Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23737 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23737 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2024
Oggetto: compenso professionale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38065/2019 R.G. proposto da COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentat o e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, alla INDIRIZZO.
-RICORRENTE –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso l ‘ordinanza del Tribunale di Roma, pubblicata in data 6.11.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2.7.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ordinanza del 6.11.2019, il Tribunale di Roma ha liquidato in favore dell’AVV_NOTAIO €. 19.899,00 quale comp enso per la difesa della RAGIONE_SOCIALE nel contenzioso diretto ad ottenere la risoluzione di un contratto di vendita immobiliare nei confronti
dell ‘ RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, conclusosi con il rigetto della domanda.
Il giudice di merito ha liquidato le spettanze in conformità di un accordo, concluso nel 2011, e quindi in applicazione dei parametri minimi ex D.M. 140/2012 maggiorati fino al doppio, per le cause di valore superiore ad € 1.500.000,00 , respingendo la richiesta di un autonomo compenso per la redazione di una diffida ad adempiere inoltrata in corso di causa, per la richiesta di emissione di un provvedimento ex art. 186 ter c.p.c. e per un giudizio cautelare e la successiva fase di reclamo.
Per la cassazione dell’ordinanza l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso di due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
Sono infondate le eccezioni di inammissibilità dell’impugnazione per violazione dell’art. 366 c.p.c.: il ricorso contiene una compiuta esposizione dei fatti controversi e delle vicende processuali oltre che delle doglianze in diritto, con esaustivo richiamo alle risultanze processuali utili per la decisione.
Non può ritenersi cessata la materia del contendere per effetto della definizione, con esito negativo, della causa in cui era stato svolto il patrocinio, non essendo venuto meno l’interesse del ricorrente ad ottenere la cassazione della pronuncia.
Il primo motivo denuncia la violazione degli art. 1362, 1374, 2233 c.c. e del D.M. 140/2012 affermando che, non avendo le parti stabilito il compenso anche per l’ipotesi di cessazion e anticipata del mandato, non erano applicabili i parametri minimi concordati, occorrendo quantificare il dovuto in base all’importanza della lite e alla complessità delle questioni e riconoscere la maggiorazione per la difesa verso più parti. Si assume che, poiché l’accordo sulle spettanze era stato concluso nel 2011, le parti avevano inteso far riferimento alle tariffe di cui al D.M. 127/2004 , all’epoca in vigore, e non ai parametri fissati con D.M. 140/2012.
Il motivo è infondato.
L’accordo sul compenso era applicabile benché nulla disponesse per l’ipotesi di revoca del mandato.
L’art. 2233 cod. civ., nel disciplinare la liquidazione del corrispettivo dovuto al professionista per l’opera prestata in favore del cliente, stabilisce una precisa gerarchia tra le relative fonti, attribuendo rilevanza prioritaria alle pattuizioni intervenute tra le parti e in via subordinata, alle tariffe ed agli usi, rimettendone al giudice la determinazione soltanto in mancanza di accordo (Cass.14293/2018; Cass. 29837/2011; Cass. 21235/RAGIONE_SOCIALE).
Questa Corte ha da tempo chiarito che nello svolgimento di attività professionali relative ad affari diversi nell’interesse del cliente, il professionista, ove il cliente revochi il mandato, ha diritto al compenso non solo in relazione agli affari esauriti ma anche in relazione al lavoro svolto in ordine agli affari non compiuti e che vanno osservate le convenzioni, che ne stabiliscano la determinabilità, per gli affari condotti a termine nel momento del recesso.
Per gli affari ancora in corso e non esauriti, ove i patti relativi al compenso non siano specifici e non prevedano ogni singola attività del professionista, vanno seguiti criteri sussidiari indicati dall’art 2333 c.c. (Cass. 1847/1964; Cass. 1448/1971).
Non può ritenersi -né lo sostiene il ricorrente – che il riferimento ai valori tariffari minimi potesse intendersi come adozione di un criterio di remunerazione globale, ossia previsto per l’intera prestazione unitariamente considerata, anziché per le singole attività (prestazione per prestazione); solo nel primo caso, presupponendo l’accordo l’avvenuto esaurimento della pratica e valorizzando il risultato finale, in caso di recesso risulta impossibile applicare alle attività svolte in vista dello stesso i criteri consensualmente determinati, con la conseguente necessità di fare ricorso alle tariffe professionali o, in via gradata, alla liquidazione equitativa da parte del giudice (Cass. 41682/2021).
D’altronde , dal contenuto dell’accordo trascritto in ricorso non emergono indicazioni, nemmeno sotto il profilo letterale, utili per ritenere che i valori minimi fossero destinati a valere solo in caso di esito negativo della lite e non ad es. in caso di rinuncia, recesso, transazione etc., non richiedendosi necessariamente, per la sua applicabilità, la conclusione della controversia.
Quanto alla violazione dei criteri di interpretazione negoziale, la censura, nel porre l’accento sulla data di conclusione dell’accordo sui compensi, si limita ad ipotizzare che i contraenti avessero voluto riferirsi ai minimi previsti dal regime tariffario in vigore alla data dell’accordo stesso, senza indicare in quale modo il ragionamento del giudice , nell’individuare la volontà delle parti, si sia discostato dai criteri ermeneutici legali (letterale, del comportamento anteriore e successivo al contratto, dell’interpretazione complessiva delle clausole, etc. etc.), non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benché genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso e semplicemente più plausibile di quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. 16987/2018; Cass. 28319/2017; Cass. 25728/ 2013).
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1, comma terzo, 7, 11, comma quinto, del DM 140/2012, per non aver il tribunale liquidato un compenso autonomo per la difesa nel procedimento ex art. 700 c.p.c., per la diffida ad adempiere inviata in pendenza di giudizio e con riferimento alla richiesta di provvedimento ex art. 186 ter c.p.c..
Il motivo è parzialmente fondato.
Avendo accertato che le parti avevano concordato l’applicazion e dei parametri minimi del D.M. 140/2012, il giudice di merito era tenuto a dare piena esecuzione all’accordo e quantificare il compenso non solo in base ai valori fissati dal decreto stesso, ma anche in applicazione degli altri criteri di liquidazione, essendo gli uni e gli altri
inscindibilmente connessi, dovendo perciò riconoscere un autonomo compenso per il procedimento ex art. 700 c.p.c. e la fase di reclamo, posto che l’ art. 7 del D.M. 140/2012 prevede che, fermo quanto specificatamente disposto dalla tabella A – Avvocati, nei procedimenti cautelari, speciali ovvero non contenziosi anche quando in camera di consiglio o davanti al giudice tutelare, il compenso viene liquidato per analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti, ferme le regole e i criteri generali di cui agli articoli 1 e 11 del decreto prevede escluso.
Legittimamente la pronuncia ha invece respinto la domanda per la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., inoltrata in corso di giudizio e strettamente collegata e strumentale alla domanda di risoluzione introdotta all’udienza del 22.2.20122 ai sensi dell’art. 1, comma terzo, D.M. 140/2012 (cfr. ricorso, pag. 5), e della domanda di provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186 ter c.p.c., occorrendo procedere, in virtù dell’accordo ex 2233 c.c. e alle regole vigenti alla data del recesso, secondo il criterio di liquidazione per fasi e non per singole attività.
E’ pertanto accolto il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, con rigetto del primo. L’ordinanza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa al Tribunale di Roma, in