Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7431 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7431 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2739-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ORDINE DEGLI RAGIONE_SOCIALE PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI COMO, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI COMO, CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI RAGIONE_SOCIALE, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI e CONSERVATORI;
avverso la decisione n. 37/2022 del CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI RAGIONE_SOCIALE, PAESAGGISTI e CONSERVATORI, depositata il 10/11/2022;
lette le conclusioni scritte ed udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. L’Architetto NOME COGNOME impugnava, dinanzi al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (di seguito ‘Consiglio Nazionale APPC’), la delibera assunta dal Collegio del Consiglio di Disciplina dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Como, con la quale gli era stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione per un periodo di sessanta giorni dall’esercizio della professione per violazione degli artt. 20.2 e 24.7 del codice deontologico per aver accettato un incarico gratuito (1 euro), conferito -a seguito di gara pubblica -dal Comune di Catanzaro per la predisposizione di un nuovo strumento urbanistico.
In particolare, dal procedimento disciplinare emergeva che l’Arch. COGNOME a seguito della partecipazione ad un bando pubblico di gara della procedura aperta per l’affidamento dell’incarico per la redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro e relativo regolamento urbanistico, essendo risultato vincitore, aveva rinunciato al proprio compenso sull’erroneo assunto che l’acquisizione dei requisiti professionali necessari per poter
partecipare ad altri bandi fosse una ragione idonea a giustificare la detta rinuncia.
Secondo il Consiglio di Disciplina, invece, i casi eccezionali e/o le comprovate ragioni che legittimano la rinuncia dell’architetto al proprio compenso devono essere circoscritti a particolari ragioni affettive o a ragioni di particolare valore etico sociale o di benevolenza o in occasione di calamità naturali di particolare gravità, altrimenti violando il relativo divieto di cui al codice deontologico.
Il Consiglio Nazionale APPC, con decisione n. 1/2022, nel respingere il ricorso, ha evidenziato che, accettando di acquisire l’incarico per un euro, l’Architetto COGNOME ha, da un lato, falsato la scelta economica del Comune committente, consentendogli di realizzare ad un prezzo simbolico un’opera che non avrebbe potuto realizzare al suo giusto prezzo, dall’altro, ha falsato gli equilibri di mercato, precludendo importanti opportunità professionali a chi più dignitosamente non ha ritenuto di prestarsi a svolgere gratuitamente un’opera tanto importante, anche dal punto di vista economico.
Secondo l’organo decidente, il fatto che il Consiglio di Stato abbia vagliato la legittimità del bando del Comune di Catanzaro per l’assegnazione dell’incarico ad un euro non significa automaticamente che partecipandovi e vincendolo il professionista abbia agito nel rispetto del codice deontologico. Il compenso, infatti, non deve essere confuso con il rimborso delle spese che consiste nel ristoro dei costi sostenuti dal professionista per l’esecuzione del mandato, con funzione di restituzione e non di remunerazione del servizio, non rilevando in
tal senso neanche l’ipotesi di rimborso spese inclusivo del pagamento di spese a vacazione, trattandosi sempre di spese e non di retribuzione.
Il Consiglio Nazionale APPC ha inoltre pienamente condiviso la determinazione del Consiglio di Disciplina circa la natura e l’entità della sanzione, ritenendola congrua rispetto ai fatti contestati ed alla condotta del ricorrente.
Avverso la decisione è stato proposto ricorso per cassazione dall’Arch. Dinale sulla base di due motivi.
Gli intimati Consiglio dell’Ordine APPC di Como, Consiglio Nazionale APPC e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como non hanno compiuto attività difensiva in questa sede.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Preliminarmente deve rilevarsi l’inammissibilità dell’evocazione in giudizio quale parte resistente del Consiglio Nazionale APPC, cioè dell’organo che ha emesso la decisione impugnata, dovendo darsi seguito alla giurisprudenza di questa Corte che ha già affermato che il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento disciplinare confermato dal Consiglio nazionale degli architetti deve essere proposto, a pena di inammissibilità, nei confronti del locale Consiglio dell’ordine professionale – tenuto alla sorveglianza degli iscritti all’albo – e del Procuratore della Repubblica competente per territorio – cui spetta il potere di vigilanza sull’esercizio delle funzioni dei Consigli degli ordini professionali e sullo svolgimento delle professioni -, e non già del Consiglio di disciplina territoriale, attesa la posizione di autonomia organizzativa, di terzietà e l’assenza di compiti di sorveglianza di quest’ultimo, che lo rende privo di qualunque
interesse ad agire o resistere in giudizio (Cass. n. 3059/2020; Cass. n. 3539/2024).
Analogamente deve escludersi la legittimazione passiva della stessa autorità che ha emesso la decisione impugnata, ma tale difetto di legittimazione non incide sula possibilità di decidere nel merito il ricorso, avendo il ricorrente evocato in giudizio anche i soggetti effettivamente legittimati, e cioè il Consiglio dell’Ordine ed il Procuratore della Repubblica.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 6 L. 2 marzo 1943, n. 143 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e punto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver il Consiglio Nazionale erroneamente ritenuto, senza fornire un’adeguata motivazione, che la mera presentazione della candidatura in adesione al bando di gara ed il successivo affidamento dell’incarico potessero integrare gli estremi dell’illecito disciplinare ed in particolare della concorrenza sleale.
A parere del ricorrente, l’accettazione delle legittime condizioni economiche contenute nel bando di concorso indetto dal Comune di Catanzaro, essendo giustificata dai ‘casi eccezionali’ e ‘comprovate ragioni’ richieste dall’art. 20.2 del codice deontologico, non potrebbe essere equiparata alla condotta che lo stesso art. 20.2. intende sanzionare nei confronti del professionista che, rinunciando in tutto o in parte ai compensi, induce il committente ad affidargli l’incarico.
Il motivo è fondato.
Il ricorrente è stato sanzionato per la violazione degli artt. 20.2 del codice deontologico (che nella versione all’epoca vigente prevedeva che: ‘2. La rinunzia, totale o parziale del compenso è ammissibile soltanto in casi eccezionali e per comprovate ragioni atte a giustificarla. La rinunzia totale o la richiesta di un onorario con costi sensibilmente ed oggettivamente inferiori a quelli di loro produzione e di importo tale a indurre il committente ad assumere una decisione di natura commerciale, falsandone le scelte economiche, è da considerarsi comportamento anticoncorrenziale e grave infrazione deontologica.’), nonché dell’art. 24.7 (che a sua volta dispone che: ‘La richiesta di compensi, di cui ai comma 1° e 3° del presente articolo, palesemente sottostimati rispetto all’attività svolta, o l’assenza di compensi, viene considerata pratica anticoncorrenziale scorretta e distorsiva dei normali equilibri di mercato e costituisce grave infrazione disciplinare’).
In particolare, è stato contestato al ricorrente di avere partecipato ad un bando di gara per l’affidamento da parte del Comune di Catanzaro di un incarico di progettazione, che prevedeva il compenso di un euro, oltre al rimborso delle spese, indicate in un tetto di € 250.000,00, assumendosi che tale condotta fosse violativa delle riportate norme deontologiche.
4.1 Giova a tal fine evidenziare che la vicenda ha interessato anche la giustizia amministrativa, che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del bando di gara de quo, proprio in relazione alla previsione concernente la misura del compenso attribuita al professionista risultato vittorioso all’esito della gara di affidamento, con la sentenza del Consiglio di Stato n. 4614 del
2017 ha rigettato l’impugnativa proposta da parte di vari soggetti, tra cui anche il locale Consiglio dell’Ordine degli Architetti.
I giudici amministrativi sono stati specificamente chiamati a verificare se un contratto di prestazione di servizi (professionali), che preveda il solo (seppure ampio) rimborso delle spese contrasti o meno con il paradigma normativo dell’appalto pubblico (di servizi), alla luce del tenore dell’art. 3, lett. ii) , del d.lgs. 12 aprile 2016, n. 50 che definisce gli ‘appalti pubblici’ come « contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi », derivando queste connotazioni di onerosità dal diritto europeo.
Dopo aver richiamato la normativa comunitaria in materia, dalla quale si evince che la ratio che sottende la stessa è quella della garanzia di un mercato concorrenziale, dovendo la relativa disciplina essere improntata alla concorrenza, ha rimarcato come la connotazione onerosa dei contratti in oggetto sembra muovere dal presupposto che il prezzo corrispettivo dell’appalto costituisca un elemento strumentale e indefettibile per la serietà dell’offerta, e l’inerente affidabilità dell’offerente nell’esecuzione della prestazione contrattuale, e ciò sull’assunto che un potenziale contraente che si proponga a titolo gratuito, dunque senza curare il proprio interesse economico nell’affare, celi inevitabilmente un cattivo e sospettabile contraente per una pubblica Amministrazione.
Quanto ai contratti ‘passivi’ (comportanti per l’Amministrazione una spesa), la normativa impone il rispetto della par condicio tra partecipanti alla gara, presidio della concorrenzialità, e ciò sul presupposto che la tutela della concorrenza rechi con sé la garanzia di efficienza del mercato.
Tuttavia è stato precisato che, anche in considerazione degli interessi pubblici immanenti al contratto pubblico e alle esigenze che lo muovono, l’espressione ‘ contratti a titolo oneroso ‘ può assumere per il contratto pubblico un significato attenuato o in parte diverso rispetto all’accezione tradizionale, e ciò in quanto la garanzia della serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente, può essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto.
In questa ottica è stato precisato che la garanzia di serietà e affidabilità non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico dell’Amministrazione appaltante, ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto.
E’ stata richiamata la tematica della riconosciuta abilitazione a partecipare alle gare pubbliche in capo a figure del c.d. ‘terzo settore’, per loro natura prive di finalità lucrative, vale a dire di soggetti che perseguano scopi non di stretto utile economico, bensì sociali o mutualistici, pervenendo alla conclusione per cui l’offerta senza prefissione di utile non impedisce il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio
stricto sensu economico, e ciò in quanto le finalità ultime per cui un soggetto può essere ammesso a essere parte di un contratto pubblico possono prescindere da una stretta utilità economica.
L’utilità economica cui aspira il concorrente può concretarsi anche su leciti elementi immateriali inerenti al fatto stesso del divenire ed apparire esecutore, evidentemente diligente, della prestazione richiesta dall’Amministrazione, il che consente di accedere ad una nozione ampia e particolare dell’espressione « contratti a titolo oneroso », tale da dare spazio all’ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa figurare di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante.
E’, quindi, l’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna del professionista, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico una controprestazione contrattuale anche se a risultato aleatorio, in quanto l’eventuale mancato ritorno (positivo) di immagine (che è naturalmente collegato alla qualità dell’esecuzione della prestazione) non può dare luogo ad effetti risolutivi o risarcitori.
Tali principi vanno però coordinati con l’altrettanto essenziale esigenza di garantire la par condicio dei potenziali contraenti, e ciò tramite la oculata metodologia di scelta tra le offerte, al fine di impedire che la stessa possa avvenire a piacimento dell’Amministrazione, con ciò ingenerando un’evidente lesione
della par condicio dei potenziali interessati al contratto proprio per quell’utile immateriale e ledendo gli stessi principi di derivazione eurounitaria del mercato concorrenziale.
Nella fattispecie, secondo il Consiglio di Stato, i criteri di aggiudicazione enucleati nel disciplinare di gara, basati sulla componente tecnica (professionalità, adeguatezza dell’offerta, caratteristiche metodologiche dell’offerta), residualmente sul tempo, apparivano comunque sufficientemente oggettivi per una valutazione dell’offerta.
4.2 Il ricorso del Dinale si richiama alle affermazioni contenute nella sentenza de qua, al fine di sottolineare come in realtà vi fosse un serio e concreto interesse del professionista a risultare aggiudicatario del disciplinare di gara, ancorché il compenso fosse meramente simbolico, occorrendo invece guardare al ritorno di immagine professionale che dall’esecuzione del contratto sarebbe derivato, e cioè ad una componente immateriale, suscettibile però in prospettiva di arrecare vantaggi anche di natura economica, arricchendo il curriculum del ricorrente e rendendolo maggiormente competitivo in occasione di future occasioni professionali nelle quali avrebbe potuto spendere anche la prestazione resa in esecuzione del contratto oggetto di causa.
Occorre ricordare che questa Corte, in relazione alla ammissibilità di deroghe al principio di tendenziale onerosità della prestazione professionale, ha in passato affermato, e nella sua più autorevole composizione, che la clausola con cui, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale e un ingegnere al quale il primo abbia affidato la progettazione di un’opera pubblica, il pagamento del compenso per la prestazione resa è condizionato alla concessione
di un finanziamento per la realizzazione dell’opera è valida in quanto non si pone in contrasto col principio di inderogabilità dei minimi tariffari, previsto dalla legge 5 maggio 1976, n. 340, come interpretata autenticamente dall’art.6, primo comma, della legge 1° luglio 1977, n. 404, normativa cui ha fatto seguito l’art. 4 comma 12 bis del d.l. 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989, n. 155; né tale clausola, espressione dell’autonomia negoziale delle parti, viene a snaturare la causa della prestazione, incidendo sul sinallagma contrattuale (Cass. S.U. n. 18450/2005).
A tale principio si è poi costantemente uniformata la successiva giurisprudenza (cfr. Cass. n. 2770/2007), sottolineando come siffatta previsione negoziale (Cass. n. 20319/2007) non si ponga in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), perché subordinare il compenso del professionista all’effettivo finanziamento dell’opera è garanzia di un accorto uso del denaro pubblico. Inoltre (v. Cass. n. 30590/2011), il precetto di cui all’art. 36 Cost. non trova applicazione al rapporto di lavoro autonomo (conf. Cass. n. 16213/2017).
4.3 Sebbene il precedente ora richiamato faccia riferimento all’ipotesi in cui il diritto al compenso sia condizionato ad un evento futuro ed incerto, quale il conseguimento dei finanziamenti da parte della PA committente, e pur dovendosi tenere conto dell’avvenuta liberalizzazione dei compensi professionali, operando il rispetto dei minimi in ipotesi residuali, resta, però, fermo il precetto deontologico sopra richiamato, che impone al professionista di non poter rinunciare in tutto o in
parte al compenso (se non in ipotesi limitate), ovvero di poter accettare compensi sottostimati, al fine, in questo caso, di evitare che tale condotta ponga in essere una violazione delle regole concorrenziali, favorendo l’accaparramento dei clienti in danni di altri professionisti.
Tuttavia, e con specifico riferimento all’ipotesi di rinuncia al compenso, questa Corte ha più volte precisato che al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'” affectio “, nella ” benevolentia “, o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio (Cass. n. 16966/2005, che ha ritenuto ammissibile, siffatta rinunzia nel caso in cui la progettazione a titolo gratuito di uno stabilimento per la macellazione e la lavorazione di carni suine, si accompagnava alla previsione che, laddove si fosse verificata la condizione dell’erogazione del finanziamento da parte di terzi, il professionista avrebbe ricevuto un ulteriore incarico concernente la redazione di un progetto esecutivo e la direzione dei lavori per un “notevole importo”, ravvisandosi in questa ipotesi la convenienza ad effettuare la prestazione lavorativa oggetto di causa “a rischio” di gratuità per l’ipotesi del mancato avveramento della condizione ).
In termini analoghi si veda anche Cass. n. 21251/2007, che, pur ribadendo che l’onerosità del contratto d’opera professionale costituisce elemento normale, come risulta dall’articolo 2233 cod. civ., ha escluso che però sia un elemento essenziale, né può essere considerato un limite di ordine pubblico alla autonomia contrattuale delle parti, le quali, pertanto, ben possono prevedere
espressamente la gratuità dello stesso, per i motivi più vari, come l'” affectio ” o la ” benevolentia ” ovvero ragioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio (conf. ex multis Cass. n. 8787/2000).
4.4 Anche a non voler accedere alla nozione di onerosità sposata dal Consiglio di Stato nella richiamata sentenza, a mente della quale il vantaggio non deve essere necessariamente di carattere finanziario, ma può assumere una valenza economica, anche nel caso in cui il risultato positivo conseguito dal professionista comunque si risolva in un ritorno di carattere immateriale, ma pur sempre suscettibile di arrecare in prospettiva vantaggi ulteriori (come appunto nel caso di arricchimento del curriculum professionale), risulta però evidente che le ipotesi nelle quali è ammessa la gratuità della prestazione da parte del professionista non sono limitate alle sole situazioni indicate nella decisione impugnata (e cioè particolari ragioni affettive o a particolari ragioni di carattere etico-sociale o di benevolenza o in occasione di calamità naturali di particolare gravità), ma si estendono anche a quelle ipotesi in cui la scelta del professionista sia ispirata all’obiettivo di conseguire un personale ed indiretto vantaggio, quale deve reputarsi essere quello di incrementare in futuro la capacità di rendere il proprio profilo professionale maggiormente competitivo in vista del conseguimento di futuri incarichi.
La decisione gravata appare, quindi, fondata su di una erronea limitazione delle ipotesi in cui è data la possibilità di rinuncia al compenso, in contrasto con quella che è la giurisprudenza di questa Corte, e senza considerare, come invece evidenziato dai giudici amministrativi, come solo in apparenza l’attività si palesi
come gratuita, rinvenendosi nel vantaggio immateriale, direttamente rifluente sull’incremento di chances di conseguire un vantaggio economico, una modalità alternativa per assicurare il rispetto del requisito dell’onerosità.
Alla luce di tali considerazioni deve altresì escludersi che l’autonomia della valutazione del comportamento del professionista da parte del giudice disciplinare possa legittimare la sanzione della condotta del ricorrente.
Già Cass. n. 247/2001, richiamata anche dalla difesa del Dinale, ha affermato che la rinunzia al compenso va ritenuta valida tra le parti, e non può, dunque, ritenersi in sé, cioè automaticamente, suscettibile di rilievo disciplinare, occorrendo invece che il comportamento del professionista, per la particolarità del caso concreto, sia idoneo ad incidere negativamente sulle norme di deontologia professionale.
Ad avviso del Collegio, alla luce dell’evidente vantaggio che può conseguire l’aggiudicatario dell’incarico professionale, risulta concretata una delle ipotesi in cui è legittimamente possibile rinunciare al compenso (ovvero accettare un compenso non di natura finanziaria, ma lato sensu economico), e deve escludersi che ricorra la dedotta violazione dell’art. 20.2 del codice deontologico, così come del pari deve escludersi la violazione delle regole concorrenziali di cui all’art. 24.7.
In disparte che nella fattispecie non si è al cospetto di una richiesta di compensi, in misura asseritamente irrisoria, proveniente da parte del professionista, ma di una adesione dello stesso all’offerta proveniente dalla PA, nei termini contenuti nel disciplinare di gara, la ormai indiscutibile legittimità sostanziale e
formale del bando di gara, consente anche di non poter ravvisare la violazione delle regole di concorrenza.
Avendo i giudici amministrativi ritenuto che le condizioni dettate nel disciplinare risultino conformi al principio di onerosità dei contratti pubblici, e che le regole ivi dettate siano in grado di assicurare anche il rispetto della par condicio tra i partecipanti, senza andare a discapito dell’esigenza di una prestazione resa in maniera adeguata e conforme agli interessi della PA committente, l’adesione del ricorrente alle condizioni di gara, che si presentano identiche per tutti i professionisti potenzialmente interessati all’aggiudicazione, esclude che la sua condotta possa essere tacciata di anticoncorrenzialità, essendo evidente che l’accettazione del compenso nei termini indicati dalla PA risponde ad una specifica indicazione del committente, e non può reputarsi preordinata a determinare l’illegittimo accaparramento della clientela (costituendo anche l’incremento del curriculum professionale un elemento suscettibile di poter essere speso nell’eventualità di future gare, alle quali è però assicurata la partecipazione, in condizioni di parità, anche di altri professionisti).
L’accertata legittimità sul piano dell’agire procedimentale della definizione delle condizioni di gara da parte della PA esclude che possa essere assecondato l’auspicio, che traspare dalla motivazione della decisione impugnata, che tutti i professionisti (con un intento anche latamente corporativo) si astengano dall’assecondare le richieste della PA di esecuzione dell’attività professionale a fronte del riconoscimento di un corrispettivo non immediatamente apprezzabile sul piano finanziario, ed impone di
negare la rilevanza disciplinare della condotta del Dinale, che ha invece reputato funzionale al proprio interesse la partecipazione ad una gara per la quale vigevano condizioni comuni per tutti gli interessati.
Il motivo deve essere accolto e la decisione va quindi cassata. Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ritiene la Corte che la controversia possa essere decisa nel merito, pervenendosi all’annullamento della sanzione disciplinare emessa nei confronti del ricorrente dal Collegio di disciplina dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Como con decisione recante la data del 27 settembre 2021.
Il secondo motivo di ricorso, che denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2,3,4,9,13,33 e 41 Cost. in relazione agli artt. 101, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (T.F.U.E.) e 4, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (T.U.E.), la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., con riferimento alla violazione degli artt. 132, co. 1, n. 4, c.p.c. e 125, co. 3, c.p.p., nonché l’omessa motivazione circa un fatto controverso e punto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 5, c.p.c. in relazione alla necessità di disapplicare l’art. 20.2 del codice deontologico per aver il Consiglio Nazionale erroneamente ritenuto che la mera rinuncia al compenso possa integrare, ex se, illecito disciplinare, resta evidentemente assorbito a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
Attesa l’assenza di specifici precedenti relativi alla rilevanza in sede disciplinare della condotta di partecipazione del professionista a gare pubbliche per le quali sia previsto un compenso simbolico, ritiene il Collegio che ricorrano i presupposti per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la decisione impugnata e decidendo nel merito annulla la sanzione disciplinare di cui alla decisione del Collegio di disciplina dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Como del 27 settembre 2021; compensa le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda