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Compenso professionale: come si calcola l’extra?

Una società di ingegneria richiedeva un compenso professionale aggiuntivo per il prolungarsi delle attività di direzione lavori. A causa della mancata fornitura di idonea documentazione contabile, i giudici hanno liquidato il compenso secondo il criterio residuale “a vacazione” (basato sul tempo) e non su quello percentuale. La Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che l’onere di provare i presupposti per un calcolo più favorevole spetta al professionista che avanza la pretesa.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Professionale Extra: Chi Prova Cosa? La Cassazione Fa Chiarezza

Il calcolo del compenso professionale per attività che si protraggono oltre i termini previsti è una questione ricorrente e spinosa. Quando un progetto subisce ritardi, il professionista incaricato della direzione lavori ha diritto a un compenso aggiuntivo? E se sì, come si determina? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti, focalizzandosi in particolare sul criterio di liquidazione del compenso e sull’onere della prova.

I Fatti di Causa: Un Progetto Prolungato

Una società di ingegneria, incaricata della direzione lavori e del project management per un’opera pubblica, si trovava a dover proseguire la propria attività ben oltre il periodo contrattuale a causa di ritardi non imputabili ad essa. Per tale attività extra, la società richiedeva a un Comune il pagamento di un cospicuo importo.

Il Tribunale di primo grado riconosceva alla società un importo inferiore, calcolato secondo il criterio delle “vacazioni” (cioè a tempo), previsto come residuale dalla tariffa professionale. La Corte d’Appello, pur aumentando leggermente la somma, confermava l’utilizzo di tale criterio, respingendo la richiesta della società di applicare criteri più favorevoli, come quello percentuale sull’importo dei lavori. La ragione? La società non aveva fornito una documentazione contabile adeguata a dimostrare i presupposti per l’applicazione di tali criteri. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione e il Calcolo del Compenso Professionale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito e fornendo principi chiari sull’onere della prova e sui criteri di calcolo del compenso.

Il Criterio Residuale delle Vacazioni

I giudici hanno ribadito che la tariffa professionale prevede diversi criteri per la liquidazione degli onorari: a percentuale, a quantità e, in via residuale, a vacazione. Quest’ultimo si applica quando il tempo è l’elemento principale di valutazione della prestazione e non sono utilizzabili gli altri criteri. Nel caso di specie, poiché l’attività aggiuntiva consisteva in un prolungamento nel tempo delle mansioni di direzione lavori, e in assenza di prove contrarie, la Corte ha ritenuto corretta l’applicazione del criterio a vacazione.

L’Onere della Prova a Carico del Professionista

Il punto cruciale della decisione riguarda l’onere della prova. La società sosteneva che, una volta dimostrato il diritto al compenso extra, dovesse essere il Comune a provare che i pagamenti già effettuati coprissero anche tali prestazioni. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che è il professionista che chiede il pagamento a dover dimostrare non solo di aver svolto l’attività, ma anche i presupposti fattuali e contabili per l’applicazione del criterio di calcolo da lui invocato. Poiché la società non era riuscita a produrre la documentazione idonea a suffragare un calcolo a percentuale (ad esempio, dimostrando un aumento delle opere eseguite nel periodo di proroga), i giudici hanno legittimamente ripiegato sul criterio residuale basato sul tempo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha basato la sua decisione su diversi principi procedurali e di merito. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato privo di “autosufficienza”, in quanto non riportava il contenuto del contratto originario, impedendo alla Corte di verificare quali fossero i criteri di compenso inizialmente pattuiti.

Inoltre, la censura relativa all’errata ripartizione dell’onere della prova è stata ritenuta inammissibile. La Corte ha specificato che la sentenza impugnata non aveva posto a carico della società la prova dei pagamenti ricevuti, bensì la prova del fondamento della propria pretesa, ovvero del diritto a un compenso calcolato con un criterio diverso e più vantaggioso di quello a vacazione. La mancata produzione di una contabilità chiara e completa ha reso impossibile per i giudici accogliere la richiesta della ricorrente. Infine, è stata respinta anche l’idea di applicare per analogia una penale prevista nel contratto d’appalto tra il Comune e l’impresa costruttrice, poiché la società di ingegneria era un soggetto terzo rispetto a quel contratto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Professionisti

Questa ordinanza offre una lezione fondamentale per tutti i professionisti: la documentazione è tutto. Per poter richiedere un compenso professionale aggiuntivo per il prolungamento di un incarico, non è sufficiente dimostrare di aver lavorato più a lungo. È essenziale poter provare, con documenti contabili e tecnici precisi, i presupposti per l’applicazione dei criteri di calcolo più favorevoli previsti dalla tariffa. In assenza di tale prova, il rischio concreto è vedersi liquidare un compenso basato sul criterio residuale del tempo, che potrebbe risultare economicamente meno vantaggioso. Una corretta e meticolosa gestione documentale fin dall’inizio dell’incarico si rivela, ancora una volta, la migliore tutela per i propri diritti.

Come si calcola il compenso per attività professionali che si protraggono nel tempo se il contratto non lo specifica chiaramente?
In assenza di prove che giustifichino l’applicazione di criteri a percentuale o a quantità, si applica il criterio residuale “a vacazione”, ovvero basato sul tempo effettivamente impiegato, come previsto dall’art. 4 della tariffa professionale (L. 143/1949).

Su chi ricade l’onere di provare il diritto a un maggior compenso calcolato su base percentuale o a quantità?
L’onere della prova ricade sul professionista che avanza la richiesta. Egli deve fornire la documentazione contabile e tecnica idonea a dimostrare i presupposti per l’applicazione di tali criteri (ad esempio, un aumento effettivo delle opere eseguite), non essendo sufficiente il solo prolungamento temporale dell’incarico.

È possibile applicare per analogia una penale, pattuita tra committente e impresa appaltatrice, al direttore dei lavori per il ritardo nell’esecuzione dell’opera?
No, la Corte ha stabilito che non è possibile applicare tale criterio indennitario. Il professionista incaricato della direzione lavori è estraneo al contratto d’appalto stipulato tra la stazione appaltante e la società esecutrice dei lavori, pertanto le clausole di quel contratto non possono essere estese a lui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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