Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33910 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33910 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15699/2023 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE ROMA RAGIONE_SOCIALE SOCIETÀ PER AZIONI, elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
BROGGI
NOME
ORESTE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 140/2023 depositata il 11/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con delibera dell’assemblea di RAGIONE_SOCIALE del 29.07.2010 NOME COGNOME veniva nominato sindaco della società, unitamente ad altri quattro componenti, per il periodo 2010 – 2013.
All’atto della nomina, il compenso era determinato con riferimento ‘ai minimi tariffari stabiliti dalle disposizioni dei DPR 645/94 e 100/97 e successive modificazioni, recepite dal Comune di Roma con deliberazione di Giunta Comunale n. 215 del 23.05.2007’.
In corso di rapporto, era intervenuto il decreto del Ministero della Giustizia n. 169/2010, entrato in vigore il 30.10.2010, che aveva disposto nuovi criteri tariffari per la determinazione dei compensi spettanti ai Sindaci, abrogando espressamente i precedenti regolamenti richiamati nella suddetta delibera assembleare.
Per l’effetto, era sorto e proseguito un ampio contrasto di opinioni circa la misura del compenso che andava riconosciuto ai Sindaci all’epoca in carica.
La società RAGIONE_SOCIALE in persona dell’Amministratore Delegato, all’epoca in carica, NOME COGNOME – al fine di dirimere la pluriennale lite scaturita dalla persistente situazione di incertezza legata all’ interpretazione della delibera assembleare determinativa del compenso spettante al sindaco e prevenire un inevitabile, e gravoso, contenzioso giudiziario, addiveniva in data 19.11.2013 ad una transazione con il COGNOME grazie alla quale quest’ultimo (rispetto a quanto dallo stesso preteso a titolo di compenso) rinunciava a circa € 100.000,00 a fronte del pagamento del residuo importo di € 360.000,00 (vedi atto di transazione depositato in data 11.03.2016 sub. doc. 4 in allegato alla comparsa di costituzione).
Con atto di citazione notificato in data 13.11.2015 la società RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi il Tribunale di Roma NOME COGNOME al fine di sentirlo condannare al pagamento, in via di restituzione, dell’importo di € 651.437,03 a titolo di compenso eccedente rispetto a quanto determinato dall’assemblea societaria, percepito dal Sindaco per effetto del richiamato atto transattivo in relazione del quale la società eccepiva la nullità ex art. 1966 c.c. tenuto conto che il potere di determinare i compensi è attribuito ai sensi dell’art. 2402 c.c. in via esclusiva all’assemblea e non anche all’amministratore delegato, firmatario della transazione e che, nella specie, i compensi attribuiti al Sindaco non erano conformi ai criteri tariffari indicati dall’assemblea all’atto della rispettiva nomina.
Si costituiva l’odierno ricorrente il quale, eccepita in via preliminare, l’incompetenza del giudice adito in favore della Sezione Specializzata del Tribunale delle Imprese di Roma, contestando in toto la domanda attrice evidenziando (i) la validità
della transazione conclusa tra parti – la società, legittimamente rappresentata dal suo amministratore delegato da un late il sindaco, dall’altro e chiedendo, in via cautelativa, la chiamata in causa dell’Amministratore Delegato, NOME COGNOME per essere da quest’ultimo manlevato per l’ipotesi di annullamento della transazione per fatto imputabile ad esso chiamato in causa, ed in via riconvenzionale, la condanna di Atac al pagamento degli ulteriori compensi maturati dal Sindaco nel secondo triennio ed arbitrariamente non erogatigli a partire dal mese di settembre 2014 per un importo di € 78.805,338.
Autorizzata la chiamata, il terzo si costituiva concludendo per il rigetto della domanda formulata nei suoi confronti.
La causa – rimessa innanzi al Giudice della Sezione Specializzata del Tribunale delle Imprese ed esaurita la fase istruttoria documentale – veniva decisa con sentenza n. 12055/2019 con la quale, in accoglimento della domanda formulata dalla società RAGIONE_SOCIALE, il Giudice di prime cure: – dichiarava la nullità della transazione; per l’effetto, condannava l’odierno ricorrente al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE dell’importo di € 577.594,18, risultante dalla compensazione tra il credito spettante alla società pari ad € 651.437,03 a titolo di maggiori compensi indebitamente percepiti per il periodo 20102013 dal deducente e quello, pari ad € 73.842,85, da quest’ultimo maturato per compensi non corrisposti nonché rigettava la domanda di manleva formulata dal Dott. COGNOME nei confronti del Dott. NOME COGNOME terzo chiamato in causa.
Avverso la suddetta pronuncia il sig. COGNOME proponeva appello chiedendone la riforma integrale, con conseguente accoglimento delle domande dallo stesso proposte in primo grado.
Costituitisi entrambi gli appellati, i quali insistevano per il rigetto del gravame
Con sentenza n.140/2023 il giudice del gravame rigettava l’appello e per l’effetto confermato la sentenza di primo grado.
La Corte di appello confermava la decisione di primo grado sia pure apportando all’iter argomentativo seguito dal Tribunale qualche precisazione.
In particolare stabiliva, per gli aspetti che qui rilevano, che nel caso sottoposto alla sua attenzione non si sarebbe potuto transigere riguardo ai compensi del sindaco stabiliti dalla decisione assembleare che li aveva nominati.
Sottolineava infatti che detti compensi era stati determinati dall’Assemblea in maniera diversa dalla transazione, che sottoscritta dall’Amministratore della società, era stata poi impugnata dalla società stessa.
Il giudice di merito, nella descrizione della normativa che aveva portato alla dichiarazione di nullità della trascrizione, si soffermava su diversi punti.
In primo luogo, e con riferimento alla compromettibilità in arbitri di controversie di diritto societario ex art 806 c.p.c., osservava che il decreto legislativo 5/2003 art 34 lo consentiva ma solo se ciò era stato espressamente previsto nell’atto costitutivo, con ciò sottraendolo alla stessa assemblea e a maggior ragione al Consiglio di amministrazione o all’Amministratore delegato.
La Corte distrettuale faceva poi richiamo all’art 2402 c.c. che, in materia di compensi, stabiliva: ‘la retribuzione annuale dei sindaci, se non è stabilita dallo statuto, deve essere determinata dall’Assemblea all’atto della nomina per l’intera durata del loro ufficio’.
Osservava che nello specifico la delibera assembleare di nomina del 29.7.2010 statuiva che per il compenso ‘ si applicano i minimi tariffari stabiliti dalle disposizioni dei DPR 645/1994 e 100/97 e successive modificazioni e recepite dal Comune di Roma con delibera della Giunta comunale nr 215/23.5.2007’.
Secondo la Corte di appello di Roma nel caso in esame il tema non era quindi deferibile ad arbitri, con la conseguenza che questo rafforzava la tesi della indisponibilità della materia tramite una semplice transazione che la sottraeva al controllo e alla rigidità del rito arbitrale.
Non essendo detto compenso regolato dallo Statuto- precisava la Corte di meritoera solo l’Assemblea che aveva questo potere, che, in forza dell’art 2402 c.c., ne aveva fissato i precisi confini.
In questa prospettiva si dava rilievo fondamentale alla delibera della Giunta comunale che, espressamente richiamata da quella assembleare, ne definiva gli invalicabili limiti.
Dal complesso della normativa esaminata emergeva, ad avviso del giudice di merito, la chiara violazione dell’art 1966 c.c., e quindi la nullità della transazione stipulata fra sindaco e società.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE anch’esso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con un primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 1966, comma 2, c.c. in relazione all’art. 2402 c.c. per avere la Corte di appello, pur avendo riconosciuto che parte del negozio transattivo era la società RAGIONE_SOCIALE
non ha tratto le giuste conseguenze in termini di validità della transazione confermando la nullità ed incorrendo per questo nel vizio qui denunciato.
Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 1966, comma 2, c.c. in relazione all’art. 2402 c.c. per avere il giudice del gravame ritenuto che la disciplina dettata in materia di limiti alla controversia arbitrabili convalidi la tesi dell’indisponibilità della materia riguardante i compensi e, dunque la loro intransigibilità.
Secondo il ricorrente non vi sarebbe alcuna norma che attribuisca il carattere dell’indisponibilità alla materia dei compensi, tanto è vero che l’art. 2402 c.c. consente che della determinazione degli stessi possa disporne l’assemblea con propria delibera.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 2402 c.c. per avere la Corte di appello rigettando il secondo profilo di censura, confermato la riduttiva tesi interpretativa del contenuto della delibera assembleare determinativa dei compensi.
I primi due motivi, che meritano un vaglio congiunto per l’intima connessione in quanto diretti a censurare da angolazioni diverse il giudizio di invalidità della transazione, sono infondati.
Il ricorrente critica sotto plurimi profili i passaggi argomentativi che hanno condotto il giudice di merito alla conferma della nullità della transazione rimproverando alla decisione che la statuizione di nullità poggi su una pretesa violazione 1966 c.c. nella specie, non sussistente ‘per essere frutto di una erronea ricognizione della fattispecie astratta della suddetta norma’.
Si rimprovera cioè l’errore di ‘ assumere(…) che qualsivoglia transazione, a prescindere dalla capacità o meno della parti e
dall’oggetto della stessa, sia sanzionabile con la nullità prevista dall’art 1966 c.c. per il solo fatto che attenga alla materia riguardante i compensi e non ad un diritto indisponibile, come viceversa, statuito nel citato articolo e su questa base si considera fuori di dubbio che ‘la capacità a transigere e la disponibilità dei diritti’ di cui la norma si occupa per sanzionare l’eventuale indisponibilità, riguarda le parti contraenti che nel caso di specie corrispondono, da un lato, alla società e, dall’altro, al sindaco.
Così come si considera innegabile che il diritto di transigere l’insorgenda lite sull’interpretazione della delibera assembleare (del Comune quale socio unico) rientrerebbe nella sfera dei poteri della società che è invece legittimamente esercitata per il tramite dell’amministratore delegato.
Si rimprovera infine il richiamo allo stesso articolo 1402 c.c. perché attraverso il contratto transattivo le parti non avrebbero disposto di un potere di determinazione del compenso, dal momento che oggetto della transazione, non sarebbe stato il compenso ma l’interpretazione della delibera assembleare che quel compenso aveva incontestabilmente stabilito.
Interpretazione che si afferma era resa necessaria per interpretare il senso delle’ successive modifiche’ previste dalla delibera assembleare potendo lo stesso essere considerato, come si sostiene, un meccanismo di adeguamento non a quelle specificatamente indicate ma a tutte le variazioni tariffarie che fossero intervenute nel corso del rapporto.
Lo svilupparsi delle argomentazioni di impugnazione vede un articolarsi di motivazioni che, si alimentano reciprocamente per legittimare la soluzione interpretativa proposta.
E questo ne consiglia una visione e valutazione congiunta.
Ciò posto questa Corte ritiene che i motivi addotti non possano essere condivisi, dal momento che, singolarmente e nel loro insieme, seguono percorsi non consentiti dal nostro ordinamento giuridico.
Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale, nel rilevare la nullità della transazione, abbia dato un eccessivo rilievo al primo comma dell’art 1966 c.c. anziché al secondo comma della medesima disposizione, fornendo in tal modo una interpretazione ritenuta monca.
Per questa via il risultato che si ottiene è quello di spostare in un caso che ha come riferimento la determinazione della capacità di disporre del diritto in un versante che riguarda il solo tema della disponibilità visto nella prospettiva dei poteri che hanno le parti in contesa.
Da questa premessa se ne fa discendere che il potere della società è esercitato tramite gli amministratori, i quali gestendo la stessa hanno il potere di transigere.
Potere che, secondo il ricorrente, legittima qualsiasi transazione fatta dagli amministratori anche quella che ha per oggetto la determinazione dei poteri e nel caso in esame di determinazione dei compensi.
In tal modo, a seguire il ragionamento del ricorrente, si viene a sfaldare la distinzione fra il primo ed il secondo comma dell’art 1966 c.c.
Infatti sarebbe sufficiente immaginare e minacciare una lite per autorizzare gli amministratori a transigere ogni controversia, sino a rompere quel delicato equilibrio delle norme organizzative che intessono tutta la disciplina societaria assolvendo alla funzione fondamentale di fissare la legittimazione dei poteri fra i diversi
organi sociali attraverso la quale si articolano i molteplici interessi e diritti, le molteplici parti che con il termine ‘ società’ articolano una complessa struttura.
In questa prospettiva la stessa lettura dell’art 1966 c.c. nell’ambito dei problemi societari deve trovare nella disciplina di questi ultimi i motivi che ne esplicitano i particolari interrogativi.
Significativo in questo senso è l’ultimo comma dell’art 2393 c.c. che regola la transazione nel caso di esercizio di un’azione di responsabilità contro gli amministratori.
Norma che testualmente prevede che’ la società può rinunciare all’esercizio dell’azione di responsabilità e può transigere purchè la rinuncia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell’assemblea e purchè non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale..’
Disciplina che, come si vede, amplia e specifica il concetto di parte nella problematica societaria e di disponibilità dei diritti.
Disciplina dalla quale emerge che nessuna transazione è possibile da chi è legittimato ad esercitare un determinato potere, diversamente da quanto è accaduto nel caso in esame, in quanto la transazione a nome della società è stata sottoscritta dall’Amministratore delegato in esplicito contrasto con quella che era la volontà del socio totalitario il quale ha formalmente negato ogni consenso alla transazione stessa.
Infatti con questa disposizione, richiamati anche per i Sindaci dall’art 2407 c.c., il legislatore ha squarciato, e proprio con riferimento alla transazione, il velo che copre il termine ‘ società’ quando la stessa è parte di un conflitto che interessa i poteri fra i suoi organi.
Così, ancorchè gli amministratori siano autorizzati a transigere, la transazione non è valida, secondo l’indirizzo di questa Corte (sentenza nr 2011 nr 14963 ) se non ricorrono ulteriori fatti.
Se, cioè, non è stata successivamente approvata da quell’Assemblea che ha il potere di proporre l’azione.
Ma neanche questo è sufficiente perché è necessario che l’approvazione avvenga senza il voto contrario di quella minoranza dei soci che autonomamente è stata legittimata a proporla.
L’indirizzo normativo sui limiti del potere di transigere a nome della società non poteva essere più chiaro.
Quello che in definitiva è decisivo è la tutela di chi ha la titolarità del potere su una determinata materia.
Condivisibile in questo quadro la decisione della Corte di appello che ha rilevato l’assenza di potere in capo al sottoscrittore.
Quello che si nega e si rimprovera alla Corte di appello è di aver dato rilievo centrale all’art 2402 c.c. che nella fattispecie non sarebbe richiamabile, in quanto oggetto della transazione, non è stato il conferimento di un potere ma l’interpretazione della esatta portata della delibera assembleare.
Anche in questo caso si è utilizzata, da parte del ricorrente, la tecnica della ortopedia dell’atto oggetto di valutazione togliendo ogni significato a quello che secondo il giudice di merito è l’elemento fondamentale nella determinazione della volontà assembleare.
E ciò in perfetta aderenza con quello che, secondo la migliore dottrina, è l’ oggetto della transazione vale a dire la situazione di diritto sostanziale investita dalla lite, nel caso di specie la determinazione del compenso.
Quanto poi alla richiamata la norma sui limiti delle controversie arbitrabili ( secondo motivo di ricorso) la censura è inammissibile, in quanto relativo non alla ratio decidendi, ma ad un mero argomento utilizzato dalla Corte di merito a conforto delle sue conclusioni.
Il terzo motivo è inammissibile.
La censura investe l’interpretazione data dal giudice di merito sul contenuto della volontà assembleare ed è pertanto relativa al giudizio di fatto che costituisce espressione dell’attività tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non è in termini generali sindacabile in sede di legittimità salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss c.c qui non dedotti.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE delle spese della presente fase che si liquidano in complessive €10.000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed al 15% per spese generali ed accessori di legge:
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Roma 18.12.2024
Il Presidente (NOME COGNOME)