Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17597 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22533/2024 R.G. proposto da:
AZIENDA AGRICOLA RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME E COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME e dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresentano e difendono giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE , in persona del Ministro pro tempore domiciliati, ex lege , presso l’Avvocatura Generale dello Stato, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
nonché
NOMECOGNOME NOMECOGNOME
-intimati-
avverso la sentenza n. 675/2024 del TRIBUNALE di PIACENZA, del 17/09/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte.
Osserva
La società semplice RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e COGNOME NOME convenne in giudizio il Ministero dell ‘Economia e delle Finanze, l’Agenzia del Demanio, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME perché, previo esperimento di c.t.u., fosse accertato il diritto di proprietà in capo all’ esponente del Rivo Novo di Quarto, nella parte in cui attraversava il fondo dell’attrice , nonché il confine con il terreno di proprietà di NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME.
Soggiunse l’attrice che nel 2006 aveva convenuto in giudizio NOME COGNOME del quale aveva chiesto la condanna al ripristino del canale irriguo denominato Riv o Nuovo di Quarto, ‘tombinato’ dal convenuto, che in tal modo aveva impedito all’attrice il prelievo di acqua. L’adito Tribunale, con la sentenza n. 268/2013, divenuta definitiva, aveva accolto la domanda, affermando la natura privata del Rivo Nuovo di Quarto, di proprietà dell’attrice e condanna to il convenuto al ripristino. Inoltre, il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, adito dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze, nel contraddittorio con l’esponente, con la sentenza n. 516 del 26/2/2020, aveva distinto <>.
Precisò inoltre che il Rivo Novo di Quarto aveva perso la natura demaniale in quanto da decenni era privo di acqua e, di conseguenza, il relativo sedime di proprietà dell’attrice.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio chiesero, in via di preliminarietà, dichiararsi l’inammissibilità della domanda per l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 516/2020 del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, la quale aveva accertato che nella vena fluviale scorreva ancora acqua pubblica e, pertanto, il canale aveva natura demaniale.
In subordine chiesero affermarsi ‘la carenza di giurisdizione’ del Tribunale ordinario in favore di quello specializzato.
NOME COGNOME sostenne la natura pubblica del canale, evocando, oltre alla già citata sentenza n. 516/2020, la sentenza n. 73/2023 del Tribunale di Piacenza resa in sede di opposizione all’esecuzione. A conforto di ci ciò evidenziò che il canale era iscritto in catasto nella parte speciale ‘acque esenti di estimo’ ed era ricompreso nell’elenco dei canali del ‘Piano Classifica del Consorzio di Bonifica’ approvato nel 2016 dalla Regione Emilia -Romagna.
NOME COGNOME chiese dichiararsi la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.
NOME COGNOME anche quale coerede di NOME COGNOME chiese integrarsi il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME anche quest’ultima coerede di NOME
Nel merito anche costei affermò la natura pubblica del corso d’acqua, la quale continuava a svolgere funzione irrigua.
Il Tribunale dichiarò il proprio difetto di competenza in favore del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.
L’azienda RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per regolamento necessario di competenza.
Dopo l’ esposizione del fatto, da pag. 7 fino al primo capoverso di pag. 9 del ricorso, vengono riportate le conclusioni dell’esponente formulate davanti al Tribunale.
Di poi si richiama il contenuto della sentenza n. 268/2013, che, a dire della ricorrente, avrebbe affermato la natura di demanio accidentale del canale.
Ulteriormente viene precisato che il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, <>, la quale, sempre secondo la ricorrente, non aveva chiesto accertarsi <>. Poiché il canale era stato in un tempo assai risalente scavato per libera iniziativa di proprietari terrieri, al fine di <>, era da presumere ‘più probabile che non’ <>.
Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, si precisa ancora, aveva affermato che il tribunale ordinaria ben avrebbe potuto, ‘ incidenter tantum ‘ , pronunciarsi sulla demanialità.
Infine, l’accertamento dei confini e l’apposizione di termini con i fondi confinanti, era pienamente ammissibile.
Il ricorso, che si pone al limite della scrutinabilità a cagione della sua esposizione scarsamente aderente al modello processuale evocato, è privo di fondamento.
Il Tribunale correttamente perimetra l’oggetto della causa, in concreto, <>.
L’accertamento di un tale ‘ petitum ‘ , conclude il Tribunale, <> . Giudice, quest’ultimo, al quale si appartiene qualsiasi accertamento volto a verificare la <>.
La decisione è conforme ai principi di diritto più volte enunciati in materia da questa Corte.
Si è, infatti, chiarito che, ai fini del riparto di competenza fra giudice ordinario e tribunale regionale delle acque pubbliche, in caso di contestazioni che attengono ai limiti dell’alveo e/o alle sponde di corsi d’acqua pubblici, il criterio di discrimine sta nella necessità, o meno, di indagini tecniche per stabilire se l’area di terreno della cui natura pubblica si discute rientri nel demanio idrico fluviale o lacuale, in quanto solo ove non sia necessaria una siffatta indagine sussiste la competenza del giudice ordinario senza che rilevi che la questione
abbia carattere pregiudiziale, o meramente incidentale, o sia stata proposta in via di eccezione, in quanto solo ove non sia necessaria una siffatta indagine sussiste la competenza del giudice ordinario (nella specie relativa ad un giudizio di usucapione avente ad oggetto un terreno coincidente con l’alveo di un torrente e con le relative aree spondali, la S.C. ha respinto il ricorso per essere competente il tribunale regionale delle acque pubbliche in considerazione della necessità di un’indagine tecnica volta a stabilire se l’area rientrasse ancora nel demanio idrico ovvero avesse perso tale qualità per effetto del ritiro delle acque del predetto torrente o di una sdemanializzazione tacita) – Sez. 2, n. 21495, 31/07/2024, Rv. 671986; conf. Cass. n. 9279/2017, 16807/2014, 1916/2011, 18333/20061, 291/1996, 9376/1994).
In disparte merita osservare che l’incidenza di un eventuale giudicato, la cui esistenza e contenuto non è in questa sede neppure formalmente allegato, non può che essere apprezzata dal giudice competente.
Né la ricorrente ha ragione di dolersi della mancata statuizione sulla dedotta mancanza d’integro contraddittorio. L’incompetenza del giudice, per vero, attiene qui a profilo del tutto distinto ed estraneo all’eccepita necessità d’integrare il contradditto rio nei confronti di altri proprietari, al fine di un compiuto regolamento dei confini. Pronuncia, questa, che riguardando la spartizione del letto del canale, che si assume aver perduto la qualità di ‘ res ‘ demaniale, deve, per ovvia ragione di priorità logico-giuridica, essere preceduta dall’accertamento dell’appartenenza o meno di questo al demanio idrico.
Rigettato, pertanto, il ricorso e dichiarata la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto
conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, davanti al quale dispone riassumersi la causa nel termine di legge; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese anticipate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 marzo 2025.