Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22610 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22610 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27243/2021 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo e dall’Avv. COGNOME
ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente incidentale- avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 40085/2018 depositata il 20/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’avv. NOME COGNOME ottenne, a seguito di ricorso al Tribunale di Milano, il decreto ingiuntivo n. 16147/18 del 2/7/18 relativamente ad un credito ammontante ad € 45.417,28, maturato per la prestazione professionale svolta in favore della Banca di Credito Cooperativo di Milano, in riferimento ad undici posizioni curate dal medesimo sulla scorta di un contratto di assistenza professionale, rinnovabile annualmente, sottoscritto in data 16/12/1996 dal professionista e dall’allora RAGIONE_SOCIALE di Sesto San RAGIONE_SOCIALE
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. la banca propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo asserendo che: tra le parti era intervenuta, in data 11/04/2013, una convenzione operativa e tariffaria sostitutiva dei precedenti accordi ed applicabile a tutti gli incarichi in corso; con successivo atto del 29/04/2015 le parti avevano concordato il pagamento di quanto residuato per l’attività professionale svolta dal Galvagno sino al 30/06/2014, con riduzione del 25% sul compenso preteso; il ricorrente aveva illegittimamente operato un frazionamento del credito, peraltro, errando nella quantificazione perché effettuata in violazione degli accordi intervenuti che prevedevano la non applicazione delle tariffe forensi e, comunque, l’applicazione non oltre i parametri minimi.
La Banca chiese revocarsi il decreto ingiuntivo opposto; in subordine riconoscersi la compensazione tra l’eventuale debito della Banca ed il credito da essa vantato nei confronti dell’avvocato pari a € 23.543,76 ovvero, in ulteriore subordine, rideterminarsi il compenso sulla base della convenzione sottoscritta l’11/04/2013 o, quanto meno, sulla base dei decreti ministeriali in vigore all’epoca della conclusione dell’attività forense svolta.
1.1.Si costituì in giudizio l’Avv. COGNOME asserendo che si era formato il giudicato sostanziale sulla scorta di altro decreto ingiuntivo non opposto avente gli stessi presupposti sostanziali di quelli invocati nella presente causa, ovvero la validità ed efficacia di un contratto risalente ai primi anni novanta; che l’opposizione era tardiva; che andavano liquidati i suoi compensi sulla base dell’accordo stipulato nel 1994, modificato nel 1996, tacitamente rinnovato annualmente e che il successivo contratto del 29/04/2015 regolava altre posizioni e non quelle oggetto di causa; che la contestazione del frazionamento del credito era infondata vista la gran mole di posizioni sulle quali aveva svolto l’attività, asseritamente par a 350 e, pertanto, sarebbe stato gravoso anzi impossibile accorparle in un unico ricorso per decreto ingiuntivo; che la contestazione degli interessi di mora era infondata.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Milano, con ordinanza collegiale del 07/07/2021, accolse parzialmente l’opposizione dell’istituto di credito e, per l’effetto, revocò il decreto ingiuntivo; condannò l’opponente a pagare all’Avv. COGNOME la somma di € 9.705,00, maggiorata degli interessi legali dalla domanda al saldo oltre al rimborso spese forfettario, CPA e IVA; condannò l’opponente a rifondere all’opposto un quarto delle spese di lite, compensando i restanti tre quarti, in riferimento sia alla fase di opposizione sia alle spese già liquidate nel decreto ingiuntivo.
2.1.Per quel che rileva in questa sede, il Tribunale rigettò l’eccezione di inammissibilit à della domanda per frazionamento del credito, evidenziando che i crediti azionati derivavano da distinti incarichi professionali e che la trattazione unitaria della notevole quantità di procedimenti avrebbe richiesto l’esame di una copiosa
mole di produzione documentale, con conseguente notevole aggravio dell’attività del giudice.
Quanto alla validità della convenzione, affermò che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avv. COGNOME non si era realizzato alcun mutuo consenso in riferimento ad un nuovo contenuto testuale del contratto di cui alla proposta modificativa dell’avvocato con la lettera del giugno 2013, e, a conferma di ciò , era intervenuto il recesso dalla convenzione del 1996.
Secondo la ricostruzione del Tribunale, l’Avv. COGNOME sebbene non avesse sottoscritto la convenzione del 12.6.13, aveva concluso, in data 29.5.2015, un accordo di liquidazione dei compensi con la BBC Gestione Crediti, mandataria della Banca di Credito Cooperativo, che richiamava le tariffe della convenzione del 12.6.13, con le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013 inviata dall’Avv. COGNOME alla BCC Gestione Crediti.
Secondo il Tribunale, per le attività svolte fino al 30.6.2014, la somma concordata nell’accordo si riferiva a tutti gli incarichi svolti fino al 30.6.2014 mentre, per le attività svolte successivamente, si applicavano i compensi dell’Allegato 1 della Convenzione dell’11.4.2013, con le modifiche ed integrazioni del 12.6.2013.
Il Tribunale rigettò la domanda subordinata di nullità dell’accordo per violazione dell’art.13 bis della Legge n.247 del 2012, poiché detta normativa era entrata in vigore il 6.12.2017, dopo la rinuncia al mandato da parte dell’Avv. COGNOME avvenuta in data 16.11.2017, e rigettò conseguentemente anche la domanda subordinata di rideterminazione del compenso ex 2233, comma 2, c.c.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quindici motivi.
3.1.La Banca di Credito Cooperativo di Milano ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale articolato in sei motivi, cui l’avvocato ha replicato con controricorso.
3.2.Fissata l’adunanza in camera di consiglio le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.E’ opportuno evidenziare che tra le medesime parti pendevano innanzi a questa Corte numerosi giudizi aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale e le stesse questioni di diritto oggi riproposte.
Reputa il collegio di dare seguito ai principi di diritto già enunciati nei numerosi precedenti, tra cui si richiamano Cass. n. 7354/2025, Cass. n. 7355/2025, Cass n. 9733/2025, Cass. n. 9735/2025, Cass. n. 12905/2025.
1.1.Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata da NOME COGNOME nella memoria ex art. 378 c.p.c. in riferimento all’asserito vizio di costituzione del giudice, ex art. 276 c.p.c., per essersi svolto il giudizio di opposizione, introdotto secondo il rito semplificato di cui all’art. 14 del D. Lgs. n.150/2011, davanti al giudice relatore, che avrebbe riservato la decisione, autorizzando il deposito della memorie di replica, mentre il procedimento ex art.14 del D. Lgs n.150 del 2011 avrebbe dovuto essere trattato e deciso innanzi al Tribunale in composizione collegiale, a pena di nullità.
L’eccezione non merita accoglimento.
Il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. – derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c. correlato alla previsione speciale di collegialità dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, ratione temporis applicabile, determina una nullità insanabile (Cass. 6.6.2016 n.11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c.,
può essere fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso in esame, il vizio di costituzione del giudice non è stato censurato né col ricorso principale, né con quello incidentale, ma con memoria ex art. 378 c.p.c., sicché non può essere rilevato d’ufficio (Cass. n. 12905 del 2025).
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 641, 645, e 702 bis c.p.c. artt. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794 e artt. 3, 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, per non avere il Tribunale accolto l’eccezione di inammissibilità per tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla banca. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia valutato che il credito da lui vantato fosse relativo sia all’attività giudiziale che stragiudiziale, e, pertanto, la banca avrebbe dovuto proporre il giudizio con citazione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e non con ricorso, peraltro, notificato il 08/11/2018, quindi ben oltre il termine di quaranta giorni, ex art. 641 c.p.c., dalla notifica dell’ingiunzione avvenuta il 13/07/2018.
2.1 Il motivo è infondato.
Nel caso di specie (Cass. n. 7354/2025; Cass. 12905 del 2025), il Tribunale ha ritenuto il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento del compenso dell’avvocato NOME COGNOME sia per attività giudiziali civili che stragiudiziali connesse, svolte a favore della Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni.
Pertanto, la banca non ha introdotto il giudizio con citazione ai sensi dell’art. 645 c.p.c., ma con ricorso ex art. 702 bis c.p.c, essendo le attività stragiudiziali connesse a quelle giudiziali.
Questa Corte ha già ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 645 c.p.c. proposta con ricorso quando, come nel caso in esame, l’opponente abbia richiamato l’art. 702 bis c.p.c. e, dunque, le regole del processo sommario disciplinato dal codice di rito (Cass. 34501/2022; Cass. 25543/2023).
Di conseguenza la banca ben poteva avvalersi del deposito del ricorso entro quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, anziché dell’atto di citazione notificato nello stesso termine ai fini dell’opposizione.
L’opposizione era, quindi, tempestiva.
In ogni caso, come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (SSUU 12.1.2022 n. 758; nello stesso senso Cass. n. 5659/2022), nei procedimenti «semplificati» disciplinati dal D.Lgs. n. 150/2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione.
Pertanto, nel caso di specie, quand’anche il decreto ingiuntivo fosse stato chiesto dall’avvocato anche per il pagamento di compensi per attività stragiudiziali svincolate dall’attività giudiziale civile, una volta scelto dall’opponente, anche se erroneamente, il rito sommario di cognizione semplificato ex artt. 702 bis c.p.c. e 14 del D. Lgs. n. 150/2011 (previsto per le sole attività giudiziali civili e stragiudiziali connesse o complementari), con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo al Tribunale di Milano in composizione collegiale mediante ricorso con richiamo dell’art. 702 bis c.p.c., la tempestività di quest’ultimo non poteva che essere valutata facendo riferimento alla data del suo deposito secondo le regole del rito scelto, e non a quella della notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, data l’irretroattività degli effetti del mutamento di rito eventualmente disposto ed anche a prescindere da tale mutamento.
Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 132 e 134 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per non avere il Tribunale accolto l’eccezione di giudicato sostanziale formatosi in riferimento ad un precedente decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza non validamente opposto, per identità di petitum e della causa petendi .
Con il terzo motivo si censura il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 2909 c.c. poiché il Tribunale di Milano, distinguendo tra attività svolta prima e dopo il 30/06/2014, ha stabilito che la prima fosse già stata remunerata e la seconda andasse liquidata sulla base della convenzione del 2015. Diversamente, il Tribunale di Monza, con le pronunzie nei giudizi R.G.N. 10309/18, 8114/18, 7282/18 e 1574/18,
asseritamente passate in giudicato, aveva liquidato il compenso per attività svolte ante giugno 2014 perché non regolate dall’accordo del 2015.
I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Il preteso giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti sul decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/2018, è insussistente.
L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 1996 rispetto a taluni incarichi di difesa (e che rendeva applicabili le tariffe professionali), non può ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. n. 7354/2025; Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili).
Il Tribunale ha accertato che il presente giudizio ha ad oggetto il pagamento di compensi per incarichi professionali differenti e autonomamente conferiti, rispetto a quelli oggetto dell’asserito giudicato, anche se in forza della medesima regolazione tariffaria convenzionale reiterata negli anni fino al raggiungimento dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015. Pertanto, le cause, connotate da diversità sia di petitum che di causa petendi, non sono coperte da giudicato.
L’ordinanza impugnata ha poi sottolineato che, nel ricorso che aveva portato all’emissione del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza tardivamente opposto, non era stata fatta menzione della
convenzione che, secondo la prospettazione della banca, sarebbe stata conclusa l’11.4.2013, né all’accordo effettivamente raggiunto il 29.4.2015, per cui non si era formato alcun giudicato implicito in ordine alla vigenza o meno di quegli accordi per gli incarichi oggetto della presente controversia, evidentemente invocabile, per il principio che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, solo per i distinti incarichi di cui al ricorso monitorio accolto dal Tribunale di Monza.
Nell’atto di opposizione la banca aveva richiamato la convenzione asseritamente conclusa dalle parti l’11.4.2013 e l’accordo del 29.4.2015, ma tale opposizione è stata ritenuta inammissibile con una pronuncia in rito, sicché non si è formato in quella sede alcun giudicato sull’applicabilità di detti accordi.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., nonché la nullità della ordinanza ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per essersi, il Tribunale di Milano, pronunziato ultra ed extrapetita avendo affermato che l’accordo del 29/04/15 fosse omnicomprensivo di tutte le posizioni affidate all’avv. COGNOME oltre a quelle riconducibili ad un elenco del 30/3/2015 allegato all’accordo del 2015, ritenuto quello effettivamente in vigore tra le parti. Così facendo, lamenta, il Tribunale avrebbe escluso 291 posizioni, nonostante queste fossero documentate e mai contestate.
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. Il vizio di ultrapetizione è configurabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 702 del 04/03/1968, Rv. 331920; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16608 del 11/06/2021, Rv. 661686).
Non integra, quindi, vizio di ultrapetizione la libera valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime, che sia condotta dal giudice di merito nei limiti della questione che è stata sottoposta alla sua cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15734 del 17/05/2022, Rv. 665101).
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 fosse omnicomprensivo e comprendesse i compensi svolti per l’attività compiuta dal legale fino al 30.6.2014 mentre i compensi per l’attività successiva si sarebbero dovuti liquidare secondo la tabella allegata alla convenzione dell’11.4.2013, come modificata ed integrata dalla lettera del professionista del 12.6.2013. Ciò non in virtù di una sottoscrizione formale della convenzione, ma perché l’accordo del 29.4.2015 la richiamava per disciplinare le attività svolte dopo il 30.6.2014.
La decisione del Tribunale, che ha valutato ed interpretato i contratti conclusi tra le parti ed il corredo probatorio in atti, si sottrae, pertanto, al vizio di extrapetizione.
7. Il quinto motivo censura l’ordinanza del Tribunale per violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., delle norme sull’interpretazione dei contratti di cui gli artt. 1362 e segg. c.c. e degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. relativi all’obbligo di motivazione, stigmatizzando che l’accordo del 29/04/2015 si riferiva soltanto ad alcune posizioni, asseritamente 96, e non alle ulteriori 291 affidate all’avvocato erroneamente ritenute dal Tribunale rientranti nell’accordo de quo , ancorché non menzionate nell’allegato elenco. Peraltro, il ricorrente lamenta l’erronea esclusione di specifiche condizioni poste dal professionista nella lettera del 12/06/2013, poi richiamata dal menzionato accordo. Il
Tribunale avrebbe erroneamente interpretato, in spregio al dato letterale, la convenzione stipulata dalle parti, ritenendola addirittura ‘superata’ senza motivare il punto, ovvero esaminare la copiosa documentazione versata.
Il sesto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 1362 e segg. c.c. ed all’art. 115 c.p.c. nella parte in cui il Tribunale ha attribuito alla convenzione del 29/04/15 efficacia retroattiva, in contrasto con il materiale probatorio costituito dallo scambio di varie missive nel periodo giugno 2013.
Con il settimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale ha attribuito alla convenzione del 2015 efficacia retroattiva in contrasto con le dichiarazioni confessorie avversarie.
Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto di escludere la deroga contenuta nella convenzione, che specificamente prevedeva l’esclusione dell’applicabilità della convenzione stessa alle pratiche affidate in epoca precedente alla stipula.
I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
E’ consolidato il principio secondo cui, in tema di interpretazione e qualificazione dei contratti, l’accertamento della volontà in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per
attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 e ss. cod. civ.; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. ord. 31.12.2024 n.35277; Cass. n. 18214/2024; Cass. n. 99461/2021; Cass. 27136/2017; Cass. 16254/2012; Cass. 24539/2009).
Il sindacato di legittimità non può vertere sul risultato interpretativo in sé, afferendo esso alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (tra le altre, Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465).
La Corte di cassazione non può intervenire per sostituire un’interpretazione plausibile con un’altra altrettanto plausibile (Cass. ord. 27.9.2024 n. 25836; Cass. 10.5.2018 n. 11254; Cass. 28.11.2017 n. 28319; Cass. 15.11.2017 n. 27136), come è certamente l’interpretazione fornita dal Tribunale di Milano.
Il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, ha interpretato l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 secondo il suo tenore letterale e valorizzando il comportamento tenuto dalle parti prima della sottoscrizione, ritenendo contraria a buona fede l’interpretazione proposta dall’avvocato COGNOME volta a limitarne l’applicabilità alle sole pratiche elencate nell’allegato.
Più specificatamente, per le attività svolte dall’avv. COGNOME in data anteriore al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha privilegiato il dato testuale del riferimento a tutte le attività prestate dal
professionista per la B.RAGIONE_SOCIALE. anche se per errore non riportate nell’elenco degli incarichi allegato, in quanto le parti hanno usato le parole ‘salvo errori o omissioni’, in relazione all’importo di € 599.828,22 (da ridurre in sede di fatturazione del 25%), intendendolo vincolante ed omnicomprensivo, non essendo stata formalizzata alcuna riserva per attività anteriori al 30.6.2014 non ricollegate ad incarichi ricompresi nell’elenco.
La Corte di merito, ricomprendendo nell’importo di €599.828,22 tutte le attività poste in essere dall’avv. COGNOME per la BCC prima del 30.6.2014, indipendentemente dal loro collegamento con gli incarichi elencati, ha valorizzato la circostanza che l’accordo liquidatorio non era stato predisposto unilateralmente dalla banca.
Quanto alla deroga del punto 5.2 alla convenzione dell’11.4.2013, prevista nella lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013 (quella che prevedeva l’applicazione della convenzione solo alle pratiche nuove), l’ordinanza impugnata ha chiarito che non si era formato alcun vincolo contrattuale nel 2013, poiché la controproposta ivi contenuta non era stata mai accettata dal Direttore Generale della BCC, come si evince dalla lettera a sua firma del 18.6.2013.
Inoltre, tale clausola è risultata superata, per incompatibilità, dalla disciplina dettata nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015 (Cass. n. 12905 del 2025).
L’interpretazione data dal Tribunale di Milano è quindi plausibile e conforme ai canoni ermeneutici degli articoli 1362 e 1366 cod. civ.
12. Il nono motivo denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., e l’omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., agli artt. 1364, 1372 e 1374 c.c., nonché agli artt. 24, 35 e 36 Cost. ed agli artt. 2697 e 112 e 115 c.p.c. e al D.L. n. 1/2012 e art. 24 della L.
794/1942, per non avere il Tribunale dichiarato la nullità delle pretese convenzioni in applicazione del principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari, per come vigente all’epoca in cui tutte le prestazioni erano state compiute, cioè nel 2009 e 2010.
12.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto il ricorrente non illustra la difformità rispetto ai minimi previsti dalla tabella forense del D.M. n. 55/2014.
Va, inoltre, ricordato che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 è stato liberamente pattuito dalle parti e non è quindi modificabile dal giudice per adeguarlo al decoro professionale, in quanto le tariffe forensi sono stabilite a tutela dell’interesse del decoro e della dignità della categoria professionale e non dell’interesse generale della collettività (Cass. n.14293/2018; Cass. n. 1900/2017; Cass. n. 21235/2013; Cass. 22.11.1995 n. 12095).
Con il decimo motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., del D.M. n. 55/14 e del D.M. n. 127/04, dell’art. 13 bis della legge professionale forense, come introdotto dal D.L. n. 148/2017 (c.d. ‘equo compenso’), nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost.
14. Con l’undicesimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c., per aver il Tribunale deciso di non applicare la legge sull’equo compenso per intervenuto esaurimento del rapporto avvocato/banca a causa della rinuncia al mandato avvenuta il 16/11/2017, cioè prima dell’entrata in vigore della legge; viceversa, il ricorrente sostiene che l’attività difensiva, ancorché conclusa, non fosse stata remunerata per intero ma solo con anticipazioni e che ad essa si applicasse la disciplina sull’equo compenso.
15. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
L’art. 13-bis non è compreso tra le disposizioni adottate con il decreto-legge, ma è stato introdotto dall’art. 19-quaterdecies della legge di conversione n. 148/2017, con effetti dall’1.1.2018. Di conseguenza, non avendo la norma valore interpretativo e retroattivo, non era applicabile alle prestazioni effettuate prima dell’1.1.2018, non potendosi sindacare e disapplicare i contenuti economici delle sottostanti convenzioni (Cass. n. 7355/2025; Cass. n. 7354/2025; Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020).
Nella specie, quelle dell’accordo liquidatorio del 2015 nella parte in cui richiamava le tariffe della convenzione dell’11.4.2013.
Ne deriva che correttamente l’impugnata ordinanza, alle pagine 15 e seguenti, ha escluso l’applicabilità ai rapporti professionali di causa dell’art. 13 bis della L.P.F., essendo intervenuta la rinuncia agli incarichi professionali dell’avvocato NOME COGNOME in data 16.11.2017, e quindi in data anteriore all’1.1.2018. A ciò va aggiunto che, trattandosi nella specie di tariffe concordate dalle parti nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, il Tribunale non ne avrebbe potuto disapplicare il contenuto economico, in quanto la pattuizione negoziale costituisce il criterio di determinazione del compenso privilegiato anche se difforme dalla tariffa forense (Cass. n. 7354/2025; Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020).
16. Il dodicesimo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., nonché l’omessa motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. ed all’art. 112 c.p.c., oltreché in relazione all’art. 2233 c.c., per avere il Tribunale ritenuto che la banca avesse effettuato il pagamento dei compensi
spettanti al professionista, anziché valutarli come semplici acconti, peraltro non valorizzando la prova fornita dal legale stesso.
16.1. Il motivo è inammissibile, in quanto con esso si lamentano violazioni di legge ex art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. che presupporrebbero una compiuta e condivisa ricostruzione del fatto, né l’omesso esame e di documenti decisivi per il giudizio ma si sollecita la rivalutazione dei fatti attraverso la rivalutazione del materiale istruttorio (vedi ex plurimis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. ord. 28.3.2025 n. 8176; Cass. n. 16448/2024; Cass. n. 4979/2024; Cass. n. 35782/2023; Cass. n. 30878/2023).
Non sussiste nemmeno la violazione della regola dell’onere probatorio dell’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. Civ., Sez. III, 29.5.2018, n.13395; Cass. Civ., Sez. III, 23.10.2018, n.26769; Cass. Civ., Sez. III, 17.6.2013, n. 15107).
17. Con il tredicesimo motivo il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 2233 e 2234 c.c., del D.M. n. 55/14, nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto esaurite le attività relative ai procedimenti ante 30/06/14 quando, viceversa, esse sarebbero proseguite oltre, come dimostrato dalla documentazione fornita dall’avv. COGNOME e non contestata dalla banca.
17.1. Il motivo è inammissibile, perché, sia pure richiamando asserite violazioni di legge, tende ad ottenere una diversa ricostruzione della volontà delle parti attraverso la rivalutazione del materiale istruttorio, non consentito in sede di legittimità.
18. Il quattordicesimo motivo, subordinato ai precedenti, rileva la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c. e degli artt. 1372 e 2233 c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale dapprima richiamato la convenzione del 2015, integrata dalla lettera 12.06.13, salvo poi discostarsene del tutto.
18.1. Il quattordicesimo motivo di ricorso è inammissibile perché, in modo apodittico censura la plausibile interpretazione fornita alla convenzione da parte del Tribunale, senza censurare la violazione dei criteri ermeneutici, essendo volto ad ottenere, in sede di legittimità, il riconoscimento di compensi ulteriori per pratiche attività che rientravano nella convenzione.
19. Il quindicesimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1284 c.c. e delle norme di cui ai DD.MM. nn. 238/1992 e 231/02 e al D.L. n. 132/2014, nonché l’omessa motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., per illegittima condanna della banca al pagamento degli interessi legali anziché moratori ai sensi del D.M. 238/92.
19.1. Il motivo è infondato.
In tema di interessi da ritardo di pagamento, nella nozione di transazione commerciale rilevante ai sensi dell’art. 1284, comma 4, c.c. e dell’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2002, vanno ricomprese tutte le prestazioni di servizio, non avendo le disposizioni introdotto un nuovo tipo contrattuale, ma solo riassunto il “genus” dei contratti ai quali si applica, tra i quali va incluso, pertanto, anche il contratto d’opera
professionale (Cassazione civile sez. II, 19/01/2025, n.1265). Pertanto, nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente condannato la banca agli interessi legali ex art. 1284, comma 4, c.c.
20. Passando ora all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la BCC denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di illegittimo frazionamento del credito per mancanza di unicità del rapporto obbligatorio.
20.1. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
La giurisprudenza consolidata ammette il frazionamento del credito, qualora si ravvisi un “unico rapporto obbligatorio” (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito – relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, proposte nel medesimo giudizio – siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. SSUU n. 7299/2025; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/2019).
È, perciò, ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023; Cass. 9733/25).
Recentemente, le Sezioni Unite, con sentenza del 19/03/2025, n.7299 hanno confermato detto orientamento, stabilendo che non si versa nell’ipotesi di abusivo frazionamento del credito quando si
accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata.
Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza ha escluso che ricorra un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito, sottolineando che si trattava di una pluralità di crediti discendenti da incarichi professionali distinti conferiti nel corso degli anni dalla BCC all’avvocato COGNOME, ancorché regolati da convenzioni tariffarie in relazione alle quali il professionista era legittimato ad agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca.
21. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la BCC denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale non ha ritenuto conclusa la convenzione dell ‘11.4.2013 poiché l’accettazione non conforme alla proposta, anziché valorizzarla come ‘nuova proposta’.
20.1. Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 2233, ultima comma, c.c. i patti conclusi tra gli avvocati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali vanno redatti per iscritto a pena di nullità (Cass. 717/2023; Cass. 15563/2022; Cass. n. 24213/2021; Cass. 11597/2015), non potendo valere un’ipotetica non contestazione.
Nel caso di specie, il difensore aveva richiesto modifiche ritenute irrinunciabili, formulando una controproposta che la banca avrebbe dovuto accettare espressamente e per iscritto, accettazione che, secondo la ricostruzione del Tribunale non era avvenuta sicché l’accordo non si era perfezionato.
22. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, la BCC lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto spettante all’avvocato il rimborso forfettario nella misura del 15%, in
riferimento al compenso previsto dalle tariffe di cui alla convenzione del 2013, quando, invece, la stessa convenzione non faceva alcuna menzione del rimborso per spese generali.
23. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si lamenta la nullità della pronuncia impugnata sotto l’aspetto della carenza motivazionale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c. ed in relazione all’art. 134 c.p.c. e all’art. 111 Cost., sempre in riferimento alla spettanza del rimborso forfettario nella misura del 15% per il compenso previsto dalle tariffe di cui alla convenzione del 2013.
24. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 -pur facente rinvio alla convenzione del 2013 come integrata dalla lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013 e non la convenzione dell’11.4.2013; pertanto ha correttamente riconosciuto il rimborso spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato COGNOME, pari ad € 9.290,00, in quanto, al momento in cui era stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15%, anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.
25. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, si denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere il Tribunale condannato la banca debitrice alla corresponsione degli interessi moratori a decorrere dalla domanda, anziché dalla data del provvedimento che aveva concluso il procedimento.
26. Con il sesto motivo di ricorso incidentale si denuncia la nullità della pronuncia impugnata sotto l’aspetto della carenza
motivazionale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c. ed in relazione all’art. 134 c.p.c. e all’art. 111 Cost., sempre in riferimento alla decorrenza degli interessi moratori.
27. I motivi quinto e sesto del ricorso incidentale, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611).
Nel caso in esame, essendo stato notificato il decreto ingiuntivo opposto il 14.02.2019, doveva trovare applicazione l’art. 1224 comma 4, c.c., introdotto dal D.L. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, il quale dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002). Pertanto, il giudice di merito ha correttamente fatto decorrere gli interessi ex D. Lgs. 231/2002, dalla data della domanda
giudiziale, da individuarsi in quella della notifica del decreto ingiuntivo dell’avv. NOME COGNOME.
In conclusione, devono essere rigettati i ricorsi principale ed incidentale.
Attesa la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità devono essere interamente compensate tra le parti.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari al doppio di quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi principale ed incidentale e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari al doppio di quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29/05/2025.