Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25540 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25540 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21403 – 2021 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– ricorrente –
contro
avv. COGNOME, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso da sé stesso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. cronol. 1043/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 1/3/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9/2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che :
il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione contro l’ordinanza dalla Corte d’appello di Roma n. cronol. 1043/2021 che, in accoglimento dell’opposizione proposta dall’avv. COGNOME avverso il provvedimento di liquidazione dei suoi onorari per un patrocinio reso a spese dello Stato, ha aumentato l’importo a lui riconosciuto dal giudice del procedimento in applicazione dello scaglione per le causa di valore superiore a Euro 26.000,00, quale scaglione «di regola» applicabile alle cause di valore indeterminabile;
-con l’unico motivo di ricorso, in particolare, il Ministero ha sostenuto che la Corte d’appello, riconosciuto che si trattava di causa di valore indeterminabile, non fosse tenuta a liquidare i compensi assumendo lo scaglione per le cause di valore compreso tra Euro 26.000,01 e Euro 52.000,00, dovendo invece esaminare l’utilizzabilità dei parametri fissati per lo scaglione relativo alle cause di valore inferiore, in quanto la causa si palesava di bassa complessità;
in data 15/5/2023, il Consigliere delegato ha proposto la definizione accelerata del ricorso, ex art. 380 bis cod. proc. civ., perché sull’unico motivo si è già espressa questa Corte in senso conforme a quanto deciso dal giudice di merito (cfr. ex multis Cass. n. 10661/2022, relativamente ad una controversia che vedeva contrapposte le medesime parti);
in data 22/6/2023 il Ministero ha depositato istanza di decisione,
il ricorso è manifestamente infondato; questa Corte ha più volte ribadito che il comma 6 dell’art. 5 dm n. 55/2014, laddove prevede che «le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro
260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia», in realtà stabilisce che i 26.000 euro rappresentano il valore da cui partire per individuare lo scaglione applicabile» (Cass. n. 18671/2018); «l’inciso di regola – contenuto nella disposizione – non sembra affatto stabilire – già sul piano letterale – un valore base inderogabile che non ammetta l’applicazione dello scaglione inferiore, né fissa una soglia passibile solo di eventuali correzioni migliorative per il difensore (nel senso che il valore minimo resterebbe in ogni caso fissato in Euro 26.000,00); tuttavia, alla formula normativa, salvo a svalutarne del tutto la portata, va assegnato il significato di individuare uno scaglione cui il giudice deve «in genere attenersi», ad eccezione dei casi in cui sussistano particolarità della singola lite che rendano giustificato il ricorso ad uno scaglione più basso, in rapporto «all’oggetto e alla complessità della controversia»; l’art. 5, comma 6, d.m. n. 55/2014 non impedisce – dunque – al giudice di scendere al di sotto dei limiti indicati dalle disposizioni, allorquando il valore effettivo della controversia non rifletta i parametri «di regola» predisposti dal legislatore, impregiudicato il dovere di dare adeguatamente conto in motivazione delle ragioni della decisione (Cass. n. 11887/2019; Cass. n. 38466/2021);
– nella specie, pacifico trattarsi di cause patrocinate di valore indeterminabile, la Corte d’appello nella liquidazione ha fatto corretta applicazione del principio enunciato dall’art. 5, comma 6, d.m. n. 55 del 2014, utilizzando proprio il relativo scaglione da 26.000 ai fini della liquidazione del compenso base, ritenendo non ricorressero ragioni che giustificassero l’applicazione dello scaglione inferiore; in tal senso, questo giudizio implica l’applicazione di un principio di diritto corretto e, ancor prima, una valutazione di merito non sindacabile in questa sede;
il ricorso è perciò manifestamente infondato, con conseguente condanna del Ministero al pagamento delle spese in favore dell’avv. COGNOME
poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., in applicazione, secondo la previsione del comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ., del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., il ricorrente deve essere condannato al pagamento a favore della controricorrente di una somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di un’ulteriore somma, pure equitativamente determinata, a favore della Cassa delle ammende; come evidenziato da Cass., Sez. U., 27-9-2023 n. 27433 e Cass., Sez. U., 13-10-2023 n. 28540, infatti, l’art. 380 bis comma III cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 comma III e IV cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata;
più in particolare, deve ancora considerarsi la particolare posizione dell’Avvocatura dello Stato che, secondo la giurisprudenza, non può parificarsi a quella di un difensore di una parte privata o di altro ente da essa non rappresentato, perché istituzionalmente rappresenta e difende l’Amministrazione attiva quale organo tecnico deputato a valutare e tutelare in maniera uniforme gli interessi dello Stato e, perciò, non soltanto ragioni patrimoniali, ma interessi unitari della collettività nazionale. Rispettando il principio di legalità e di giustizia al quale deve ispirarsi la cura della cosa pubblica, l’Avvocatura dello Stato concorre ad assicurarne la migliore utilizzazione da parte di tutti i cittadini; in tal senso, l’Avvocato dello Stato deve integrare l’assolvimento del ministero professionale con l’adempimento
dell’ulteriore dovere che gli deriva dall’appartenenza ad una pubblica istituzione, quale portatore dell’esigenza di legalità dell’azione amministrativa (Cass., Sez. Un., n. 1082 del 05/02/1997);
– q uanto all’obbligo di pagamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende, di cui al citato comma IV (pure -di regola -conseguente in caso di piena conformità della decisione alla proposta anticipata), questa Corte ha già stabilito che nulla osta alla sua applicazione anche quando -come nella specie -ricorrente soccombente sia una Pubblica amministrazione, posto che il beneficiario della sanzione, la Cassa delle Ammende, costituisce un ente di diritto pubblico autonomo, con soggettività distinta da quella del Ministero obbligato, dotato di una propria contabilità (art. 4, comma 4, della legge 9 maggio 1932 n. 547) e di un proprio bilancio (art. 7, comma 1 lett. h), Allegato al DPCM del 10 aprile 2017, n. 102), con fondi destinati a funzioni specifiche (art. 2, comma 2 Allegato); l ‘entrata che rileva, in particolare, in questa sede è quella, di carattere corrente, prevista dall’art. 20, comma 2 lett. d), del citato Allegato, destinata a confluire nella gestione separata di cui all’art. 22, comma 1 dello stesso Allegato (Cass. Sez. 2, n. 15354 del 2024);
– infine, deve ribadirsi che, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. Sez. 6 – L, n. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il Ministero al pagamento, in favore d ell’avv. COGNOME , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro1.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge;
condanna altresì il Ministero, ex art. 96 comma III cod. proc. civ., al pagamento di Euro 1.000,00 in favore dell’avv. COGNOME e, ex art. 96 comma IV cod. proc. civ., di ulteriori Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 18 settembre 2024 e, a seguito di riconvocazione, in data 30 ottobre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME