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Compenso professionista appalti: nulla la clausola

Una professionista si è vista negare il compenso da un Comune per la progettazione di una scuola, poiché il finanziamento regionale era stato revocato. La Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola contrattuale che lega il pagamento del compenso professionista appalti pubblici all’effettiva erogazione dei fondi è nulla, in quanto viola una norma imperativa (art. 92 D.Lgs. 163/2006). Il diritto al compenso per l’attività svolta sussiste a prescindere dal finanziamento dell’opera.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso del Professionista negli Appalti Pubblici: Nullo il Patto che lo Lega al Finanziamento

Il diritto al compenso per un professionista che ha lavorato per la Pubblica Amministrazione non può essere messo in discussione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale a tutela dei professionisti, stabilendo la nullità di qualsiasi clausola contrattuale che subordini il pagamento delle prestazioni all’effettivo ottenimento di un finanziamento pubblico. Questa decisione chiarisce che il compenso professionista appalti pubblici è dovuto per il lavoro svolto, indipendentemente dalle vicende del finanziamento.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di pagamento di una professionista, ingegnere, nei confronti di un Comune. La professionista era stata incaricata della progettazione per la ristrutturazione di un plesso scolastico. Il contratto stipulato con l’ente locale conteneva una clausola specifica: il pagamento del suo onorario era condizionato all’effettiva erogazione di un finanziamento da parte della Regione.

Inizialmente, il finanziamento era stato concesso, ma in seguito la Regione lo aveva revocato. La causa della revoca era esterna al lavoro della professionista: la soppressione dei cicli scolastici all’interno dell’edificio a causa di un calo degli studenti iscritti. Di conseguenza, il Comune si era rifiutato di pagare la parcella, sostenendo che la condizione sospensiva (l’effettiva ricezione dei fondi) non si era verificata.

Il Percorso Giudiziario e la Clausola Contestata

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione al Comune. Entrambi i giudici di merito avevano interpretato la clausola contrattuale in modo letterale, ritenendo che il diritto al compenso sorgesse solo con l’accreditamento effettivo delle somme da parte della Regione. Poiché tale accredito non era mai avvenuto, i giudici avevano concluso che nulla fosse dovuto alla professionista. La professionista, ritenendo ingiusta tale conclusione, ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Violazione della Norma sul compenso professionista appalti pubblici

Il cuore della questione, sollevata dinanzi alla Corte di Cassazione, riguardava la validità stessa della clausola contrattuale. Il primo motivo di ricorso della professionista si basava sulla violazione dell’art. 92, comma 1, del D.Lgs. 163/2006 (il Codice dei Contratti Pubblici all’epoca vigente). Questa norma stabilisce in modo esplicito che le amministrazioni aggiudicatrici non possono subordinare la corresponsione dei compensi per la progettazione all’ottenimento del finanziamento dell’opera.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo il primo motivo fondato e assorbendo tutti gli altri. La Corte ha chiarito che l’art. 92 del D.Lgs. 163/2006 è una norma imperativa, ovvero una norma che non può essere derogata dalla volontà delle parti. Qualsiasi patto contrario è, di conseguenza, nullo.

La Corte ha spiegato che permettere alle pubbliche amministrazioni di inserire tali clausole significherebbe eludere lo scopo della legge, che è quello di garantire al professionista la giusta retribuzione per il lavoro effettivamente svolto. Il professionista non può e non deve farsi carico del rischio che l’amministrazione non ottenga i fondi necessari per realizzare l’opera.

Un punto cruciale della decisione è che la nullità di tale clausola doveva essere rilevata d’ufficio dalla Corte d’Appello, anche se non era stata oggetto di uno specifico motivo di appello. La nullità per violazione di norme imperative è una questione talmente grave che il giudice ha il dovere di rilevarla autonomamente, a meno che non si sia già formato un giudicato sulla validità della clausola stessa, cosa che in questo caso non era avvenuta.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello con rinvio, ordinando al giudice di riesaminare il caso applicando il seguente principio: la clausola che subordina il pagamento del professionista al finanziamento dell’opera è nulla. Di conseguenza, il giudice dovrà accertare il diritto della professionista a ricevere il compenso per l’attività di progettazione effettivamente svolta, come previsto dalla legge sulle tariffe professionali.

Questa ordinanza rappresenta una vittoria importante per tutti i professionisti che operano nel settore degli appalti pubblici. Essa rafforza la loro tutela, assicurando che il diritto al compenso sia legato unicamente alla prestazione eseguita e non a eventi futuri e incerti come l’erogazione di un finanziamento, il cui esito non dipende dal loro operato.

È valida una clausola che condiziona il pagamento del compenso di un professionista all’effettivo ottenimento di un finanziamento pubblico da parte del Comune?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale clausola è nulla perché viola una norma imperativa (art. 92, co. 1, D.Lgs. 163/2006), la quale vieta esplicitamente di subordinare il pagamento per la progettazione all’ottenimento del finanziamento dell’opera.

Se un professionista ha svolto l’incarico di progettazione ma l’opera viene sospesa per mancanza di fondi, ha comunque diritto al compenso?
Sì. La sentenza riafferma che la sospensione dell’incarico per qualsiasi motivo non esime il committente dall’obbligo di corrispondere l’onorario relativo al lavoro già fatto e predisposto dal professionista, in base alle normative vigenti.

Un giudice può dichiarare nulla una clausola di un contratto anche se nessuna delle parti lo ha specificamente richiesto nel corso del processo d’appello?
Sì. La nullità di una clausola per contrarietà a norme imperative è una questione che il giudice ha il potere e il dovere di rilevare d’ufficio, cioè di propria iniziativa, purché sulla validità di quella clausola non si sia già formato un giudicato (una decisione definitiva).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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