Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15073 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15073 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 902/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di TRIBUNALE AVELLINO n. depositata il 07/06/2021.
1049/2021
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 29.12.2021, illustrato da successiva memoria, RAGIONE_SOCIALE (Già RAGIONE_SOCIALE impugna per cassazione la sentenza del Tribunale di Avellino n. 1049/2021 pubblicata il 07.06.2021 con cui è stato rigettato l’appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Lacedonia n. 36/2016. La intimata COGNOME NOMECOGNOME quale erede di COGNOME NOME, deceduta nel 2018 (in corso di causa) ha notificato controricorso illustrato da successiva memoria.
In data 08.01.2016 le sigg.re COGNOME NOME e COGNOME NOME citavano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE, per ottenere il risarcimento dei danni per la perdita di valore dell’immobile di loro proprietà per la presenza illegittima dei cavi, per l’importo quantificato nella consulenza di parte in € 5000,00 ovvero per la somma e nella misura che verrà determinata in corso di causa. Si costituiva la società qui ricorrente per eccepire che tale diritto era insussistente alla luce della documentazione attestante la costituzione di un diritto di servitù al tempo della conclusione del contratto di allacciamento della linea elettrica, indicando documentazione e prove per testi. Dopo l’istruttoria espletata con l’audizione di testi, il Giudice di Pace accoglieva la domanda attorea.
In sede di giudizio di appello, con la sentenza n. 1049/2021 resa dal Tribunale di Avellino, il giudice confermava la sentenza di
primo grado, rigettando sia l’eccezione di incompetenza del Giudice di Pace che l’eccezione di acquisto per usucapione della servitù di elettrodotto, ritenendo in particolare quest’ultima sfornita di prova. In particolare, il Tribunale riteneva inammissibile l’eccezione relativa alla clausola di fornitura apposta nel contratto, ritenendo non provate le eccezioni della convenuta e provata la domanda delle attrici sia nell’ an che nel quantum attraverso la produzione della consulenza tecnica di parte prodotta nel primo grado.
Il ricorso è affidato a quattro motivi coi quali si deduce: – Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 2 per violazione delle norme sulla competenza ed in particolare dell’art. 7 c.p.c.; -Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, ovvero mancata considerazione di prove documentali e orali ; – Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 per violazione delle norme sul procedimento riguardo ad eccezioni sollevate; Nullità ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 132 c.p.c. per motivazione apparente.
Motivi della decisione
Il primo motivo ha ad oggetto la eccepita nullità della sentenza ex art. 360 n. 2 c.p.c. per violazione delle norme sulla competenza ed in particolare dell’art.7 c.p.c. Il motivo è inammissibile. Già con ordinanza del 19 ottobre 2011, n. 17039 questa Corte ha dichiarato la competenza del giudice di pace (nei limiti della sua competenza per valore) anche in ordine a controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile. La decisione che in questa sede si intende confermare ha sancito l’orientamento per cui nel sintagma ‘bene mobile’ è compreso il bene somma di denaro indicato come petitum mediato ai fini della competenza, e ne ha fatto conseguire che,
allorquando si eserciti una pretesa di risarcimento danni per equivalente assumendo che il danno si sia verificato su di un immobile (quale che ne sia il titolo di godimento), il diritto fatto valere, avendo ad oggetto una somma di danaro – e, quindi, un petitum mediato inerente il conseguimento di un bene della vita rappresentato da un bene mobile -, è per definizione un diritto concernente una cosa mobile, qual è il danaro: pertanto, agli effetti dell’art. 7 comma 1, c.p.c., la relativa domanda è senz’altro riconducibile all’ambito della competenza generale mobiliare così prevista a favore del giudice di pace (cfr. Cass. 17039 del 2010). Irrilevante appare a tal proposito il richiamo all’ordinanza n. 6935 del 20 marzo 2009 per sostenere il necessario collegamento tra l’azione risarcitoria proposta in primo grado e l’accertamento dell’esistenza di una servitù di cavidotto, in quanto tale accertamento avrebbe necessitato l’esercizio di una domanda riconvenzionale volta al riconoscimento della servitù che il giudice ha ritenuto non sussistere. Né su tale affermazione sono mosse idonee censure per dimostrare, con riferimento al primo atto difensivo, la proposizione di tale domanda riconvenzionale, mancando la censura del requisito di autosufficienza ex art. 366 n. 6 c.p.c., con riferimento specifico al suo contenuto.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto si eccepisce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ‘per omesso esame di un fatto decisivo per la controversia’. Secondo la società ricorrente il Giudice d’appello avrebbe omesso di considerare la documentazione allegata e la deposizione dei testi COGNOME e COGNOME come elemento decisivo per dedurne l’acquisto per usucapione della servitù di elettrodotto. Tuttavia, sul punto la decisione del secondo giudice è conforme a quanto rilevato e ricostruito dal giudice di primo grado e, inoltre, indica che le deposizioni testimoniali non hanno toccato la questione
della servitù di elettrodotto, mentre il documento prodotto era inattendibile in quanto illeggibile. In primo luogo si osserva che la censura incontra lo sbarramento indicato nell’art. 348 ter comma 5 c.p.c. in base al quale, se la sentenza di primo grado e quella di appello sono fondate sulle stesse ragioni (c.d. doppia conforme), inerenti alle questioni di fatto, il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 del primo comma dell’art. 360 con esclusione, dunque, del n. 5 ( ex multis , Cass. sent. 1521/2021). In secondo luogo, la censura non coglie la ratio decidendi di rigetto della relativa eccezione sulla base di prove risultate non idonee a dimostrarne la fondatezza, e quindi fondata su un diverso apprezzamento dei fatti che in sé dimostra la considerazione dei ‘fatti’ denunciati, invece, come omessi.
Il terzo motivo di ricorso attiene alla eccepita nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione delle norme sul procedimento ( error in procedendo ). Sempre richiamandosi al contratto tra l’ENEL e il sig. COGNOME NOME (originario proprietario) che, in tesi, costituirebbe fonte negoziale di acquisto della dedotta servitù di cavidotto in favore di Enel a carico della proprietà degli immobili, la ricorrente censura la sentenza là dove assume che tale argomentazione sia stata sollevata per la prima volta in sede d’impugnazione, facendo riferimento all’atto di costituzione in giudizio del primo grado. Il motivo è inammissibile in quanto non riporta, per la parte che rileva, il contenuto specifico dell’atto di costituzione e delle argomentazioni in tesi coltivate nel primo grado (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019), tendendo così a indurre questa Corte a riesaminare l’esito di valutazioni sul contenuto delle domande ed eccezioni, questa volta basate su un presunto acquisito consenso al posizionamento delle condutture elettriche, e non sulla intervenuta usucapione di una servitù di
elettrodotto (fatto tutto diverso da quanto esposto nelle prime due censure). In merito è sufficiente rilevare che il giudice del merito ha ritenuto che la domanda svolta in sede di appello fosse nuova e, pertanto, la parte impugnante in tale sede avrebbe dovuto dimostrare che quanto richiesto in sede di appello corrispondesse a una specifica domanda svolta e coltivata nel giudizio primo grado. Il motivo pertanto è inammissibile in quanto mancano i tasselli fattuali per permettere a questa Corte di svolgere il necessario confronto tra il chiesto e il pronunciato.
Il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 132 c.p.c., in quanto la motivazione resa non permetterebbe di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato. Il motivo è palesemente infondato in quanto la sentenza corrisponde al cd minimo costituzionale di cui a Cass. SU 8053/2014, essendo la motivazione pertinente coi fatti di causa per come rilevati dal giudice e priva di contraddittorietà intrinseca.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 , ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 20/03/2025.