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Compenso professionale collaudo: vince la legge regionale

Un professionista, incaricato come presidente della commissione di collaudo per un’opera pubblica, ha richiesto il pagamento dell’intero compenso basato sulle tariffe professionali nazionali. L’ente pubblico committente si è opposto, invocando una legge regionale che prevedeva un compenso unitario da suddividere tra i membri della commissione. La Corte di Cassazione ha dato ragione all’ente, stabilendo che la normativa regionale, in quanto norma speciale volta a contenere la spesa pubblica, prevale sulla tariffa nazionale generale, che non ha carattere imperativo. Il ricorso del professionista è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Professionale Collaudo: la Legge Regionale Prevale sulla Tariffa Nazionale

La determinazione del compenso professionale per il collaudo di opere pubbliche è un tema complesso, spesso al centro di contenziosi tra professionisti ed enti committenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sul rapporto tra le tariffe professionali nazionali e le leggi regionali speciali, stabilendo un principio fondamentale in materia di contratti pubblici.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di pagamento avanzata da un ingegnere, nominato presidente della commissione di collaudo statico per la realizzazione di un’importante diga. Il professionista, sulla base di un decreto ingiuntivo, richiedeva un importo calcolato secondo le tariffe professionali nazionali, che riconoscono a ciascun membro di un collegio il diritto a percepire l’intero compenso per l’opera svolta.

L’ente pubblico appaltante, un Ente Acquedotti Siciliani in liquidazione, proponeva opposizione al decreto, sostenendo che al professionista spettasse solo una quota del compenso unico previsto per l’intera commissione. La base di tale argomentazione era l’art. 7 della Legge Regionale Siciliana n. 21/1985, una norma specifica che derogava alla previsione generale della legge nazionale (L. 143/1949).

Mentre il Tribunale di primo grado dava ragione al professionista, la Corte di Appello ribaltava la decisione, revocando il decreto ingiuntivo e riducendo significativamente l’importo dovuto. La Corte territoriale riteneva che la norma regionale avesse carattere imperativo e che le parti, nel loro accordo, non avessero inteso derogarvi. Il caso è quindi giunto all’esame della Corte di Cassazione a seguito del ricorso dell’ingegnere.

La Questione Giuridica: il compenso professionale per collaudo tra legge nazionale e regionale

Il cuore della controversia risiedeva nel conflitto tra due normative:

1. La Legge nazionale n. 143/1949: Stabilisce le tariffe per ingegneri e architetti e, all’art. 7, prevede che in caso di incarico collegiale, a ciascun professionista spetti l’intero onorario calcolato sull’opera.
2. La Legge Regionale n. 21/1985: Disciplina i lavori pubblici di interesse regionale e, all’art. 7, comma 9, stabilisce che l’incarico di collaudo a una commissione si intende, ai fini tariffari, come affidato a professionisti non riuniti in collegio, implicando la suddivisione di un compenso unico.

Il ricorrente sosteneva che la norma regionale fosse inapplicabile e che il contratto, facendo riferimento alle tariffe professionali, avesse validamente derogato alla disciplina regionale, optando per quella nazionale più favorevole.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la sentenza d’appello con una motivazione articolata e chiara. I giudici hanno stabilito che la disciplina regionale non si pone in contrasto con i principi costituzionali, ma rappresenta una legittima espressione della potestà legislativa della Regione in materia di lavori pubblici di interesse regionale.

La Corte ha evidenziato che la legge regionale siciliana sui lavori pubblici è inserita in un sistema caratterizzato da una rigida programmazione delle opere e dal controllo della spesa. Le norme sulla determinazione dei compensi, quindi, non sono isolate, ma funzionali a obiettivi di razionale pianificazione e di efficienza della pubblica amministrazione, tutelando interessi generali come la prevedibilità dei costi.

Di conseguenza, l’art. 7 della L.R. 21/1985 è stato qualificato come norma imperativa e inderogabile nell’ambito dei contratti pubblici regionali. Questa norma speciale prevale sulla disposizione generale della tariffa professionale nazionale (L. 143/1949), la quale, secondo un consolidato orientamento della stessa Cassazione, non ha carattere imperativo e può essere derogata dalla volontà delle parti.

Inoltre, la Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione del contratto d’incarico fornita dai giudici d’appello. Il riferimento alla natura collegiale dell’attività non era inteso a richiamare la tariffa nazionale, ma a ribadire l’inscindibilità della prestazione, senza per questo derogare al criterio di calcolo del compenso imposto dalla legge regionale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di notevole importanza pratica: nei contratti per opere pubbliche di interesse regionale, le leggi speciali emanate dalla Regione per regolare i compensi professionali prevalgono sulle tariffe nazionali. Tali norme, finalizzate al contenimento e alla programmazione della spesa pubblica, hanno natura imperativa e non possono essere derogate da accordi contrattuali, a meno che non sia la stessa legge a prevederlo. Per i professionisti che operano con la pubblica amministrazione, ciò significa che è essenziale conoscere non solo le tariffe nazionali, ma anche le specifiche normative regionali che possono incidere in modo significativo sulla determinazione dei propri onorari.

Una legge regionale può stabilire un criterio di calcolo per il compenso professionale diverso da quello previsto dalle tariffe nazionali?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che una legge regionale, nell’esercizio della sua potestà legislativa in materie di sua competenza come i lavori pubblici di interesse regionale, può legittimamente stabilire criteri specifici per il calcolo dei compensi professionali, specialmente se finalizzati al contenimento e alla prevedibilità della spesa pubblica. Tali norme speciali prevalgono su quelle generali nazionali.

Il riferimento alle tariffe professionali in un contratto di incarico con un ente pubblico implica automaticamente la disapplicazione di una legge regionale che prevede un compenso inferiore?
No. La Corte ha chiarito che un generico riferimento alle tariffe professionali in un contratto non è sufficiente per derogare a una norma regionale specifica e imperativa. L’accordo va interpretato nel suo complesso e, nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che le parti si fossero conformate alla disciplina regionale, che imponeva la suddivisione di un compenso unico.

La norma nazionale che prevede l’intero compenso per ogni membro di un collegio di collaudo è inderogabile?
No. La Cassazione ha ribadito che la norma statale di riferimento (art. 7 della L. 143/1949) non ha valore imperativo. Può quindi essere derogata sia dalla volontà delle parti sia, come in questo caso, da una legge regionale speciale che disciplina in modo diverso il calcolo dei compensi per i lavori pubblici di sua competenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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