Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8376 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8376 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5962/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in VenafroINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
– intimato – avverso il decreto del Tribunale di Campobasso in R.G. n. 113/2017 depositato il 30/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/2/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ammetteva al passivo della procedura il credito professionale vantato dall’AVV_NOTAIO per complessivi € 11.472,11, oltre accessori, in privilegio ex art. 2751bis , comma 2,
cod. civ..
Il Tribunale di Campobasso, a seguito dell’opposizione proposta dall’AVV_NOTAIO, rideterminava in € 6.301 l’onorario spettante alla
professionista, oltre a € 945,15 per spese forfettarie, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ammetteva il credito professionale così rideterminato in prededuzione.
Disponeva la compensazione delle spese fra le parti, data la notevole riduzione del credito professionale riconosciuto all’opponente.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, comunicato in data 31 dicembre 2019, prospettando due motivi di doglianza.
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non ha svolto difese.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ., in relazione al D.M. 55/2014, perché il tribunale ha liquidato il compenso professionale in un importo inferiore ai minimi tariffari, senza tener conto che l’art. 4, comma 1, D.M. 44/2014, come rimodulato dal D.M. 37/2018, prevede che i valori medi tabellari possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50%.
Il motivo non è fondato.
5.1 Non vi è dubbio che ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all’avvocato nel rapporto col proprio cliente (ove ne sia mancata la determinazione consensuale), così come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente o del compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, dopo le modifiche degli artt. 4, comma 1, e 12, comma 1, D.M. 55/2014 apportate dal D.M. 37/2018 il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate (Cass. 10438/2023).
5.2 Nel caso di specie, tuttavia, la domanda di ammissione al passivo era stata presentata (come spiega la stessa parte ricorrente) rispetto a un giudizio conclusosi nell’anno 2015.
Il provvedimento impugnato precisa che il giudizio di opposizione ha avuto ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento di ammissione allo stato passivo reso dal giudice delegato in data 14 dicembre 2016.
All’epoca in cui la prestazione professionale si era totalmente esaurita e la liquidazione è avvenuta l’art. 4, comma 1, secondo periodo, D.M. 55/2014 prevedeva che ‘
che, per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare alla disciplina introdotta dalle norme appena citate un’interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato l’ordinamento, i nuovi parametri sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore il precedente criterio (Cass., Sez. U., 17405/2012, a cui fa espresso riferimento la relazione di accompagnamento al D.M. 55/2015 nel riferirsi alla disposizione temporale prevista dall’art. 28).
La vecchia regola determinativa del compenso deve invece trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui in discorso si sia completamente esaurita (e sia stata anche liquidata, come nel caso di specie) sotto il vigore dei precedenti parametri generali.
5.3 La regola applicabile ratione temporis prevedeva la possibilità di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice poteva apportare ai valori medi, dato che l’utilizzo dell’inciso ‘di regola’ per indicare l’entità dell’aumento o della diminuzione era volto a sottendere come tali indicazioni non fossero vincolanti per il giudice, che poteva quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenesse adeguata al caso specifico, purché ne desse conto in motivazione.
In questa prospettiva interpretativa la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente sostenuto, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. 55/2014, che l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. 14198/2022, Cass. 19989/2021, Cass. 89/2021, Cass. 11601/2018, Cass. 2386/2017). Motivazione che il giudice di merito ha offerto in maniera puntuale, giustificando la riduzione alla metà dei minimi tabellari sulla base dell’esito del giudizio (conclusosi con una condanna per una somma coincidente con quella portata dal decreto ingiuntivo che era stato opposto) e della natura ‘prevalentemente dilatoria’ dell’opposizione proposta.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in quanto la regolazione delle spese legali, pur in presenza di una rideterminazione del compenso, doveva seguire la soccombenza e non poteva addivenire a una compensazione integrale.
Il motivo è inammissibile.
Il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali, con riferimento alla corretta applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
La pronuncia impugnata non ha affatto posto le spese di lite a carico dell ‘ odierna ricorrente, la quale, peraltro, non era risultata neppure totalmente vittoriosa al l’esito della lite, posto che la sua domanda era stata accolta solo in parte, in misura notevolmente ridotta rispetto a quanto domandato.
Non può poi essere censurata in questa sede la pronuncia di compensazione delle spese sotto il profilo dedotto.
Difatti, la valutazione dell’opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che nelle altre ipotesi previste dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 24502/2017, Cass. 8241/2017).
Per tutto quanto sopra esposto, deve essere respinto.
La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 27 febbraio 2024.