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Compenso simbolico: lecito in gare pubbliche

La Corte di Cassazione ha annullato la sanzione disciplinare inflitta a un architetto che aveva partecipato a una gara pubblica accettando un compenso simbolico di un euro. Secondo la Corte, tale condotta non costituisce un illecito deontologico se il professionista agisce per ottenere un vantaggio immateriale, come l’arricchimento del proprio curriculum, e aderisce a condizioni di gara legittime e uguali per tutti i partecipanti.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Simbolico nelle Gare Pubbliche: Non è Illecito per la Cassazione

L’accettazione di un compenso simbolico in una gara pubblica può costituire un illecito disciplinare per un professionista? A questa domanda ha dato una risposta chiara e innovativa la Corte di Cassazione, con un’ordinanza che annulla la sanzione disciplinare a un architetto. La Corte ha stabilito che, in determinate circostanze, la rinuncia a un compenso economico in favore di un vantaggio immateriale, come la crescita professionale, è una scelta legittima e non sanzionabile.

I Fatti del Caso

Un architetto partecipava a una gara pubblica indetta da un Comune per la redazione di un importante strumento urbanistico. Il bando prevedeva un compenso di un solo euro, oltre al rimborso spese. L’architetto, risultato vincitore, accettava l’incarico. A seguito di ciò, il Consiglio di Disciplina del suo Ordine professionale gli infliggeva una sanzione di sospensione per sessanta giorni. La motivazione era la presunta violazione del codice deontologico, che vieta pratiche anticoncorrenziali come la rinuncia al compenso per accaparrarsi illecitamente un incarico. La sanzione veniva confermata anche in appello dal Consiglio Nazionale degli Architetti, secondo cui la rinuncia al compenso è ammissibile solo per ragioni eccezionali di natura etico-sociale o di beneficenza, e non per motivi professionali. L’architetto decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte sul compenso simbolico

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’architetto, annullando senza rinvio la sanzione disciplinare. I giudici hanno ritenuto che la decisione dei Consigli disciplinari fosse basata su un’interpretazione eccessivamente restrittiva delle norme deontologiche. Secondo la Suprema Corte, la condotta del professionista non poteva essere considerata automaticamente un illecito disciplinare. La partecipazione a una gara pubblica, le cui condizioni erano state definite dalla Pubblica Amministrazione e giudicate legittime in sede amministrativa, non può essere equiparata a una condotta di concorrenza sleale.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella valorizzazione del cosiddetto “vantaggio immateriale”. La Corte ha spiegato che le ragioni che possono giustificare la gratuità di una prestazione professionale non si limitano a motivi affettivi o di beneficenza. Si estendono anche a quelle ipotesi in cui la scelta è ispirata dall’obiettivo di conseguire un vantaggio personale e indiretto, come l’incremento del proprio curriculum e della propria competitività professionale per futuri incarichi. Questo “ritorno di immagine” costituisce una controprestazione lato sensu economica, anche se non di natura finanziaria diretta.

La Corte ha inoltre operato una distinzione fondamentale: un conto è un professionista che, in una trattativa privata, offre di lavorare gratis per sottrarre un cliente a un collega; un altro è aderire alle condizioni di un bando di gara pubblico, aperto a tutti e con regole uguali per tutti i partecipanti. In questo secondo caso, l’adesione alle condizioni della PA, inclusivo del compenso simbolico, non è un’iniziativa del singolo per falsare la concorrenza, ma l’accettazione di una regola del gioco fissata dall’ente committente. Essendo il bando legittimo e garantita la par condicio tra i concorrenti, non si può ravvisare un comportamento anticoncorrenziale.

Conclusioni

Questa ordinanza segna un punto importante per tutti i professionisti che operano con la Pubblica Amministrazione. La Corte di Cassazione chiarisce che il compenso simbolico non è di per sé un tabù deontologico. La scelta di accettare un incarico prestigioso per un euro può essere una legittima strategia di crescita professionale. La decisione sposta il focus dalla mera quantificazione economica del compenso alla valutazione del contesto e delle motivazioni del professionista. Se la cornice è quella di una gara pubblica trasparente e legittima, e il fine è l’arricchimento del proprio bagaglio professionale, non vi è spazio per una sanzione disciplinare. La sentenza riconosce, di fatto, che il valore di un incarico non si misura solo in denaro, ma anche in opportunità e prestigio.

È sempre un illecito disciplinare per un professionista accettare un compenso simbolico di un euro in una gara pubblica?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è un illecito disciplinare se la condotta si inserisce nel contesto di una gara pubblica legittima e trasparente e se la scelta del professionista è motivata dalla ricerca di un vantaggio immateriale, come l’arricchimento del proprio curriculum e l’aumento della competitività futura.

Quali sono le ragioni valide per rinunciare a un compenso professionale secondo la Corte?
La Corte ha specificato che le ragioni non sono limitate a quelle di carattere etico-sociale, di benevolenza o legate a calamità naturali. Si estendono anche alle ipotesi in cui la scelta sia ispirata dall’obiettivo di conseguire un vantaggio personale e indiretto, come l’incremento della propria reputazione e delle future opportunità professionali.

La partecipazione a una gara pubblica con regole fissate dalla PA può essere considerata concorrenza sleale?
No. La Corte ha chiarito che l’adesione di un professionista alle condizioni di gara stabilite da una Pubblica Amministrazione, identiche per tutti i potenziali concorrenti, non può essere tacciata di anticoncorrenzialità. Si tratta di un’adesione a un’offerta proveniente dalla PA e non di un’iniziativa preordinata a danneggiare i colleghi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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