Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3365 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23956 – 2020 proposto da:
avv. NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio, rappresentato e difeso da sé stesso, ex art. 86 cod. proc. civ., con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura dell’ente , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione dell’i ndirizzo pec;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza resa dal TRIBUNALE DI ROMA nel fasc. rg. N. 55625/2019, pubblicata il 19/6/2020; 7/6/2024 dal consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza ex art. 702 bis cod. proc. civ., del 19/3/2018, il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, condannò la Regione Lazio a corrispondere all’avv. NOME COGNOME in parziale accoglimento della sua domanda, la somma di Euro 857.567,52 oltre interessi e spese, a titolo di compensi per l’attività professionale da lui svolta per l’ente nel giudizio di rivendica di due immobili , promosso nei confronti del Comune di Roma.
Con ordinanza n. 17092 del 2019, la Sezione VI-2 di questa Corte, in applicazione del principio stabilito dalle S. U. con la sentenza n. 4485/2018, cassò l’ordinanza per violazione dell’art. 14 d.lgs . 150/2011, per essere la controversia di competenza del Collegio e rinviò al Tribunale di Roma per la trattazione collegiale.
Con ordinanza del 19/6/2020, il Tribunale di Roma, in rinvio, ha accolto parzialmente la domanda, liquidando in favore dell’avv. istante la somma di Euro 48.851,87, oltre accessori.
Per quel che qui ancora rileva, il Tribunale ha stabilito che, subentrando nell’incarico difensivo, in corso di causa, all’Avvocatura dello Stato, l’avv. COGNOME a bbia accettato con comportamento concludente sia l’incarico che la misura del compenso secondo i valori minimi della tariffa, come stabilito dalla Giunta regionale nella delibera n. 31/2014 del 18/01/2014; ha, quindi, ritenuto che «in difetto di chiari riscontri in ordine al regime tariffario applicabile, in osservanza dei principi generali in materia» debbano ritenersi applicabili alla fattispecie i parametri vigenti all’epoca di conclusione dell’incarico
professionale e, cioè, il d.m. 55/2014 , per essere cessata l’attività di difesa in data 11/04/2014, con la pronuncia della sentenza del Tribunale di Roma n. 8354.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati da successiva memoria; la Regione ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avv. COGNOME ha denunciato la nullità dell’ordinanza per omessa sottoscrizione da parte del giudice relatore, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ..
1.1. Il motivo è infondato. Il legislatore ha indicato la forma dell’ordinanza per il provvedimento conclusivo del procedimento ex art. 14 d.lgs. 150/2011 e 702 bis cod. proc. civ. come richiamato. L’art. 134 cod. proc. civ. prevede che l’ordinanza succintamente motivata -sia sottoscritta, se collegiale, dal solo presidente; pertanto, nessun difetto è riscontrabile nella fattispecie, né di forma né di sostanza.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento ai n. 3, 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha dedotto, con un primo profilo di censura, la nullità dell’ordinanza per apparenza ed inadeguatezza della motivazione, nonché, con un secondo profilo, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti .
In particolare, quanto al vizio ex n. 5, il ricorrente ha sostenuto che, accertata con valore di giudicato, dalla precedente ordinanza pronunciata dallo stesso Tribunale in data 2/5/2016, la sussistenza di un contratto vincolante tra le parti, in considerazione della dichiarazione contenuta nella nota del 27/3/2015, «avente piena efficacia confessoria» (così in ricorso), il compenso spettante avrebbe dovuto essere liquidato in applicazione non del d.m. 55/2014, ma del d.m. 127/2004; il riferimento, contenuto nella suddetta nota
proveniente dalla stessa Regione, alla necessità di vagliare la corrispondenza di «voci e importi presentati» «al tariffario forense» avrebbe consentito al Tribunale -se esaminato – di individuare un rinvio di tipo chiuso al d.m. 127/2004, in quanto temporalmente vigente all’epoca di conclusione del contratto di patrocinio e alla data della nota.
Con il terzo e il quarto motivo, articolati in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avvocato ha sostenuto che il Tribunale, interpretando la volontà delle parti espressa nel contratto di mandato, avrebbe violato i commi 1 e 2 dell’art. 1362 e l’art. 1367 cod. civ. perché non avrebbe applicato il criterio letterale, fissato dalla giurisprudenza di questa Corte come criterio principale di ermeneutica contrattuale, nonché il criterio del comportamento successivo e di salvaguardia degli effetti delle clausole.
I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono inammissibili.
Innanzitutto, quanto alla denunciata nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ., questa Corte ha costantemente puntualizzato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda,
tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invero, non ricorre alcuna delle ipotesi appena descritte, atteso che il Tribunale ha dedicato i primi tre capoversi di pag. 10 dell’ordinanza alla motivazione sulla sussistenza di un contratto di patrocinio e all’interpretazione della delibera relativa; riprova ne è, peraltro, la formulazione di più censure alla motivazione in riferimento alla mancata valutazione di un fatto asseritamente decisivo e, soprattutto, alla violazione delle norme di interpretazione.
Ciò posto, non sussisteva alcuna preclusione da giudicato, atteso che la prima ordinanza resa tra le parti il 2/5/2016 è stata annullata per difetto di costituzione del giudice, con rinvio restitutorio.
Quanto alla individuazione della tariffa applicabile, il Tribunale ha innanzitutto rimarcato che l’incarico all’avv. COGNOME è stato deciso con deliberazione n. 31 del 18/1/2004, comunicata al difensore, in cui era previsto il riconoscimento del compenso professionale ai valori minimi di tariffa «senza ulteriore specificazione» ; l’avv. COGNOME ha accettato con condotta concludente l’incarico difensivo; non vi sono chiari riscontri in ordine al regime tariffario applicabile, sicché deve utilizzarsi il d.m. 55/2014, vigente alla data di conclusione dell’incarico, per essere stata pronunciata la sentenza in data 8 aprile 2014.
Così decidendo, il Tribunale ha correttamente applicato il principio per cui il requisito della forma scritta è soddisfatto, nel contratto di patrocinio con la P.A., con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., atteso che l’esercizio della rappresentanza
giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona in forma scritta, mediante l’incontro di volontà fra le parti, l’accordo contrattuale sull’incarico di patrocinio che sia, comunque, previamente intervenuto (cfr. Cass. Sez. 2, n. 21007 del 06/08/2019): esercitando l’attività difensiva, l’avv. COGNOME ha, perciò, accettato che il compenso fosse corrisposto in applicazione dei minimi.
Quanto alla tariffa applicabile, il Tribunale ha interpretato l’accordo di cui alla delibera di incarico ritenendo che sia stata stabilita soltanto la misura minima dei parametri, mentre l’individuazione del d.m. applicabile è stata lasciata al criterio generale del tempo di conclusione dell’incarico professionale.
Ciò precisato, nel brano della missiva del 27/3/2015, asseritamente decisiva, come riprodotto a pag. 17 del ricorso, non è immediatamente percepibile il riscontro testuale idoneo a fondare una diversa e univoca interpretazione del contratto di patrocinio.
Secondo principio consolidato di questa Corte, invero, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata : l’ interpretazione offerta in decisione, infatti, non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma soltanto una delle plausibili, sicché, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte dolersi, in sede di legittimità, del fatto che sia stata privilegiata un’interpretazione diversa da quella da lei proposta (in ultimo Cass. Sez. 1, n. 16987 del 27/06/2018).
Per principio altrettanto consolidato, poi, in caso di successione di tariffe, l’onorario deve essere liquidato proprio in base alla tariffa vigente al momento in cui si esaurisce la prestazione difensiva e il diritto al compenso diventa esigibile; in tal senso la lettura del Tribunale ad un rinvio «aperto», nella delibera di incarico, alla tariffa temporalmente vigente è senz’altro ragionevole .
Con il quinto motivo, articolato in riferimento al numero 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avv. COGNOME ha lamentato la violazione dell’articolo 2233 cod. civ., secondo cui il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale e la misura deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
5.1. Anche questo motivo è inammissibile perché non conferente rispetto alla ratio decidendi , atteso che il Tribunale ha statuito che tra le parti è intervenuto un accordo sulla scelta dei parametri applicabili per la liquidazione del compenso.
Con il sesto motivo, pure articolato in riferimento al numero 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha prospettato l’erronea applicazione dei parametri minimi, in violazione dell’articolo 1362 cod. civ. e degli articoli 2 e 4, comma primo, del d.m. 55/2014, per avere il Tribunale fatto contraddittoriamente riferimento all’avvenuta conclusione di un accordo tra le parti che in sé non poteva che essere riferito alle tariffe vigenti all’epoca per poi, allo stesso tempo, ritenere di applicare i minimi della tariffa vigente in epoca successiva all’accordo .
6.1. Anche questa censura è inammissibile. Come già esposto al precedente punto 4, il Tribunale ha ritenuto che convenuta sia stata la misura del parametro tariffario applicabile, ma non la tariffa, dovendo quest’ultima essere individuata in riferimento al la data di conclusione
dell’incarico; in tal senso l’interpretazione dell’accordo non reca alcuna contraddizione, ben potendo le parti decidere unicamente di convenire, per la determinazione del compenso, l’applicazione dei parametri minimi tariffari, ma secondo la tariffa individuabile ratione temporis , senza individuarla a priori.
7. Con il settimo motivo, pure articolato in relazione al numero 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avvocato ha lamentato l’errata applicazione dei parametri in violazione dell’articolo 6 del d.m. 55/2014 e dell’articolo 2233 cod. civ.: pur premettendo di dover fare applicazione dell’articolo 6 del d.m. in relazione ad un valore della causa «pari a Euro 118.010.672,53 a titolo di sorte capitale quanto alla richiesta principale e pari ad Euro 93.423.088,95 quanto a quella gradata», il Tribunale ha applicato le maggiorazioni del 30% sull’importo base soltanto fino allo scaglione pari ad euro 16 milioni , senza applicare gli ulteriori aumenti fino allo scaglione compreso tra Euro 64 milioni ed Euro 128 milioni e senza rendere sul punto alcuna motivazione; avrebbe così violato i minimi spettanti.
7.1. Il profilo di censura è fondato.
L’art. 6 d.m. 55/2014 (“Cause di valore superiore ad euro 520.000,00″), nella formulazione applicabile fino al 22/10/2022 e, perciò, anche alla fattispecie, prevedeva che alla liquidazione dei compensi per le controversie di valore superiore a euro 520.000,00 si applicasse «di regola» il seguente incremento percentuale: per le controversie da euro 520.000,00 ad euro 1.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore fino a euro 520.000,00; per le controversie da euro 1.000.000,01 ad euro 2.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 1.000.000,00; per le 13 controversie da euro 2.000.000,01 ad euro 4.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di
valore sino ad euro 2.000.000,00; per le controversie da euro 4.000.000,01 ad euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 4.000.000,00; per le controversie di valore superiore ad euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le cause di valore sino ad euro 8.000.000,00; tale ultimo criterio «poteva» essere utilizzato per ogni successivo raddoppio del valore della controversia”.
Questa Corte ha già stabilito che, in questa formulazione, l’art. 6 del d.m. n. 55 del 2014, prevedendo, al comma 1, che alla relativa liquidazione si applicasse, «di regola», un incremento fino al 30% dei parametri numerici contemplati dai relativi scaglioni di riferimento (ed individuati, nella specie, dall’art. 22 del cit. d.m.), imponeva uno specifico apporto motivazionale, esplicativo delle ragioni sottese a tale scelta, nel solo caso in cui il giudice reputasse di non disporre alcun incremento percentuale (Cass. Sez. 2, n. 29170 del 20/10/2021).
Il principio della necessaria motivazione deve, allora, intendersi esteso anche al mancato riconoscimento dell’ ultimo incremento discrezionale, seppure sia stata utilizzata la proposizione «il criterio può essere utilizzato» invece del sintagma «si applica di regola»: una distinzione fra ultimo incremento e incrementi precedenti, infatti, non troverebbe base nella norma, né letterale né logica (Cass. Sez. 3, n. 31347 del 24/10/2022).
In questi limiti il primo profilo del settimo motivo è fondato e l’ordinanza impugnata deve essere cassata in conseguenza.
7.2. Dall’accoglimento del primo profilo del settimo motivo consegue logicamente l’assorbimento del secondo profilo con cui l’avvocato ha lamentato che comunque i conteggi sarebbero errati perché la maggiorazione del 30% sullo scaglione di partenza è stata
operata su un importo erroneo e ha, perciò, causato errori nei successivi calcoli dell’incremento, scaglione per scaglione.
Pure logicamente assorbito è l’ottavo motivo, sempre articolato in riferimento al numero 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui il ricorrente ha denunciato la violazione del l’art. 112 e 115 cod. proc. civ. per omessa pronuncia in ordine alla richiesta di rimborso del costo del parere di congruità.
Il ricorso è perciò accolto limitatamente al primo profilo del settimo motivo, rigettato il primo motivo, dichiarati inammissibili i motivi dal secondo al sesto e assorbiti il secondo profilo del settimo motivo e l’ottavo motivo.
L’ordinanza impugnata deve essere cassata negli stessi limiti, con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per le spese