Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18817 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 18817 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18451/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
ricorrente incidentale- avverso la ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO depositata il 22/04/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte,
chiedendo l’accoglimento del nono motivo del ricorso principale, il rigetto dei restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale.
Uditi gli avv. COGNOME per il ricorrente principale e, su delega, l’avv. COGNOME per la Banca.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano è stato investito, ex art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011, dell’opposizione proposta dalla Banca di credito cooperativo di Milano, Società cooperativa (‘Banca’) , contro il decreto ingiuntivo, chiesto e ottenuto dall’avv. NOME COGNOME per il pagamento di compensi professionali, per l’importo di € 86.860,71.
Il Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo e condannato la Banca al pagamento della minore somma di € 7.431,75, oltre accessori, ponendo le spese del giudizio di opposizione a carico della Banca.
L’importo liquidato si riferisce a pratiche analiticamente indicate nel provvedimento.
Contro l’ordinanza che ha definito il procedimento l’avv. COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quindici motivi.
La Banca ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Il ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
A. ─ In via preliminare deve essere dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità del provvedimento impugnato, sollevata dal ricorrente con la memoria e motivata con il rilievo che la trattazione del procedimento, in contrasto con quanto dispone l’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011, si è svolta interamente dinanzi al
giudice relatore, mentre il collegio è intervenuto solo in sede decisoria.
La censura, infatti, allude a una ragione di nullità che avrebbe dovuto essere fatta valere con apposito motivo di ricorso (art. 161 c.p.c., in relazione all’art. 50 -quater c.p.c). Le memorie consentite dall’art. 378 c.p.c. possono essere utilizzate esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi già compiutamente svolti con il ricorso o per confutare le tesi avversarie, ma non per dedurre nuove censure o per prospettare nuovi motivi (Cass. n. 12477/2002; n. 9387/2003; n. 4020/2006).
─ I motivi del ricorso principale possono così riassumersi:
V iolazione dell’art. 2909 c.c. e difetto di motivazione, in relazione agli artt. 132 e 134 disp. att. c.p.c. e 111 Cost.
È oggetto di censura la statuizione della sentenza impugnata, con la quale, in relazione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395 del 2018, chiesto e ottenuto dall’avv. COGNOME per compensi professionali diversi da quelli richiesti nel giudizio presente giudizio, il Tribunale di Milano ha negato l’efficacia di giudicato del menzionato provvedimento, contro il quale la Banca aveva proposto opposizione tardiva poi dichiarata inammissibile. In proposito il Tribunale ha sottolineato la diversità del petitum e della causa petendi e inoltre il fatto che nel ricorso non si menzionavano né la convenzione del 2013, né l’accordo del 2015, dedotti dalla Banca nel presente giudizio con il fine di negare il diritto del legale ai maggiori compensi.
Tale contenuto del provvedimento impugnato si coordina con la questione, centrale della presente lite, riguardante l’efficacia dell’accordo inter-partes del 29 aprile 2015. Infatti, il Tribunale di Milano, dopo avere riconosciuto che la convenzione del 2013,
destinata secondo la Banca a regolare i rapporti inter partes anche in relazione agli incarichi per cui è causa, non era stata accettata dal legale, ha ritenuto che il successivo accordo del 29 aprile 2015, ora menzionato, avesse il seguente significato: la somma, in esso concordata, pari a € 599.828,22, compensava l’intera attività svol ta del legale fino 30 giugno 2014, mentre l’attività successiva, quantunque riferita a incarichi conferiti anteriormente, sarebbe stata retribuita secondo le tariffe di cui all’allegato 1 della convenzione del 2013. Il Tribunale ha poi richiamato la lettera del legale del 12 giugno 2013, con la quale, nel corso delle trattative riferite alla convenzione del 2013, il medesimo aveva proposto, quale condizione per poterla accettare, alcune modifiche, una delle quali riguardava l’operatività della convenzione solo per le nuove pratiche, esclusi gli incarichi precedenti, anche se le azioni giudiziali fossero avviate successivamente. Il Tribunale ha riconosciuto che tale previsione fu superata dall’accordo del 29 aprile 2015, il quale, interpretato secondo buona fede, aveva il significato di cui sopra: la somma, in esso concordata, riguardava l’intera attività giudiziale svolta fino al 30 giugno 2014, il che escludeva ulteriori pretese del legale per attività svolta fino a tale data. Per l’attività successiva si applicano le tariffe della convenzione del 2013, richiamate dall’accordo, anche se l’incarico fosse stato conferito in precedenza. Con il motivo si sostiene che con il decreto ingiuntivo n. 1395 del 2018, divenuto definitivo a fronte del rigetto dell’opposizione, il Tribunale di Monza ha accertato che i rapporti fra l’avv. COGNOME e BCC sono regolati dalla Convenzione stipulata nei primi anni ’90 e risolta a dicembre del 2015, senza distinzione fra pratiche svolte prima o dopo il 30 giugno 2014.
Sono poi menzionati altri provvedimenti irrevocabili che avrebbero riconosciuto il diritto del legale al compenso stabilito secondo i parametri di cui al D.M. 55 del 2014.
Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e nullità dell’ordinanza in relazione all’art. 112 c.p.c.: l’interpretazione dell’accordo del 29 aprile 2015 proposta nell’ordinanza impugnata è inficiata da vizio di ultra ed extra petizione, perché la Banca aveva assunto nel giudizio una posizione diversa e contrastante con il significato dell’accordo recepito dal Tribunale di Milano. La Banca, in effetti, aveva riconosciuto che l’accordo fu stipulato solo per regolare alcune posizioni di dubbio esito.
Violazione delle regole di ermeneutica e vizio di motivazione: a) il senso letterale delle parole usate nella scrittura del 29 aprile 2015 imponeva di circoscrivere l’ambito dell’accordo alle sole pratiche di cui all’elenco , posto che solo per quelle stesse pratiche il legale si era impegnato ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 2013; b) la somma pattuita nell’accordo del 2015 era riferita all’attività svolta sino al 30 giugno 2014, ma pur sempre con riferimento a quelle medesime pratiche in elenco (96) e non al complesso delle pratiche che stava in quel momento seguendo l’avv. COGNOME; c) la diversa conclusione del Tribunale era palesemente illogica e in contrasto con la mole dei documenti prodotti.
V iolazione delle regole di ermeneutica e dell’art. 115 c.c.: il significato dell’accordo del 29 aprile 2015, recepito dal Tribunale, era in conflitto con molteplici elementi istruttori, in particolare con la missiva dell’avv. COGNOME del 12 giugno 2013, richiamata in quell’accordo, con la quale si escludeva il carattere retroattivo della
pattuizione, essendo in contrasto inoltre con le dichiarazioni di controparte.
O messa e insufficiente motivazione e violazione dell’art. 1362 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c.: è oggetto di censura la scelta del Tribunale di ritenere superato il discrimine temporale, proposto dal legale con la richiamata lettera del 12 giugno 2013, circa l’applicabilità della convenzione solo alle nuove pratiche e non a quelle già conferite.
Nullità della pronunzia per difetto di motivazione sugli aspetti indicati nei tre motivi precedenti. In particolare, si denunzia, sotto il profilo del ‘contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili’ , il fatto che il Tribunale non abbia riproposto, con riferimento all’accordo dell’aprile del 2015, le considerazioni che l’avevano indotto a negare il perfezionamento della convenzione del 2013. Si sostiene infatti che quelle stesse considerazioni confermavano che l’accordo del 2015 non aveva carattere onnicomprensivo, ma si riferiva a specifiche pratiche, come confermato del resto dalla lettera di recesso della Banca, che non richiamava tale accordo, ma la convenzione del 1996.
V iolazione dell’art. 2233 c.c. e dell’istituto sull’equo compenso, come introdotto dalla legge n. 148 del 2017.
La decisione è oggetto di censure laddove ha rigettato la domanda subordinata dell’opposto, di accertamento incidentale della nullità dell’accordo dell’aprile 2015 nella parte in cui richiama le tariffe previste nella convenzione del 2013 per violazione della legge c.d. dell’equo compenso.
Il ricorrente sostiene che la nuova disciplina, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, è applicabile anche se l’attività
professionale fosse già conclusa alla data di entrata in vigore della legge, purché non sia stata ancora pagata.
violazione dell’art. 112 e dell’art. 2233 c.c.
Il T ribunale, al termine dell’esame della domanda di nullità per violazione della norma sul c.d. equo compenso, ha aggiunto che il rigetto di tale domanda implica il rigetto della domanda subordinata di rideterminazione del compenso a norma dell’art. 2233, comma 2, c.c.
In questi termini, il Tribunale ha ritenuto che la domanda ex art. 2233 c.c. fosse stata proposta in via subordinata e pur sempre con riferimento all’equo compenso, mentre la domanda svolta ai sensi dell’art. 2233 c.c. aveva rilievo autonomo, avendo il legale eccepito la nullità della convenzione anche ai sensi della norma codicistica.
Vizio di motivazione, per avere il Tribunale, da un lato, riconosciuto che la somma di € 599.828,22 si riferiva al complesso delle attività svolta fino al 30 giugno 2014, dall’altro, pur avendo rilevato che la Banca non aveva comprovato il pagamento di tale somma, aveva nondimeno rigettato la domanda, anche nella parte in cui essa si riferiva ad attività già completata alla data del 30 giugno 2014. In altre parole, secondo il ricorrente, la domanda era stata rigettata nonostante mancasse la prova del pagamento.
Violazione degli artt. 1362, 1372 e 2233 c.c., art. 112 e 115 c.p.c.: il Tribunale, nella liquidazione del compenso relativo a talune pratiche oggetto della domanda, non ha tenuto conto della maggiore liquidazione giudiziale ottenuta dalla Banca, imputando al legale di non avere provato l’effettiva riscossione. Il ricorrente ricorda che la convenzione del 2013 non contemplava la necessità di una tale prova, in quanto escludeva in termini assoluti che il legale avesse potuto pretendere importi maggiori in presenza di
una liquidazione giudiziale superiore alla tariffa. Tuttavia, nella lettera del 12 giugno del 2013, il legale aveva richiesto che la relativa previsione fosse eliminata, conseguendone il diritto del legale ai maggiori compensi liquidati a carico del soccombente, il quale diritto non era affatto subordinato alla condizione dell’effettiva riscossione, come invece affermato dal Tribunale. Si sottolinea che il ricorrente aveva comprovato la maggiore liquidazione giudiziale.
Violazione degli artt. 2233 e 2234 e 1372 c.c., 112 e 114 c.p.c.: è oggetto di censura la liquidazione operata dal Tribunale con riferimento alle pratiche oggetto della domanda monitoria, e ciò sotto tutti i profili considerati dal Tribunale (c’era la prova del recupero del credito, il che imponeva, secondo l’accordo del 2015, integrato dalla lettera del 12 giugno 2013, di riconoscere i maggiori compensi; sono stati liquidati compensi simbolici; è stata omessa la liquidazione di compensi dovuti in base alla convenzione del 2013, che il Tribunale ha ritenuto di applicare; è stata omessa la liquidazione degli esborsi e delle spese generali; sono state ritenute esaurite attività che invece erano ancora in corso).
Si deduce la violazione di norme di diritto, ordinarie e costituzionali, per avere il Tribunale liquidato somme simboliche, non consone al decoro della professione, non avendo inoltre il Tribunale considerato che il versamento di acconti non esclude il diritto al saldo.
Si deduce la violazione di norme di diritto, ordinarie e costituzionali, perché in relazione alle prestazioni anteriori al 2002 il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la nullità della convenzione in applicazione del principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari.
Si deduce la violazione di norme di diritto perché il Tribunale ha negato il rimborso delle spese generali, avendole ritenute non comprese nella convenzione del 2013, il che tuttavia non giustificava l’ esclusione , in quanto l’accordo del 2015 aveva richiamato le sole tabelle allegate alla convenzione del 2013, rimanendo il resto disciplinato dalle norme comuni;
Si censura la liquidazione dei compensi, in quanto operata dal tribunale senza tenere in debito conto la natura e le questioni trattate, la mole dei documenti prodotti e l’attività difensiva in concreto svolta.
C . ─ Il ricorso incidentale della banca propone i seguenti motivi:
V iolazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost e degli artt. 1175 e 1375 c.c. perché il Tribunale non ha riconosciuto l’ipotesi dell’abusivo frazionamento del credito, pur ricorrendone tutti i presupposti, trattandosi di iniziative giudiziarie plurime, tuttavia, riferite ad un unico rapporto. La giustificazione data dal Tribunale, il quale ha posto l’accento sul fatto che si trattava di prestazioni eseguite in base ad incarichi distinti, è in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che impone di considerare, ai fini del frazionamento, l’unicità del rapporto nel quale i distinti crediti sono inseriti.
Nullità della sentenza per anomalia motivazionale consistente nel contrasto fra affermazioni inconciliabili: la decisione, da un lato, ha riconosciuto che la convenzione del 2013 non era stata accettata dall’avv. COGNOME dall’altro, ha richiamato e condiviso un precedente del medesimo Tribunale nel quale si riconosceva l’emissione di fatture, da parte del professionista, conformi alla convenzione, il che confermava che l’accordo era stato in effetti concluso.
Nullità della sentenza per anomalia motivazionale consistente nel contrasto fra affermazioni inconciliabili. In relazione a una delle pratiche per la difesa in una opposizione a precetto, il provvedimento impugnato, pur riconoscendo che l’attività del legale, successiva al 30 giugno 2014, aveva riguardato solo la fase decisionale, ha poi liquidato il compenso per l’intero giudizio. Ulteriore contrasto si ravvisa poi nella parte in cui, con riferimento al medesimo giudizio, il Tribunale ha detratto una fattura in acconto, mentre la ricostruzione operata con la decisione imponeva di riconoscere la fattura non in acconto ma a saldo.
─ Ricorso principale . 1. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Come rilevato da Cass. n. 9733/2025, pronunziata in controversia fra le stesse parti, «il preteso giudicato esterno è insussistente. In forza della già menzionata convenzione tariffaria, le parti avevano predeterminato il contenuto dei successivi incarichi professionali, ognuno dei quali, pur avendo un comune contenuto economico, era distintamente conferito, venendo a radicarsi in un titolo autonomo (cfr., nel senso che le prestazioni professionali fondate su incarichi distinti, conferiti sulla base di una convenzione tariffaria, si inscrivono nell’ambito di un rapporto unitario in senso fattuale: Cass. 24657/2023; Cass. 24459/2023; Cass. 22094/2023). Questa Corte ha affermato che il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato
estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a suo fondamento, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cass. 25180/2024; Cass. 22465/2018; Cass. 281318/2017; Cass. 18725/2008; Cass. SU 4510/2006; Cass. 6628/2006; Cass. 18725/2007; Cass. 18791/2009; Cass. 11360/2010). L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 1996 rispetto a taluni incarichi di difesa (e che rendeva applicabili le tariffe professionali), non poteva ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili)».
2. ─ Il secondo motivo del ricorso principale è infondato. Il ricorrente, infatti, pretende di elevare a parametro del vizio di extra petizione ‘ l’interpretazione’ di una scrittura negoziale data da una delle parti. Al contrario, secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, tale vizio ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti limiti, la domanda proposta dalla
parte. (Cass. n. 12471/2011). Occorre ancora ricordare che per causa petendi , idonea a identificare la domanda della parte, devono intendersi non le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio bensì l’insieme delle circostanze di fatto poste a base di questa (Cass. n. 9176/1997). In relazione a tali principi nessun vizio di extra petizione inficia l’ordinanza impugnata.
─ Il terzo, il quarto e il quinto motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Dovendosi ricordare il principio consolidato, per il quale, in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22 giugno 2017, n. 15471), poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa. Infatti, la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di omesso esame implica la puntualizzazione dell’obiettivo elemento decisivo trascurato, o, nel vizio di motivazione, la mancanza o la insanabile contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; ma nessuna di tali censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera
contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto tutti i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito -dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr., e multis, Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; ancora, fra le altre, Cass. 20 maggio 2020, n. 9291; Cass. 8 gennaio 2020, n. 121; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644). Pertanto, il ricorso in sede di legittimità, che è riconducibile al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (Cass. 28 gennaio 2021, n. 1859, non mass.; Cass. 24 novembre 2020, n. 26714; Cass. 12 novembre 2020, n. 25624, non mass.; Cass. 9 novembre
2020, n. 25014; Cass. 29 settembre 2020, n. 20527, e molte altre anteriori).
Nella specie, la sentenza impugnata non ha violato né le già menzionate regole ermeneutiche, né principî di diritto. Il Tribunale dopo avere richiamato la finalità dell’accordo dell’aprile 2015, risultante dalla scrittura, e le condizioni essenziali del medesimo, ha posto in luce che nella scrittura le parti avevano operato una chiara distinzione fra l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, per la quale era stato convenuto l’ammontare residuo del compensi spettanti, pari a 836.833,32, sul quale il professionista si impegnava ad effettuare ‘all’atto della fatturazione’ una riduzione del 25%’, e l’attività successiva al 30 giugno 2014. Il Tribunale ha proseguito nella propria analisi, evidenziando che con riferimento a tale attività successiva al 30 giugno 2014 l’avv. COGNOME si impegnava ad applicare le tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti S.p.A., ‘ ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013 ‘ , inclusa quella secondo cui la convenzione avrebbe dovuto applicarsi solo per le pratiche affidata dopo tale data e non a quelle precedenti e ciò anche se le azioni giudiziaria fossero avviate successivamente. Il Tribunale, dopo avere così ricostruito il quadro negoziale, ha ritenuto che, con la distinzione temporale posta nell’accordo, fra attività ante e post 30 giugno 2013, il discrimine temporale proposto dall’avv. COGNOME nella lettera del 12 giugno 2013 fosse stato superato. Quindi, quanto all’attività giudiziale successiva al 30 giugno 2014, l’accordo vincolava l’avv. COGNOME alle tariffe previste nell’ allegato 1 della convenzione del 2013 . Quanto all’attività precedente, il Tribunale ha riconosciuto che il riferimento alle pratiche di cui all’elenco fosse
‘contorto’, mentre ‘è chiara l’intenzione delle parti di liquidare il compenso dovuto per l’attività svolta sino al 30 giugno 2014’ , essendo quindi il compenso onnicomprensivo, in guisa da ‘escludere nel futuro richieste di ulteriori compensi da parte dell’avv. COGNOME per l’attività svolta sino a tale data’. Ha ancora aggiunto che il ‘convincimento del collegio è avvalorato dal fatto che l’accordo non risulta predisposto unilateralmente dalla Banca, essendo redatto su carta dello studio legale dell’avv. COGNOME quest’ultimo era ben al corrente delle pratiche seguite per conto della Banca sino al 30 giugno 2014, aggiornate peraltro al 30 marzo 2015, ed era certamente in grado di valutare l’attività svolta ai fini dell’accordo sulla liquidazione del compenso’.
Rispetto a tale esegesi, non sono stati evidenziati, da parte ricorrente, obiettive carenze o insanabili contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, in quanto il ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile per lui più favorevole: tuttavia, come esposto, per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito -dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra .
4. ─ Il sesto motivo è in fondato. È noto che in applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo novellato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 134 del 2012, è non ha più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o
insufficienza della motivazione: la novella, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; onde la riformulazione della norma suddetta deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., sez. un, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Nel caso in esame, nessuna anomalia motivazionale, nel senso sopra indicato, inficia la sentenza. Il ricorrente, infatti, propone riflessioni logiche, che avrebbero dovuto indurre il Tribunale a decidere diversamente, attenendo pertanto la critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice del merito, cui il ricorrente intende opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però,
nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (fra le tante, Cass. n. 21381 del 2006, Cass. n. 8758 del 2017, Cass., sez. un., n. 34476 del 2019).
5. ─ Il settimo e l’ottavo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Come già chiarito da Cass. n. 9733/2025 cit., l ‘art. 13 -bis, introdotto dall’art. 19 -quaterdecies della legge n. 148/2017 (di conversione del decreto-legge 148/2017 , con effetti dall’1.1.2018 , non ha «valore interpretativo e retroattivo, non era applicabile alle prestazioni effettuate prima dell’1.1.2018, non potendosi sindacare e disapplicare i contenuti economici delle sottostanti convenzioni (Cass. 15407/2024; n. 7354/2025; n. 9733/2025)».
Infine, è palesemente insussistente la violazione dell’art. 112 c.p.c., in presenza di pronunzia esplicita di rigetto della domanda formulata ai sensi dell’art. 2233, comma 2, c.c.
6. ─ Il nono motivo è infondato. Nessuna contraddizione è ravvisabile nella decisione impugnata, le cui conclusioni prese con riguardo alle pratiche oggetto della domanda costituiscono uno sviluppo coerente della interpretazione dell’accordo del 29 aprile 2015. Avendo riconosciuto che l’intera attività svolta dal professionista fino al 30 giugno 2014, trovava la sua retribuzione nella somma pattuita in quell’accordo, il Tribunale ha negato il compenso per le attività anteriori. Ammesso e non concesso che mancasse la prova del versamento, la supposta carenza era irrilevante nell’economia della decisione. Il legale non aveva
richiesto il pagamento di somme comprese in quell’accordo, deducendone il totale o parziale inadempimento, ma aveva preteso un compenso autonomo e del tutto indipendente dalla pattuizione, compenso che il Tribunale ha negato per la ragione sopra indicata.
La decisione è, perciò, esente dalla critica svolta con il motivo.
7. ─ Il decimo motivo è in fondato. Nella lettera del 12 giugno 2013, le modifiche proposte riguardavano il punto 3.4., «eliminando l’inciso in base al quale sarebbero stati applicate le tariffe della Convenzione anche qualora il corrispettivo così determinato fosse risultato inferiore a quelli liquidati dagli Organi giurisdizionali nelle sedi competenti; al punto 3.4. la sostituzione del termine ‘al legale potranno’ col termine ‘al legale dovranno’ essere riconosciuti i maggiori importi recuperati dalla controparte».
Il Tribunale, nell’esame delle singole posizioni, ha riconosciuto che la pretesa del professionista alla liquidazione di maggiori compensi non fosse solo legata alla liquidazione maggiore operata dall’autorità giudiziaria, ma all’effettiva riscossione dal soccombete di quanto liquidato.
Così identificato il significato della pronunzia impugnata è chiaro che la censura ora in esame pone una questione interpretativa. In questo senso, le doglianze del ricorrente si sostanziano nel prospettare una valutazione alternativa degli stessi elementi esaminati dal giudice di merito, che si è rettamente avvalso, innanzitutto, del criterio della interpretazione letterale complessiva della clausola in esame, pervenendo con motivazione congrua e coerente ad una conclusione che appare plausibile. Invero, la tesi, sposata dal Tribunale, secondo cui il riconoscimento dei maggiori compensi liquidati dall’autorità giudiziaria non dipendeva dalla mera esistenza di una liquidazione maggiore rispetto a quella
prevista dalla convenzione, ma dall’effettiva riscossione dell’importo maggiore da parte della Banca cliente, appare tutt’altro che impossibile, o implausibile, in rapporto all’evidente coordinamento ravvisabile fra due previsioni: intanto il legale avrebbe potuto pretendere maggiori compensi in quanto il vantaggio della Banca, derivante dalla maggiore liquidazione, non fosse rimasto sulla ‘carta’, ma fosse stato effettivamente conseguito.
8. ─ L’undicesimo motivo e il dodicesimo sono inammissibili. Si deducono come autonome violazioni quelle che sono implicazioni della interpretazione recepita dal Tribunale, infondatamente censurata con i motivi precedenti; e anche laddove i motivi investono profili autonomi, sono denunziati in modo indistinto violazioni di norme eterogenee, sostanziali e processuali, contravvenendo al principio per cui «l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse» (Cass. 26790/2018); inoltre, è poi palese il tentativo, con riguardo all’avvenuto recupero del credito da parte della Banca, di ripetere il giudizio di fatto.
9. ─ Il tredicesimo motivo è inammissibile, in quanto si palesa non coerente con la ratio decidendi della sentenza impugnata. In relazione alle attività anteriori alla modifica dell’art. 2233 c.c. e del
decreto-legge n. 1 del 2012, il tribunale non ha applicato alcuna convenzione, ma ha solo riconosciuto che le parti avessero raggiunto un accordo in ordine alla misura del compenso dovuto con la scrittura dell’aprile 2015. Tale scrittura appare l’esito di un accordo fra le parti, con il quale non si imponeva al professionista alcuna rinunzia a diritti già maturati in forza della disciplina precedente.
10. ─ Il quattordicesimo motivo è fondato. L’ordinanza impugnata, ha negato il rimborso spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato COGNOME perché non previsto nella convenzione del 2013. In questi termini, però, il Tribunale non ha considerato che, sulla base della ricostruzione operata con l’ordinanza, i rapporti fra le parti non erano regolati dalla convenzione del 2013, ma dall’accordo liquidatorio del 29.4.2015, che richiamava solo le ‘tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 , ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013’. Dal momento che quando è stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, posto a base delle prestazioni liquidate, era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, spetta al professionista il rimborso delle spese generali del 15%, che è dovuto, ex art. 2 del citato D.M., anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.
11. ─ Infine, è inammissibile il quindicesimo motivo, in quanto del tutto generico e concernente di decisioni rimesse al giudice del merito.
E ─ Ricorso incidentale . 1. ─Il primo morivo del ricorso incidentale è infondato. Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento
(Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, pur se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/2019). È, perciò, ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023). In rapporto a tali principi, la decisione del Collegio di merito, avuto riguardo a pacifici dati oggettivi riscontrabili nella fattispecie (più pratiche accorpate nei singoli ricorsi e tenuto conto del numero complessivo delle pratiche), è esente dalle censure mosse con il motivo in esame.
2. ─ Il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale sono inammissibili. È stato già sopra chiarito che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., sez. un, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Nel caso in esame, nessuna anomalia motivazionale, nel senso sopra indicato, inficia l ‘ordinanza . Il ricorrente, infatti, propone riflessioni logiche, che avrebbero dovuto indurre il Tribunale a decidere diversamente, attenendo pertanto la critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice del merito.
In tema di ricorso per cassazione per vizi della motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass. n. 16526/2016).
F ─ In conclusione deve essere accolto il quattordicesimo motivo del ricorso principale, rigettati i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale. L’ordinanza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al Tribunale di Milano in diversa composizione, cui si demanda la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quattordicesimo motivo del ricorso principale; rigetta i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto e rinvia la causa innanzi al Tribunale di Milano, in
diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda