Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22151 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22151 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15815 – 2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata per procura generale da COGNOME elettivamente domiciliata in Bologna, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura allegata alla memoria di costituzione di nuovo difensore, con indicazione de ll’indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. rep. 1068/2019 del TRIBUNALE DI BOLOGNA , resa nel fasc. n.764/2017 in data 19/3/2019, pubblicata in data 20/3/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 16 gennaio 2017, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Bologna, NOME COGNOME chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 16.906,14 o della diversa somma ritenuta di giustizia, a titolo di compensi professionali per l’ attività professionale stragiudiziale prestata in suo favore nella divisione del compendio ereditario del coniuge.
Costituitasi in giudizio, NOME COGNOME negò di aver mai conferito alcun incarico all’attore.
La causa fu inizialmente trattata nelle forme ordinarie, dinnanzi al Giudice monocratico e con concessione dei termini ex art. 183 cod. proc. civ.
All’esito della riserva di provvedimento sulle richieste istruttorie, come formulata dal Giudice monocratico, senza ulteriore interlocuzione con le parti, la causa fu tuttavia decisa con ordinanza collegiale, in esplicita adozione del rito ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011, con il rigetto del la domanda per difetto di prova sull’avvenuto conferimento dell’incarico e condanna del l’avv ocato istante alle spese.
Avverso l’ordinanza, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi; NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, NOME COGNOME ha denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma, dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 187, 189 e 101 cod. proc civ.
per avere il Tribunale, senza fissare un’ udienza di precisazione delle conclusioni, né concedere un termine per presentare le proprie difese conclusionali, mutato il rito e deciso sulla domanda in composizione collegiale, ex art. 14 d.lgs. 150/2011; ha rappresentato, soprattutto, per quel che qui rileva, che l’attività professionale per cui si chiedeva compenso era di natura stragiudiziale, con conseguente inapplicabilità del rito ex art. 14.
Il motivo è fondato per le ragioni di seguito esposte.
In seguito all’entrata in vigore dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. cit., può essere introdotta: a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ. che dà luogo ad un procedimento sommario speciale disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs. oppure b), ai sensi degli artt. 633 segg. cod. proc. civ., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702-bis segg. cod. proc. civ., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 cod. proc. civ. e deve essere decisa in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 50-bis, secondo comma, cod. proc. civ., come confermato dall’art. 14, secondo comma, del ridetto d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso (Cass., Sez. 2, 18/9/2019, n. 23259; Cass., Sez. 6-1, 20/6/2018, n. 16186; Cass., Sez. U, 20/7/2012, n. 12609).
È esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702- bis e segg. cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 23/2/2018, n. 4485).
Tali principi valgono, però, per i soli giudizi concernenti la liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali rese in materia civile, ma non anche per quelli volti al conseguimento di compensi per prestazioni professionali rese in ambito stragiudiziale e non inscindibilmente collegate alla difesa in giudizio (Cass. Sez. 2, n. 19228 del 12/07/2024 , con l’indicazione di numerosi precedenti ): per questi giudizi , sia nel regime precedente all’introduzione dell’art. 14 d.lgs. 150/2011, che in quello in vigore, è applicabile non il rito speciale della liquidazione dei compensi di avvocato, ma il rito ordinario di cognizione ovvero, in alternativa, il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis cod. proc. civ. innanzi al Tribunale in composizione monocratica (Cass., Sez. 2, 23/11/2022, n. 34501; Cass. Sez. 6 – 2, 11 marzo 2021, n. 6817; Cass. Sez. 2, 27 settembre 2016, n. 19025).
Nel caso di specie, dunque, non trovava applicazione l’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, atteso che, come riportato nella stessa parte narrativa dell’ordinanza impugnata, secondo la prospettazione dell’avvocato attore, l’attività professionale, oggetto della domanda di compenso, sarebbe stata prestata in una trattativa tra le parti sfociata in transazione stragiudiziale.
Dall’erronea scelta del rito da parte dei giudici di merito per la trattazione della domanda principale concernente l’attività di consulenza è, dunque, conseguito per il ricorrente lo specifico pregiudizio della perdita di un grado di giudizio, atteso che la sentenza del procedimento ordinario sarebbe stata impugnabile con l’appello, mentre l’ordinanza collegiale ex art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 è soltanto ricorribile per cassazione, ex comma quarto dello stesso articolo. In tale ipotesi, pertanto, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali -che non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria -consente invece di garantire, con la cassazione dell’ordinanza impugnata – l’eliminazione
dello specifico pregiudizio subito dalla ricorrente alle prerogative processuali riconosciutole dalla legge (Cass. Sez. 2, n. 19228 del 12/07/2024 cit.).
A tale conclusione non osta il principio di apparenza, in virtù del quale l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione operata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall’esattezza di essa (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. ex multis , n. 3712/11 e 26294/07). Questo principio, infatti, assolve la funzione di esentare la parte dal rischio di individuar e erroneamente il mezzo d’impugnazione esperibile, ma non preclude al giudice ad quem – e, in particolare, alla Corte di Cassazione -di verificare l’esattezza dell’anzidetta qualificazione (v. n. 4021/80 e 1553/95), e di trarne, di riflesso, le eventuali conseguenze in punto non di ammissibilità del mezzo, ma di compromissione delle facoltà processuali. (così Cass. 19288/24 cit).
L’ordinanza impugnata deve, perciò, essere cassata.
Dall’accoglimento del primo motivo deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento del secondo motivo, con cui è stata prospettata, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2721 cod. civ. per avere il Tribunale dichiarato inammissibile la prova testimoniale in applicazione dei limiti di valore ex art. 2721 cod. civ., nonostante la convenuta non avesse sollevato alcuna eccezione in proposito, nonché del terzo motivo, con cui è stata sostenuta, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2721, comma secondo. cod. civ., per avere il Tribunale disatteso il principio di diritto secondo cui il conferimento dell’incarico professionale può essere provato anche per presunzioni e dunque anche mediante prova
testimoniale, nonché del quarto motivo, con cui è stata denunciata, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per non avere il Tribunale ritenuto provato il conferimento dell’incarico da parte della convenuta in considerazione dei numerosi e univoci indizi raccolti.
Il ricorso è perciò accolto e l’ordinanza impugnata deve essere cassata, con rinvio al Tribunale di Bologna in composizione monocratica e in diversa persona fisica perché provveda al riesame della domanda dell’avv. COGNOME in applicazione del rito ordinario.
Decidendo in rinvio, il Tribunale statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bologna in composizione monocratica e in diversa persona fisica, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda