LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Compenso pubblico impiego e impegno di spesa

Un professionista si è visto negare il pagamento per un progetto svolto per un Comune. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9631/2024, ha rigettato il ricorso, stabilendo che il compenso nel pubblico impiego per prestazioni aggiuntive non è dovuto in assenza di un preventivo e valido impegno di spesa e senza la prova che l’attività sia stata svolta al di fuori dell’orario di lavoro ordinario.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso nel Pubblico Impiego: Senza Impegno di Spesa non c’è Pagamento

Il rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione è spesso governato da regole rigide, soprattutto in materia di spese e compensi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per ottenere il pagamento di prestazioni professionali, non basta aver svolto il lavoro; è necessario che l’ente abbia formalmente previsto la spesa. L’analisi di questo caso offre spunti cruciali sul compenso nel pubblico impiego e sui requisiti indispensabili per veder riconosciuto il proprio diritto.

I Fatti del Caso: un Progetto per il Comune non Interamente Pagato

Un professionista aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di un Comune per il pagamento di compensi relativi a un progetto finalizzato alla definizione di pratiche di condono edilizio. Il Comune si opponeva, e la Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva parzialmente l’opposizione.

Secondo i giudici di secondo grado, i compensi non erano dovuti perché mancava un valido e preventivo impegno di spesa. L’erogazione del pagamento, infatti, era stata configurata come meramente “programmatica”, ovvero subordinata alla futura riscossione degli oneri concessori, una circostanza che non era stata provata in giudizio. Di fronte a questa decisione, il professionista ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su quattro distinti motivi.

L’Analisi della Corte di Cassazione e il compenso nel pubblico impiego

La Suprema Corte ha esaminato e respinto tutti i motivi del ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Vediamo nel dettaglio le ragioni del rigetto.

Motivo 1: La Valutazione dei Documenti

Il ricorrente lamentava un errore di valutazione da parte della Corte territoriale riguardo alle delibere di approvazione del programma e di liquidazione delle somme. La Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile, spiegando che non si trattava di un errore procedurale, ma di una semplice contestazione dell’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di merito. La conclusione che la copertura finanziaria fosse solo programmatica e subordinata a incassi non provati è stata considerata una valutazione plausibile e, come tale, non sindacabile in sede di legittimità.

Motivo 2: L’Applicabilità dell’Art. 2126 c.c.

In subordine, il professionista invocava l’applicazione dell’art. 2126 c.c., che garantisce la retribuzione per il lavoro prestato anche in caso di contratto nullo. La Corte ha riconosciuto che, in linea di principio, l’atto amministrativo assunto senza preventivo impegno di spesa è invalido ma non impedisce il pagamento del corrispettivo per l’attività lavorativa concretamente prestata. Tuttavia, ha specificato che nel caso di specie questo principio non poteva trovare applicazione. Il ricorrente, infatti, non aveva nemmeno allegato di aver svolto le prestazioni aggiuntive al di fuori del suo normale orario di lavoro. Senza questa prova, non è possibile richiedere un compenso nel pubblico impiego extra rispetto allo stipendio ordinario.

Motivo 3 e 4: Arricchimento senza Causa e Spese Legali

Sulla base delle stesse argomentazioni, è stato rigettato anche il terzo motivo, relativo all’indebito arricchimento dell’amministrazione. Infine, il quarto motivo, concernente la compensazione delle spese legali, è stato dichiarato inammissibile perché proposto solo come conseguenza dell’eventuale accoglimento degli altri motivi, e non come una critica diretta alla decisione sulle spese.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su un principio cardine del diritto amministrativo e del lavoro pubblico: la necessità della copertura finanziaria. Qualsiasi spesa da parte di un ente pubblico deve essere preceduta da un formale “impegno di spesa”, un atto contabile che vincola una parte del bilancio a quella specifica obbligazione. In sua assenza, l’obbligazione non è giuridicamente valida. Anche quando si invoca il principio di tutela del lavoro effettivamente prestato (art. 2126 c.c.), il dipendente pubblico deve dimostrare che le mansioni per cui chiede un compenso extra sono state svolte in aggiunta e al di fuori del suo debito orario contrattuale. La semplice esecuzione di un compito, senza questa specifica prova, non è sufficiente a fondare una pretesa economica ulteriore.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce la centralità delle procedure contabili nel rapporto con la Pubblica Amministrazione. Per i professionisti e i dipendenti che svolgono prestazioni aggiuntive, è fondamentale assicurarsi che esista un valido impegno di spesa prima di iniziare l’attività. In caso contrario, il rischio di vedersi negare il compenso è estremamente elevato. La sentenza chiarisce che la tutela del lavoratore non può scavalcare le norme imperative sulla gestione della spesa pubblica, a meno che non si dimostri in modo inequivocabile di aver fornito una prestazione lavorativa extra non ricompresa nei doveri d’ufficio ordinari.

È possibile ottenere un compenso da una Pubblica Amministrazione senza un preventivo impegno di spesa?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli importi pretesi non sono dovuti in difetto di un preventivo impegno di spesa, poiché l’obbligazione di pagamento dell’ente pubblico deve essere supportata da una formale copertura finanziaria.

Se un dipendente pubblico svolge un’attività lavorativa extra, ha sempre diritto al compenso anche se l’incarico è formalmente invalido?
In linea di principio sì, in base all’art. 2126 c.c., ma solo se il dipendente dimostra di aver svolto tale attività al di fuori del suo normale orario di lavoro. Nel caso specifico, il ricorrente non ha nemmeno allegato tale circostanza, rendendo la sua pretesa infondata.

Cosa succede se il pagamento è subordinato alla riscossione di determinati oneri da parte dell’ente?
Se il pagamento è previsto come meramente programmatico e condizionato all’incasso di specifiche entrate (come gli oneri concessori), spetta a chi richiede il pagamento dimostrare che tali entrate siano state effettivamente riscosse dall’ente. In mancanza di tale prova, il compenso non è dovuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati