Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23000 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23000 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12375/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -ricorrente-
contro
COMUNE DI COMISO, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1955/2019 depositata il 10/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Ragusa, con sentenza n. 446/2016, depositata il 19. 4.2016, in parziale accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dal Comune di Comiso, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 549/2011, con cui era stato intimato il pagamento a carico di tale Amministrazione e in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 412.768,98 , ed ha condannato il Comune di Comiso al pagamento della minor somma di € 86.089,00, oltre accessori, quale remunerazione delle ulteriori attività svolte dalla predetta società in esecuzione del contratto di appalto per effetto del protrarsi delle attività di direzione lavori e project management nel periodo dal 20 aprile al 9 novembre 2008.
Il Giudice di primo grado aveva determinato il quantum dovuto secondo il criterio delle vacazioni ai sensi dell’art. 4 DPR 143/1949, richiamato dall’art. 9 della convenzione stipulata dalle parti, escludendo l’applicazione in via analogica della penale, in quanto prevista nei rapporti tra Amministrazione e impresa esecutrice dei lavori, nonché il risarcimento dei danni per mancato guadagno in carenza di prova.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1955/2019, depositata il 10.09.2019, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE ha condannato il Comune di Comiso al pagamento in favore della predetta società dell’ulteriore somma di € 11.362, 00, oltre accessori di legge.
Il Giudice di secondo grado ha condiviso l’impostazione del primo Giudice di quantificazione del compenso secondo il criterio delle vacazioni – e non secondo il criterio analogico di cui all’art. 2 L. 143/ 1949, o quello della penale concordata tra impresa appaltatrice e stazione appaltante – ma ha escluso la riduzione a metà dello stesso compenso, non rientrando il caso di specie tra le perizie estimative (art. 24 tariffa) o tra gli inventari e consegne (art. 29 della tariffa).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi. Il Comune di Comiso ha resistito in giudizio con controricorso. La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2, 3 e 4 L. 143/1949.
La ricorrente contesta il criterio delle vacazioni con cui i giudici di merito hanno liquidato il compenso per il protrarsi dell’attività di direzione lavori e project management , sostenendo che tale criterio ha come presupposto quello della residualità rispetto agli altri criteri tariffari previsti dalla norma di legge, ovvero quello percentuale e a quantità, e che il tempo concorre come elemento precipuo di valutazione.
La Corte d’Appello non ha considerato che, nel caso di specie, era facilmente applicabile il criterio ‘normale’ collegato alla quantità e qualità del servizio ingegneristico, come dimostrato dal consulente di parte della ricorrente, o comunque il criterio di natura indennitaria pattuito tra la stazione appaltante e l’appaltatore in relazione al prolungamento dei tempi di realizzazione dell’opera, essendo di provenienza diretta della parte committente, ancorché pattuito nell’ambito del contratto.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116, 2709, 2710 e 2720 c.c.,
La ricorrente contesta l’impostazione dei giudici di merito, che hanno fatto propria la valutazione del CTU, il quale aveva negato la possibilità di applicare i criteri di tariffazione normale -quantità e qualità del servizio prestato -sul rilievo che non era possibile stabilire quale e quanta parte del maggior servizio prestato fosse già stata coperta dai pagamenti in precedenza effettuati in mancanza della relativa documentazione contabile.
Ad avviso della ricorrente, una volta accertato il diritto della ricorrente a vedersi corrisposto il compenso maturato per l’attività svolta in eccesso rispetto a quella originariamente pattuita, era onere del Comune fornire la prova dei pagamenti già effettuati e della sovrapponibilità di detti pagamenti, in termini di imputazione, al servizio oggetto dell’ulteriore richiesta di pagamento.
La ricorrente rileva, altresì, di aver fornito la prova dei pagamenti effettuati mediante documenti contabili dell’appalto mai contestati dalla parte opponente (conto finale, quadro economico finale, verbale di collaudo, fatture).
La Corte d’Appello (e precedentemente il Tribunale) avrebbe ‘dovuto acquisire al processo il fatto come pacifico, non contestato e dunque pienamente provato, dando per superato l’onere probatorio’.
Entrambi i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va preliminarmente osservato che secondo l’art. 4 della tariffa professionale, «Gli onorari devono essere valutati in ragione di tempo e computati a vacazione in quelle prestazioni di carattere normale nelle quali il tempo concorre come elemento precipuo di valutazione ed alle quali non sarebbero perciò applicabili le tariffe a percentuale o a quantità. Sono in particolare da computarsi a vacazione: a) i rilievi di qualunque natura e gli studi preliminari relativi; gli accertamenti per rettifiche di confini e simili; b) le competenze per trattative con le autorità e coi confinanti, le pratiche per espropri e locazioni, i convegni informativi e simili; c) il tempo impiegato nei viaggi di andata e ritorno, quando i lavori da retribuirsi a percentuale od a quantità debbono svolgersi fuori ufficio; d) le varianti ai progetti di massima, durante il corso dello studio di questi, se conseguenti a circostanze che il professionista non poteva prevedere».
Nel caso di specie, si trattava di dover liquidare attività di direzione dei lavori e project management che si sono protratte oltre il tempo originariamente previsto (per il quale era stato concordato un onorario globale da pagarsi in rate mensili).
Non vi è dubbio, in primo luogo, che il ricorso sia privo del requisito di specificità ed autosufficienza, non essendo riportato in esso, neppure per estratto, il contenuto del contratto originario, sicché non sono noti i criteri in base ai quali era stato determinato l’onorario originario.
Va, inoltre, osservato che la ricorrente ha contestato la mancata applicazione, da parte della Corte d’Appello, del criterio tariffario della ‘quantità e qualità’ per l ‘ulteriore attività di direzione lavori e project management svolta, non considerando che, seguendo tale impostazione, avrebbe dovuto essere proprio la stessa ricorrente a dover dimostrare, oltre che il compenso fosse stato pattuito secondo l’entità e la qualità delle opere prestate, che nel periodo in cui si era protratta l’attività di direzione lavori vi fosse stato un incremento della percentuale delle opere eseguite nel contratto di appalto.
Orbene, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, la ricorrente – che aveva invocato, a mezzo del proprio CTP, l’applicazione del criterio tariffario della quantità e qualità – non aveva, invece, assolto all’onere sulla stessa ricadente di produrre la documentazione contabile idonea a suffragare i propri assunti.
La Corte d’Appello, in sostanza, ritenendo che non fosse stata fornita idonea documentazione per l’applicazione del criterio tariffario invocato dal CTP del ricorrente, ha applicato il criterio residuale delle vacazioni sulla base del rilievo di natura oggettiva che le prestazioni si erano protratte nel tempo.
Tale affermazione è stata inammissibilmente contestata dalla ricorrente, avendo la stessa sollecitato una diversa ricostruzione dei fat-
ti rispetto a quella accertata dalla Corte d’Appello, attività non consentita in sede di legittimità.
Inammissibile, inoltre, per difetto di pertinenza è la censura della ricorrente secondo cui sarebbe stato il Comune a dover fornire la prova dei pagamenti e non la stessa. Sul punto, la ricorrente non ha colto che la sentenza impugnata non ha posto a carico della stessa la prova dei pagamenti, ma quella del compenso pattuito per la prestazione originaria.
Del tutto generica e priva di autosufficienza è, altresì, la dedotta richiesta di applicazione del principio di non contestazione.
In proposito, questa Corte ha più volte statuito che, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass. n. 10761/2022; vedi a contrariis Cass. n. 20637/2016).
Infine, quanto alla mancata applicazione da parte della Corte d’Appello, ai fini della liquidazione del compenso di cui è causa, del criterio indennitario già pattuito dalla stazione appaltante con la società appaltatrice, la motivazione dei giudici di merito secondo cui la ricorrente era estranea al contratto d’appalto è assolutamente immune da censure e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 4 .200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14.5.2025