Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3422 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3422 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37126/2019 R.G . proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
REGIONE CAMPANIA , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, AGENZIA REGIONALE PER LA DIFESA DEL SUOLO NOME
-intimati- avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2569/2019 depositata il 13.5.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 11.4.2013 la società RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale capogruppo del raggruppamento temporaneo di professionisti (RAGIONE_SOCIALE) con gli ingegneri NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa, il Commissario delegato per il superamento dell’emergenza socio -economicoambientale del bacino idrografico del fiume Sarno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Agenzia regionale per la difesa del suolo Arcadis ( breviter Arcadis), quale subentrata al Commissario straordinario ai sensi della legge regionale Campania 1/2008, chiedendo l’accertamento dell’inadempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi assunti nei confronti del RTP e conseguentemente la risoluzione per grave inadempimento ex art.1453 cod.civ. del contratto con lo stesso stipulato. In via principale ha quindi chiesto il pagamento delle prestazioni professionali eseguite per la somma di € 3.789.296,58 e il risarcimento dei danni tutti subiti per la somma di € 4.264.219,81, oltre accessori; in subordine ha comunque chiesto il risarcimento dei danni anche in caso di mancata risoluzione del contratto.
Il Commissario delegato ha eccepito la cessazione della funzione ai sensi dell’art.5 della legge 225 del 1992 e la Presidenza del
Consiglio dei Ministri ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.
Nel merito NOME ha allegato gravi inadempimenti e ritardi a carico di STCV e del RTP per il cui risarcimento stava agendo separatamente.
Il Tribunale, esperita consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.) e fallito il tentativo di conciliazione sulla proposta transattiva, accettata da parte attrice ma non dai convenuti, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio e del Commissario delegato, a spese compensate; ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto avanzata da parte attrice; in parzialmente accoglimento delle domande di STCV, ha condannato NOME a pagarle la somma di € 764.305,80 oltre interessi; ha dichiarato inammissibili le domande riconvenzionali avanzate da Arcadis; ha condannato COGNOME a pagare i due terzi delle spese di STCV.
Ha proposto appello COGNOME a cui ha resistito STCV proponendo appello incidentale.
La Corte di appello di Napoli con sentenza del 13.5.2019 ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale di STCV e in parziale accoglimento dell’appello principale di Arcadis ha ridotto la somma da essa dovuta a € 326.589,00 oltre interessi, compensando per i 9/10 le spese di lite, poste per il residuo a carico di Arcadis.
Per quanto ancora rileva, la Corte di appello ha osservato che:
la progettazione definitiva 2002 -rete separata, consegnata il 18.5.2002, per cui il Tribunale aveva riconosciuto un corrispettivo di € 272.901,77, non meritava compenso sia perché non poteva essere compensata una attività progettuale diversa da quella considerata in contratto, in variante dell’opera appaltata, come aveva ritenuto il primo Giudice facendo riferimento a lavori extracontrattuali, sia perché il progetto del 2005 non era un nuovo progetto
definitivo della rete fognaria ma solo una parziale rivisitazione del progetto definitivo dell’aprile del 2002, riconducibile alla ampia facoltà di cambiamento riconosciuta al committente dalle disposizioni contrattuali;
l’ulteriore importo di € 164.815,03, relativo alla progettazione definitiva delle opere di sistemazione del versante vesuviano, non era dovuto, sia perché l’approvazione era legittimamente mancata per la disposta avocazione da parte dell’Autorità di Bacino, sia perché il problema connesso alle acque provenienti dal versante del Vesuvio incombente sull’abitato di Terzigno non era stato contemplato nel progetto preliminare poso a base di gara.
Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 11.12.2019 ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale capogruppo del RAGIONE_SOCIALE, svolgendo cinque motivi.
Con atto notificato il 27.1.2020 ha proposto controricorso la regione Campania, dando atto di essere subentrata ad COGNOME, soppressa con la delibera 681 del 2019, contestualmente depositata, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
La ricorrente ha presentato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione di legge in relazione all’art.12 disp.prel.c.c. nonché dell’art.1218 e seguenti cod.civ.
5.1 . La ricorrente osserva che la Corte di appello nell’interpretare la sentenza del Tribunale aveva inteso l’espressione « attività extracontrattuali svolte dal raggruppamento », contenuta a pagina 13 della sentenza di primo grado, come relativa a « lavori
extracontrattuali » e quindi a progetti non riferibili alle previsioni del contratto, in quanto del tutto diversi sia fra loro, sia rispetto alle linee guida dell’incarico. Così facendo, la Corte territoriale aveva violato i criteri ermeneutici poiché il predetto termine, tenuto anche conto della c.t.u. richiamata dal Tribunale, andava riferito a progettazioni riconducibili al contratto di appalto ma illegittimamente non approvate dall’Amministrazione committente.
5.2. Il motivo è inammissibile perché non è diretto contro la reale ratio decidendi della sentenza impugnata, che si fonda, da un lato, sul rilievo che nessun compenso può riconoscersi per progetti non approvati e di cui si è chiesta la revisione, dall’altro, sul riconoscimento della legittimità della mancata approvazione del progetto del 2002 per la sua eccessiva onerosità e per l’essere andato il RTP oltre quanto richiesto.
È pur vero che la Corte di appello, a pag.24, ha considerato la predetta contestata lettura della sentenza di primo grado, dopo aver premesso che la decisione del Tribunale era comunque errata « in qualunque modo si voglia qualificare l’attività che ha condotto alla redazione del c.d. progetto del 2002 ».
E tuttavia lo ha fatto in via del tutto ipotetica, perché, nell’ultimo capoverso della stessa pagina 24, la Corte ha ritenuto che il progetto del 2005 non fosse un nuovo progetto definitivo della rete fognaria, ma più ragionevolmente costituisse solo una parziale rivisitazione del progetto del 2002, riconducibile all’ampia facoltà di cambiamento riconosciuta al committente.
In tal modo la Corte territoriale ha privilegiato questo diverso accertamento dei fatti che priva di ogni rilievo la precedente considerazione, in realtà non approvata dai giudici di appello.
Il secondo e il terzo motivo, connessi fra loro, possono essere trattati congiuntamente.
6.1. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4 e n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia nullità
processuale e violazione di legge per violazione dell’art.115 cod.proc.civ. nonché dell’art.1218 cod.civ.
La censura si rivolge all’affermazione della Corte di appello secondo cui la non remunerabilità delle prestazioni relative al progetto del 2002, quand’anche non extracontrattuali, scaturiva anche dal fatto che il progetto del 2005, per cui era stato riconosciuto il diritto al compenso, era una integrazione di quel progetto precedente, sicché gli artt.7 e 10 del contratto consentivano al committente di chiedere integrazioni e modifiche senza compensi aggiuntivi.
La Corte di appello non si sarebbe accorta, così incorrendo in errore percettivo, che le affermazioni del consulente su cui ha fatto leva non si riferivano al progetto approvato nel 2005, ma al precedente progetto trasmesso nel febbraio del 2005, non approvato dalla committente.
6.2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.5 e n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, nonché violazione dell’art.1218 cod.civ. riproponendo la precedente censura sub specie di vizio motivazionale.
6.3. I motivi concernono l’affermazione della Corte secondo cui il progetto approvato nel 2005 sarebbe un’integrazione di quello del 2002, e non un nuovo progetto, da cui deriva la non spettanza dell’ulteriore compenso, che sarebbe il frutto di un errore della Corte di appello nella percezione della c.t.u., che sul punto si riferiva non già al progetto approvato nel 2005, ma a quello trasmesso nel febbraio 2005.
6.3. Le censure peccano innanzitutto di specificità e decisività. L’affermazione della Corte di appello, infatti, non si basa solo sul parere del consulente d’ufficio, visto che la sua opinione è riportata fra parentesi per dar atto che « del resto » quelle erano anche le sue conclusioni.
6.4. In secondo luogo, la Corte di appello si è basata sull’insindacabile potere del committente di chiedere modifiche e integrazioni, ai sensi degli artt.7 e 8 del contratto, sicché nessun compenso poteva essere richiesto per i progetti non approvati.
E indubbiamente il progetto del 2002 non è stato approvato neppure con le modifiche apportate a febbraio del 2005 e proprio per questa ragione la Corte di appello si è indotta (pag.25, primo e secondo paragrafo) a decurtare la somma di € 222.009,45 che a tale titolo era stata riconosciuta dal Tribunale.
6.5. Infine, quanto al compenso (attribuito) per la progettazione approvata a giugno 2005, il fatto che sia stato riconosciuto l’assunto della ricorrente secondo cui il C.t.u. aveva ricondotto il progetto consegnato a febbraio 2005 e non approvato alla precedente progettazione del 2002 non possiede alcun rilievo.
Quella che non è stata compensata, proprio perché non approvata, è la progettazione del 2002 e di febbraio 2005.
6.6. Il terzo motivo è inammissibile.
Oggetto del preteso errore di percezione non è un fatto storico (come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, da ultimo da Sez.Un.5792/2024), ma l’apprezzamento del CTU .
Non esiste alcun fatto storico decisivo non esaminato dalla Corte di appello, che ha fondato la propria decisione sul diritto del committente di non approvare il progetto e chiedere modifiche e integrazioni.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4 e n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia nullità processuale e violazione di legge per violazione dell’art.115 cod.proc.civ. nonché dell’art.1218 cod.civ.
7.1 . Anche in questo caso la ricorrente denuncia errore percettivo nella lettura della c.t.u. che avrebbe indotto la Corte di appello a riferire al progetto del 2002 una frase del C.t.u. relativa all’integrazione progettuale presentata nel febbraio 2005.
La Corte di appello avrebbe ritenuto legittima la non approvazione del progetto del 2002, sia perché economicamente eccessivamente oneroso sia perché il RTI era andato oltre nel redigerlo a quanto richiesto, come ritenuto dal C.t.u.
Questi invece aveva espresso tale considerazione con riferimento al progetto integrato nel 2005.
Inoltre l’apprezzamento circa l’aumento dei costi nel progetto 2002 sarebbe viziata per errata percezione di un elemento di prova, rappresentato dalle valutazioni del C.t.u. circa le cause determinati l’incremento del costo dei lavori.
7.2. Anche in questo caso il rilievo della parte ricorrente non è affatto decisivo, in primo luogo perché la Corte ha indicato due ragioni giustificatrici della non approvazione e quand’anche l’esorbitanza si riferisse solo all’integrazione del 2005, resterebbe valida la prima (incremento dei costi); in secondo luogo perché il rifiuto del compenso riguarda sia il progetto del 2002, sia la sua prima integrazione del 2005.
7.3. Le Sezioni unite di questa Corte hanno recentemente puntualizzato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale. (Sez. U, n. 5792 del 5.3.2024).
Nella specie la ricorrente non prospetta alcun travisamento del dato probatorio e discute solo circa l’informazione probatoria desumibile dal documento considerato (relazione del C.t.u.).
Comunque, dalla stessa lettura del motivo e degli stralci richiamati della relazione peritale risulta chiaramente che lo stesso C.t.u. aveva accertato una levitazione dei costi già nel progetto del 2002, sicché il dissenso della parte ricorrente attiene, alla rilevanza delle cause che l’avevano determinata, riversandosi così evidentemente nel merito.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4 e n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia nullità processuale e violazione di legge per violazione dell’art.115 cod.proc.civ. nonché dell’art.1218 cod.civ.
8.1. Il mezzo si riferisce alla disposta riforma della sentenza di primo grado quanto all’importo di € 164.815,03 relativo alla progettazione definitiva del Canale Pedemontano, sulla base dell’avvenuta avocazione dalla Autorità di Bacino della problematica relativa alla sistemazione idrografica e della sua estraneità al progetto preliminare, al cui proposito la Corte di appello sarebbe incorsa nell’errata percezione di una prova (verbale n.4 del 3.8.2004 da cui risultava il conferimento dell’incarico da parte del RUP su espresso in carico del Commissario COGNOME).
8.2. Nell’esaminare il terzo motivo di appello di Arcadis (pag.27, capoverso) la Corte partenopea ha ritenuto dirimenti due circostanze che giocavano a favore dell’appellante e cioè che:
il progetto relativo alle opere di versante (canale di gronda a monte dell’abitato di Terzigno) non era stato approvato legittimamente a causa dell’avocazione della problematica della sistemazione idrografica da parte della competente Autorità di bacino;
b) che il problema connesso alle acque provenienti dal Vesuvio incombenti sull’abitato di Terzigno non era stato esplicitamente contemplato.
8.3. Il motivo, che comunque inerisce al giudizio di fatto ed agli apprezzamenti del C.t.u. , appare inammissibile anche perché concentrato solo sulla seconda ratio decidendi nell’intento di dimostrare che non era stato considerato un atto da cui risultava l’espresso conferimento di incarico, senza che venga rivolta idonea e specifica censura alla prima affermazione della sentenza impugnata sub a).
È inammissibile il motivo rivolto solo nei confronti di una concorrente ratio decidendi del provvedimento impugnato, che si fonda su di una pluralità di ragioni, distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerlo sul piano logico e giuridico, con il conseguente difetto di interesse delle censure che non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione (Sez. 1, n. 18641 del 27.7.2017; Sez. 6 – 5, n. 9752 del 18.4.2017;Sez. 1, n. 18119 del 31.8.2020; Sez. U, n. 7931 del 29.3.2013).
Per i motivi esposti occorre dichiarare inammissibile il ricorso e condannare la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di € 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione