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Compenso pubblico impiego: no a pagamenti extra

Un dipendente pubblico ha citato in giudizio un Comune per ottenere un compenso extra relativo a un progetto. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che senza un valido e preventivo ‘impegno di spesa’ e senza la prova di aver svolto prestazioni aggiuntive rispetto ai normali doveri d’ufficio, non è dovuto alcun pagamento. La decisione sottolinea come un accordo di compenso pubblico impiego, se basato su una copertura finanziaria solo preventivata ma non effettiva, abbia carattere meramente programmatico e non dia diritto al corrispettivo.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Compenso Pubblico Impiego: Senza Impegno di Spesa, Niente Pagamenti Extra

Il tema del compenso nel pubblico impiego per prestazioni aggiuntive è spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 9634/2024, ha ribadito principi fondamentali riguardanti la necessità di un valido impegno di spesa e la prova del lavoro extra per poter legittimamente pretendere un pagamento. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: Un Professionista Contro il Comune per Compensi non Pagati

Un professionista, dipendente di un Comune, aveva ricevuto l’incarico di seguire un progetto finalizzato alla definizione di pratiche di condono edilizio. A fronte dell’attività svolta, il professionista aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento dei relativi compensi.

Il Comune si opponeva e la Corte d’Appello, in riforma della prima decisione, accoglieva parzialmente l’opposizione. Secondo i giudici di secondo grado, gli importi pretesi non erano dovuti perché mancava un preventivo e valido impegno di spesa. La delibera che prevedeva il compenso aveva un carattere meramente programmatico, essendo subordinata alla riscossione di oneri concessori che dovevano fungere da copertura finanziaria, riscossione che però non era stata provata.

Insoddisfatto, il professionista ha proposto ricorso in Cassazione, basando le sue difese su quattro motivi principali, tra cui la presunta errata valutazione dei documenti e la violazione delle norme sulla retribuzione per prestazioni di fatto (art. 2126 c.c.).

La Decisione della Cassazione sul Compenso nel Pubblico Impiego

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del professionista, confermando la decisione della Corte d’Appello. La pronuncia chiarisce in modo netto i presupposti per il riconoscimento di un compenso nel pubblico impiego per attività extra.

Il Carattere Programmatico dell’Accordo

Il primo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha specificato che la valutazione della Corte d’Appello, secondo cui l’accordo per il compenso era solo programmatico e condizionato a una copertura finanziaria non dimostrata, costituisce un apprezzamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità. La Corte ha colto l’occasione per ricordare un principio consolidato: nel pubblico impiego contrattualizzato, i trattamenti economici devono trovare fonte nella contrattazione collettiva, e non è sufficiente un singolo atto deliberativo dell’ente, anche se rispettoso dei vincoli finanziari.

L’Applicabilità dell’Art. 2126 c.c. e la Prova del Lavoro Extra

Il secondo e il terzo motivo, basati sulla presunta violazione dell’art. 2126 c.c. (prestazione di fatto con violazione di legge) e sull’indebito arricchimento, sono stati ritenuti infondati. La Corte ha chiarito che, sebbene il principio della retribuzione per il lavoro effettivamente prestato sia applicabile anche nel pubblico impiego, nel caso di specie mancava un presupposto essenziale. Il ricorrente, infatti, non aveva nemmeno allegato di aver svolto prestazioni aggiuntive rispetto al suo normale debito orario. Per ottenere un compenso extra, non basta dimostrare di aver lavorato a un progetto, ma è necessario provare che tale attività si sia svolta al di fuori e in aggiunta alle mansioni e all’orario di lavoro ordinari.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un rigoroso formalismo che governa la spesa pubblica. L’impegno di spesa non è una mera formalità, ma l’atto contabile che garantisce la concreta disponibilità delle risorse per far fronte a un’obbligazione. In sua assenza, qualsiasi accordo che preveda un esborso per l’ente pubblico è invalido e inefficace. Inoltre, la Corte ha sottolineato l’onere della prova a carico del lavoratore: chi chiede un compenso aggiuntivo deve dimostrare non solo l’incarico ricevuto, ma anche e soprattutto la natura extra della prestazione resa. Confondere un’attività rientrante nei doveri d’ufficio con un lavoro supplementare da remunerare a parte è un errore che la giurisprudenza non ammette.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito per i dipendenti pubblici e per le stesse amministrazioni. Per ottenere un compenso nel pubblico impiego per attività aggiuntive, sono necessari due requisiti imprescindibili:
1. Un valido e preventivo impegno di spesa che assicuri la copertura finanziaria dell’obbligazione.
2. La prova rigorosa che le prestazioni svolte siano state effettivamente extra, ovvero eccedenti rispetto ai normali compiti e all’orario di lavoro contrattualmente previsti.
In assenza di questi elementi, qualsiasi pretesa economica, anche se basata su un lavoro concretamente svolto, è destinata a essere respinta.

Un dipendente pubblico può essere pagato per un lavoro extra senza un formale ‘impegno di spesa’ da parte dell’ente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’atto che prevede il compenso senza un preventivo e valido impegno di spesa è invalido. La previsione di un compenso subordinata a una copertura finanziaria solo preventivata e non provata ha carattere meramente programmatico e non fa sorgere il diritto al pagamento.

Per ottenere un compenso aggiuntivo, è sufficiente dimostrare di aver svolto l’incarico ricevuto?
No, non è sufficiente. Oltre a dimostrare l’incarico, il dipendente deve provare rigorosamente che l’attività lavorativa è stata svolta in aggiunta alle mansioni e all’orario di lavoro ordinari. Se non viene fornita questa prova, non è dovuto alcun compenso extra.

Il principio della retribuzione per il lavoro di fatto prestato (art. 2126 c.c.) si applica sempre nel pubblico impiego?
Sebbene il principio sia applicabile anche al pubblico impiego, la sua operatività è subordinata a condizioni precise. In particolare, per le prestazioni aggiuntive, il lavoratore deve allegare e dimostrare che il lavoro è stato svolto oltre il debito orario contrattuale. In assenza di tale allegazione, il principio non può essere invocato per legittimare la richiesta di un compenso extra.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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