che, al fine di quanto previsto dall’art. 53, comma 6, possono essere oggetto di diretta alienazione anche del solo diritto di superficie».
Tra l’altro, si prevede al comma 11 che «le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute ad adottare il programma triennale e gli elenchi annuali dei lavori sulla base degli schemi tipo».
All’interno del programma triennale dei lavori pubblici si muove il project financing, che origina dall’art. 37bis della legge n. 109 del 1994 (inserito dall’articolo 11, comma 1, della legge n. 415 del 1998), ove si prevede che i ‘promotori’ possono presentare all’amministrazione aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, «inseriti nella programmazione triennale di cui all’art. 14, comma 2». Non era richiesto che l’opera fosse compresa anche nell’elenco annuale dei lavori da realizzare nell’anno stesso previsto dall’articolo 128, comma 1, del decreto legislativo numero 163 del 2006.
L’art. 37bis viene abrogato dal d.lgs. n. 163 del 2006.
6. La finanza di progetto viene ricondotta all’interno dell’art. 153 del d.lgs. n. 163 del 2006.
In particolare, al comma 1 dell’art. 153 si stabilisce che «i soggetti di cui al comma 2, di seguito denominati ‘promotori’, possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, inseriti nella programmazione triennale di cui all’art. 128, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice».
Si prevede anche al comma 2 dell’art. 153, che le proposte debbano contenere uno studio di inquadramento territoriale ambientale, uno studio di fattibilità, un progetto preliminare, una bozza di convenzione, un piano economico-finanziario asseverata da un istituto di credito».
Gli interventi finanziabili con capitali privati dovevano essere contemplati sia nella programmazione triennale sia nell’elenco annuale di cui all’articolo 128.
Un’importante modifica si rinviene nel d.lgs. n. 152 del 2008 con la previsione di una duplice possibilità di svolgimento del project financing.
Pertanto, oltre alla possibilità di uno studio di fattibilità predisposto già dall’amministrazione, si prevede anche che l’iniziativa possa essere presa dagli operatori economici per lavori pubblici non presenti nella programmazione triennale (comma 19 dell’art. 153).
Il project financing viene inserito poi nell’art. 183 del d.lgs. n. 50 del 2016 e nell’art. 193 del d.lgs. n. 36 del 2023, ove si prevede la finanza di progetto su iniziativa privata e non più anche ad iniziativa pubblica, e ciò per evitare inutili duplicazioni rispetto alla scelta dell’amministrazione di indire una gara per l’affidamento di una concessione (la costituzione di un’apposita società di scopo diviene un requisito obbligatorio).
Pertanto, una volta indicati i rapporti e le reciproche correlazioni tra il programma triennale di realizzazione delle opere pubbliche e il project financing, vanno individuate le norme giudicate imperative dal Comune di Monza e che sarebbero state violate in occasione della stipulazione degli atti integrativi del 29/12/2011 e aggiuntivi del 26/4/2012.
L’art. 143 del d.lgs. n. 163 del 2006 disciplina le caratteristiche delle concessioni di lavori pubblici, stabilendo, al comma 5, che «a titolo di prezzo, le amministrazioni aggiudicatrici possono cedere in proprietà o in diritto di godimento beni immobili nella propria disponibilità», prevedendo altresì, al comma 6, che «la concessione ha di regola durata non superiore a 30 anni».
L’art. 58 del decreto-legge 25/6/2008, n. 112, convertito in legge 6/8/2008, n. 133, con riferimento alla ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali, prevede la redazione del «piano delle alienazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione», con la precisazione, al comma 2, che «l’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale».
Di nuovo vi è un espresso riferimento alle competenze del Consiglio comunale.
L’art. 58, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, citato, nella versione vigente dal 28/12/2011 stabilisce anche che «la deliberazione del Consiglio comunale di approvazione, ovvero di ratifica dell’atto di deliberazione se trattasi di società o ente a totale partecipazione pubblica, del piano delle alienazioni e valorizzazioni determina le destinazioni d’uso urbanistiche degli immobili».
Quanto all’istituto del project financing lo stesso consiste in un’operazione di finanziamento di una specifica iniziativa economica, realizzata tramite un’entità costituita ad hoc (società di scopo o società di progetto), in cui i flussi di cassa derivanti dalla gestione dell’iniziativa medesima rappresentano la fonte primaria per la copertura del debito.
Il finanziatore, dunque, fa affidamento, sin dall’inizio, su determinati flussi di cassa derivanti dalla successiva gestione dell’opera o servizio e sulla previsione di una generazione di un margine di utili sufficienti a consentire il rimborso delle risorse o del prestito concesso per la realizzazione.
Si tratta di una sorta di patrimonio separato come avviene con il fondo patrimoniale, con i finanziamenti di destinazione di cui all’art.2447decies c.c., con i patrimoni di destinazione di cui all’art. 2447bis , c.c. o con la cartolarizzazione dei crediti.
Le caratteristiche essenziali della finanza di progetto sono rappresentate dalla limitazione del rischio, perimetrato in base al capitale investito, la auto finanziabilità del progetto, che comporta una preliminare verifica di produzione dei flussi di cassa sufficienti a coprire i costi operativi, a remunerare il capitale di rischio e a garantire un utile di sponsor, e l’accensione di idonee garanzie a favore delle banche finanziatrici.
Le procedure di affidamento sono di 3 tipi:1. A gara unica, che è una procedura promossa su iniziativa dell’amministrazione, che pone a base di gara un progetto di fattibilità;2. Con proponente, che è la procedura di iniziativa privata per opere non presenti nell’elenco annuale delle opere pubbliche;3. Con contratti di concessione.
Nella specie, dunque, sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello, con adeguata motivazione, hanno correttamente evidenziato il pieno rispetto dell’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000.
È vero, infatti, che per la giurisprudenza amministrativa il contratto di cessione del diritto di superficie non può essere stipulato sulla base di una delibera della Giunta comunale (TAR Basilicata, sez. I, Potenza, 16/9/2016, n. 889; Cons. Stato, sez. V, 23/6/2014, n. 3137; Cons. Stato., sez. V, 17/9/2010, n. 6982, TAR Lazio, sez. II, 18/4/2016, n. 4528; TAR Puglia, sez. I, 19/11/2009, n. 2774;
quanto agli acquisti immobiliari vedi TAR Veneto, sez. I, 31/1/2012, n. 96), ma è anche vero che, in presenza di un atto fondamentale adottato dal Consiglio comunale, è possibile che acquisti e alienazioni immobiliari, come pure la concessione della proprietà superficiaria, avvengano sulla base di una delibera della Giunta comunale, ove si sia in presenza di un atto fondamentale già approvato dal Consiglio comunale.
10. Del resto, per questa Corte il riparto di competenze tra Consiglio comunale e Giunta è retto dal principio secondo cui il primo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono negli atti fondamentali oggi tassativamente elencati nell’art. 42 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267, il quale, tuttavia, comprende anche atti, come gli acquisti, che non possono ritenersi, per loro intrinseca natura, come manifestazione di siffatti indirizzi, ma che vengono specificamente considerati fondamentali per il loro presumibile rilievo economico, e ne assegna la competenza alla Giunta quando essi siano previsti espressamente in altri atti fondamentali del Consiglio o ne costituiscano mera esecuzione. Ne consegue che può distinguersi tra acquisto immobiliare di competenza del Consiglio, anche al di fuori dell’espressa od implicita manifestazione di indirizzi politici ed amministrativi di carattere generale, ed acquisto immobiliare di competenza della Giunta, sulla base di un atto fondamentale di indirizzo politico ed amministrativo di rilievo che preveda l’acquisto immobiliare individuandone gli elementi essenziali, ovvero, comunque stabilisca i criteri per determinarli (Cass., sez. 1, 25/10/2012, n. 18309).
Nella specie, è pacifico che il Consiglio comunale di Monza con le delibere n. 6 del 21/1/2005 e n. 9 del 31/1/2006 abbia inserito nel
programma triennale delle opere pubbliche l’intervento di riqualificazione dell’area ex macello.
Pertanto, l’atto fondamentale in questo caso è costituito proprio dall’approvazione del programma triennale e dall’inserimento al suo interno dell’intervento di project financing relativo alla riqualificazione dell’area.
Le successive delibere della Giunta comunale n. 406 del 29/6/2006, con cui si approva lo studio di fattibilità relativo al project financing e n. 417 del 29/6/2006, con cui si approva l’avviso di selezione, sono atti esecutivi ed attuativi dell’atto fondamentale del Consiglio comunale.
L’aggiudicazione viene poi compiuta dal dirigente con determina n. 1564 del 23/6/2008, con la conseguente stipula della convenzione tra il Comune di Monza, quale concedente, e la RAGIONE_SOCIALE quale concessionaria, in data 22/3/2010.
Nella convenzione si prevede espressamente, oltre all’obbligo della RAGIONE_SOCIALE di portare a compimento le opere a proprie spese, anche il diritto di superficie in favore della società su una porzione di area da destinare a parcheggio, per la durata di 35 anni.
Non v’è dubbio che anche la Convenzione del 22/3/2010 non sia altro che il frutto dell’attuazione dell’atto fondamentale costituito dalla delibera del Consiglio comunale relativa alla programmazione triennale delle opere pubbliche.
Del resto, come evidenziato nel quadro normativo, il diritto di superficie era espressamente previsto nelle programmazioni dei lavori pubblici e, segnatamente, nell’art. 128 comma 4 del d.lgs. n. 163 del 2006.
L’ulteriore attività negoziale, costituita dall’Atto Integrativo del 29/12/2011, su delibera della Giunta comunale n. 605 del 16/9/2011, e l’Atto Aggiuntivo del 26/4/2012, stipulato a seguito di
delibera della Giunta comunale n. 205 del 30/3/2012, rappresentano l’ulteriore attuazione dell’atto fondamentale costituito dall’approvazione del programma triennale di opere pubbliche.
Sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello hanno ritenuto, con piena valutazione meritale, che l’Atto Integrativo e l’Atto Aggiuntivo sono stati determinati dagli inadempimenti del Comune di Monza, relativi alla mancata liberazione della porzione di area destinata a parcheggio, dalla realizzazione di opere incompatibili con il diritto di superficie, dall’attività imprenditoriale esercitata da terzi in concorrenza con la società RAGIONE_SOCIALE e dalla realizzazione di un impianto di skate park sempre sull’area destinata diritto di superficie.
Tra l’altro, sempre con piena valutazione di merito, sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello hanno reputato che non si era in presenza di un contratto preliminare di costituzione del diritto di superficie, ma di un impegno obbligatorio assunto dalla Giunta comunale, che sarebbe stato poi adottato dal Consiglio comunale.
Tra l’altro, il project financing, proprio per la struttura intrinseca dell’istituto, non reca debiti a carico del Comune, in quanto i costi delle opere da realizzare sono tutti a carico della società che intende eseguire l’opera, sicché l’attuazione della convenzione da parte della giunta comunale non comporta violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000 (Cass., Sez. U., 12/5/2020, n. 8770, ove si è ritenuta la competenza del consiglio comunale in ordine alla autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap, in quanto incideva sull’entità globale dell’indebitamento dell’ente).
In giurisprudenza amministrativa si è peraltro affermato, proprio in materia di project financing, che una volta ritenuto il progetto di rilievo per l’amministrazione, si apre una nuova distinta fase della procedura, in cui la valutazione in ordine alla congruità della proposta di project financing, trattandosi di attività di valutazione
tecnica e di gestione in via di principio consequenziale ad una scelta già effettuata, spetta alla dirigenza, ai sensi dell’articolo 107 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Cons. Stato, sez. V, 7/4/2011, n. 2154).
Pertanto, si è aggiunto che «consumatasi integralmente, invero, l’attività politica di scelta delle opere da finanziare mediante l’apporto dei privati, la procedura operativa, nell’ambito della quale vi è la presentazione di un progetto completo, la sua valutazione, il suo inserimento a base d’asta, insomma tutta l’attività successiva, è attività di gestione, vale a dire attività di valutazione tecnica consequenziale a quella scelta, e, coerentemente necessariamente, ai sensi del decreto legislativo numero 267 del 2000, essa ricade nella esclusiva competenza dei dirigenti» (Cons. Stato, sez. V, 7/4/2011, n. 2154; Cons. Stato, sez. V, 1/9/2009, n. 5136).
La valutazione del progetto preliminare che sia stato proposto ai sensi degli articoli 37bis e seguenti della legge numero 109 del 1994, che compete in sede locale agli organi di governo, rinviene il suo proprium nella individuazione, a seguito di esame anche comparativo delle proposte pervenute, di quella meritevole di essere ritenuto di pubblico interesse.
Ancora più chiaramente si è ritenuto che «la scelta delle opere da offrire ai candidati promotori finanziari ha luogo mediante la individuazione delle stesse nell’ambito del programma triennale dei lavori, di competenza del consiglio comunale, ove si consuma integralmente l’attività politica di scelta delle opere da finanziare mediante l’apporto dei privati» (Cons. Stato, sez. V, 1/9/2009, n. 5136; di recente Cons. Stato, sez. V, 27/10/2023, n. 9298).
Per tale ragione, «la cosiddetta scelta politica si esaurisce con l’inserimento dell’opera nell’elenco triennale, mentre tutta l’attività successiva è attività di gestione, vale a dire attività di valutazione
tecnica consequenziale a quella scelta che, coerentemente e necessariamente, ai sensi del decreto legislativo numero 267 del 2000, è nella esclusiva competenza dei dirigenti» (Cons. Stato, sez. V, 1/9/2009, n. 5136).
11. Quanto alla doglianza in ordine ai costi sostenuti in relazione a lavori extra-contratto, va condiviso il giudizio di merito dei giudici di prime cure d’appello, i quali hanno reputato tali costi riferiti a lavori complementari.
L’art. 147 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, infatti, proprio l’affidamento al concessionario di lavori complementari.
Si stabilisce che «possono essere affidati al concessionario in via diretta, senza l’osservanza delle procedure previste dal presente codice, i lavori complementari che non figurano nel progetto inizialmente previsto della concessione né nel contratto iniziale che sono divenuti necessari, a seguito di una circostanza imprevista, per l’esecuzione dell’opera quale ivi descritta, a condizione che l’affidamento avvenga favore dell’operatore economico che esegue l’opera, nelle seguenti ipotesi: a) quando i lavori complementari non possono essere tecnicamente o economicamente separati dall’appalto iniziale senza gravi inconvenienti per la stazione appaltante, oppure b) quando i lavori, quantunque separabili dall’esecuzione dell’appalto iniziale, sono strettamente necessari al suo perfezionamento».
Con pieno giudizio meritale si è osservato che l’affidamento dei lavori complementari alla società RAGIONE_SOCIALE era giustificato proprio dalla importanza di avere un unico interlocutore per lo svolgimento dei lavori, di importo molto rilevante. Del resto, i lavori complementari erano stati la conseguenza di inadempimenti del Comune di Monza, tali da determinare circostanze ostative alla consegna dell’area, su cui esercitare il diritto di superficie.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del Comune ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 dicembre