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Compenso professionale avvocato: la prova del mandato

La Corte d’Appello di Lecce ha chiarito che il pagamento di acconti da parte di un cliente costituisce una prova implicita del conferimento del mandato difensivo, rendendo infondata la successiva contestazione. In una causa per il recupero di un compenso professionale avvocato, il giudice ha condannato il cliente al pagamento delle somme dovute, calcolate secondo i parametri forensi, oltre al rimborso delle spese legali del nuovo giudizio.

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Compenso Professionale Avvocato: Quando il Pagamento Parziale Conferma il Mandato

Il rapporto tra avvocato e cliente si fonda sulla fiducia e su un chiaro accordo, formalizzato dal mandato difensivo. Ma cosa accade se un cliente, dopo aver usufruito delle prestazioni legali, si rifiuta di saldare il compenso professionale avvocato, sostenendo di non aver mai conferito l’incarico? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Lecce, Sezione Lavoro, offre importanti chiarimenti, stabilendo che il pagamento di acconti smentisce la contestazione del mandato.

Il caso: mancato pagamento del compenso professionale

La vicenda trae origine dalla richiesta di pagamento avanzata da un legale nei confronti di un suo ex cliente. L’avvocato aveva difeso il cliente in una controversia presso la Sezione Lavoro della Corte d’Appello, ma non aveva ricevuto il saldo delle proprie competenze. Di fronte al mancato pagamento, il legale avviava un’azione giudiziaria per ottenere la somma dovuta, quantificata in circa 3.000 euro.

La tesi del cliente: nessun mandato e pagamento già effettuato

Il cliente, costituitosi in giudizio, si difendeva con una duplice argomentazione. In primo luogo, negava di aver mai conferito un mandato specifico per quella causa. In secondo luogo, sosteneva di aver comunque già versato una somma di oltre 1.000 euro, ritenendola sufficiente a coprire le prestazioni ricevute.

La difesa dell’avvocato: prova del mandato e pagamenti per altre prestazioni

Il legale ricorrente ha smontato la tesi del cliente producendo in giudizio le prove documentali. Da un lato, ha dimostrato l’esistenza del mandato difensivo, regolarmente conferito in data 1 agosto 2022. Dall’altro, ha provato che i pagamenti ricevuti dal cliente (un bonifico da 875,47 euro e uno da 150 euro) non erano relativi alla causa in questione, ma si riferivano ad altre attività professionali svolte precedentemente, come documentato da un acconto pro forma e dalla causale di uno dei versamenti.

La decisione della Corte sul compenso professionale avvocato

La Corte d’Appello ha accolto integralmente la domanda del legale, ritenendo l’affermazione del cliente, circa l’assenza di mandato, palesemente contraddittoria rispetto alla sua stessa eccezione di avvenuto pagamento. Se si paga, anche solo in parte, per una prestazione, si riconosce implicitamente di averla richiesta.

La prova del mandato e la liquidazione del compenso

I giudici hanno stabilito che il legale aveva fornito piena prova del suo diritto di credito, dimostrando sia il conferimento dell’incarico sia lo svolgimento dell’attività professionale (fasi di studio, introduttiva e di trattazione). L’attività si era interrotta prima della fase decisoria a causa di una rinuncia al mandato, ma ciò non esimeva il cliente dal pagare per il lavoro svolto fino a quel momento.

Per determinare il giusto compenso professionale avvocato, la Corte ha fatto riferimento ai parametri stabiliti dal D.M. 55/2014. Tenendo conto del valore della causa e del fatto che non si era giunti alla fase decisoria, ha liquidato un importo complessivo di 1.950 euro, oltre accessori di legge (IVA, CAP e spese forfetarie al 15%).

Le motivazioni

La decisione si fonda su un principio logico e giuridico chiaro: il comportamento concludente del cliente, che effettua dei pagamenti, prevale sulla successiva negazione verbale del rapporto professionale. La Corte ha ritenuto l’istruttoria puramente documentale, poiché le prove fornite dal legale erano sufficienti a smentire le affermazioni del resistente. L’analisi dei documenti contabili (disposizione di bonifico con riferimento a una fattura pro forma specifica) ha permesso di accertare che i versamenti effettuati dal cliente erano stati correttamente imputati ad altre prestazioni, confermando l’inadempimento per la causa oggetto del contendere. La liquidazione del compenso è avvenuta in via equitativa, applicando i parametri ministeriali in modo proporzionale all’attività effettivamente svolta, escludendo la fase non completata.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: non si può negare un incarico professionale dopo aver effettuato pagamenti riconducibili a quel rapporto. In base al principio della soccombenza, il cliente è stato inoltre condannato a rimborsare al legale le spese sostenute per il giudizio di recupero del credito, liquidate in 1.458 euro oltre accessori. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza della trasparenza e della correttezza nei rapporti professionali, tutelando il diritto dell’avvocato a veder retribuito il proprio lavoro.

Se un cliente paga un acconto, può ancora sostenere di non aver mai dato l’incarico all’avvocato?
No. Secondo la sentenza, il pagamento, anche parziale, dei compensi costituisce un comportamento che contraddice e smentisce l’affermazione di non aver mai conferito il mandato difensivo.

Come viene calcolato il compenso di un avvocato se il giudizio si interrompe prima della fase finale?
Il compenso viene calcolato tenendo conto dell’attività effettivamente svolta. La Corte ha applicato i parametri del D.M. 55/2014, considerando le fasi completate (studio, introduttiva, trattazione) ed escludendo quella non svolta (decisionale), liquidando un importo proporzionato.

Chi paga le spese legali in una causa per il recupero di un compenso professionale?
Le spese legali seguono il principio della soccombenza. La parte che perde la causa (in questo caso, il cliente che non ha pagato) è condannata a rimborsare alla parte vincitrice (l’avvocato) le spese sostenute per il giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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