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Compenso professionista fallimento: sì alle tariffe

Un professionista, incaricato dal curatore di un fallimento di agire contro un sequestro conservativo tributario, si è visto liquidare un compenso minimo. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che il compenso del professionista nel fallimento deve essere calcolato secondo le tariffe professionali e non a tempo (a vacazione), poiché la sua attività costituisce una prestazione d’opera professionale e non un mero ausilio al giudice.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Professionista Fallimento: La Cassazione Conferma l’Uso delle Tariffe Professionali

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale per la tutela del lavoro professionale: il compenso del professionista nel fallimento, incaricato dal curatore per attività di difesa tecnica, deve essere liquidato secondo le tariffe professionali e non con il criterio residuale “a vacazioni”. Questa decisione chiarisce che l’attività difensiva, anche se svolta nell’ambito di una procedura concorsuale, mantiene la sua natura di prestazione d’opera intellettuale e non può essere assimilata a quella di un semplice ausiliario del giudice.

Il Caso: Un Compenso Irrisorio per la Difesa della Curatela

I fatti traggono origine dalla decisione del Giudice Delegato di un fallimento di liquidare un compenso di poco più di 275 euro a un dottore commercialista. Il professionista era stato incaricato dalla curatela di ottenere la revoca di un sequestro conservativo disposto dalla Commissione Tributaria Provinciale sui beni della società fallita.

Il Tribunale, confermando la decisione del Giudice Delegato, aveva motivato la scelta di un compenso così esiguo e calcolato “a vacazioni” (cioè a tempo) sulla base di due argomenti principali:

1. L’attività del professionista era consistita nel deposito di una semplice istanza, ritenuta peraltro superflua. Secondo il Tribunale, l’inefficacia del sequestro derivava automaticamente (ex lege) dalla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 51 della legge fallimentare.
2. Non era applicabile la disciplina tariffaria specifica (D.M. 140/2012) poiché l’oggetto del giudizio non erano imposte, tasse o contributi, ma gli effetti di una misura cautelare.

Il professionista, ritenendo leso il suo diritto a un equo compenso, ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione sul Compenso del Professionista nel Fallimento

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando il decreto del Tribunale e rinviando la causa per una nuova valutazione. La Corte ha smontato l’impianto argomentativo del giudice di merito, affermando principi chiari e di grande rilevanza pratica.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che l’opera prestata dal professionista su incarico del curatore fallimentare, in qualità di difensore della procedura, non può essere confusa con quella di un coadiutore del giudice. Si tratta, a tutti gli effetti, di una prestazione d’opera professionale che merita di essere remunerata secondo i criteri stabiliti dalla normativa di riferimento.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha errato, secondo la Cassazione, nel ritenere che l’attività del professionista non rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 28 del D.M. n. 140/2012. Sebbene l’oggetto diretto non fossero le imposte, l’intervento mirava a rimuovere un provvedimento cautelare emesso a tutela di una pretesa fiscale. Il professionista ha assistito e rappresentato la curatela in un procedimento giudiziario, e per questo ha diritto a un compenso determinato secondo i criteri previsti dal decreto ministeriale, e non a vacazione.

La Cassazione ha chiarito che la prestazione del difensore della procedura si inquadra come una vera e propria prestazione d’opera professionale. Di conseguenza, il suo compenso deve essere determinato sulla base delle tariffe professionali, tenendo conto della qualità del lavoro svolto e del valore della pratica, nei limiti della domanda. Non è corretto ricorrere ai criteri previsti per la liquidazione delle spettanze del consulente tecnico d’ufficio.

L’eventuale semplicità dell’incarico o la sua presunta superfluità non possono cambiare il criterio di liquidazione, ma possono, al massimo, influenzare la commisurazione dell’importo all’interno dei minimi e massimi previsti dalle tariffe.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoro dei professionisti che operano al fianco delle procedure fallimentari. Viene stabilito in modo inequivocabile che l’incarico di difesa tecnica conferito dal curatore è una prestazione professionale autonoma, che deve essere remunerata secondo le tariffe di legge. Assimilare tale attività a quella di un ausiliario del giudice e liquidare il compenso a vacazioni costituisce un errore di diritto. La natura, la complessità e i risultati conseguiti dall’attività professionale saranno valutati dal giudice di merito per determinare l’esatto ammontare del compenso, ma sempre all’interno della cornice normativa prevista per la professione.

Come deve essere calcolato il compenso di un professionista incaricato dal curatore fallimentare per un’attività di difesa tecnica?
Il compenso deve essere calcolato secondo le tariffe professionali di riferimento (nel caso specifico, il D.M. n. 140/2012) e non con il criterio a vacazioni, poiché si tratta di una prestazione d’opera professionale e non del lavoro di un ausiliario del giudice.

L’attività del professionista per rimuovere un sequestro conservativo tributario rientra nell’ambito delle tariffe professionali?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che assistere la curatela per la rimozione di un provvedimento cautelare emesso a tutela di una pretesa fiscale è un’attività di difesa che dà diritto a un compenso determinato secondo le tariffe professionali.

La presunta inutilità o semplicità dell’intervento professionale può giustificare l’applicazione di un criterio di calcolo del compenso diverso dalle tariffe (es. a vacazione)?
No. La natura e la complessità della prestazione, così come i risultati ottenuti, possono essere valutate dal giudice per determinare l’importo del compenso all’interno dei parametri tariffari, ma non possono giustificare il ricorso a un criterio di liquidazione diverso, come quello a vacazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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