Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24137 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24137 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
Oggetto:
compenso attività professionale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18934/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso in proprio ai sensi dell’art. 86 c.p.c., con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-RICORRENTE –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE – avverso l ‘ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 17858/2023, pubblicata in data 22.6.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.6.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
AVV_NOTAIO ha adito il Tribunale di Roma per ottenere la condanna della Regione Lazio al pagamento di €. 4.571.445,27 a titolo di compenso professionale per aver patrocinato in giudizio arbitrale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE. Instaurato il contraddittorio, il Tribunale, con ordinanza ex
art. 14 d.lgs. 150/2011, ha riconosciuto al difensore, per le descritte causali, € 13.623,00 per diritti ed €. 446.367,78 a titolo di onorari, oltre spese generali ed interessi ex d.lgs. 231/2002 a decorrere dalla data di adozione della pronuncia, ritenendo che la causa avesse un valore di € 224.190.771,90, corrispondente all’importo richiesto dalla Regione nel giudizio arbitrale.
Avverso la pronuncia l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso in cassazione articolato in sette motivi. La Regione ha resistito con controricorso. Questa Corte ha accolto il settimo motivo, relativamente alla decorrenza degli interessi di mora dalla data della richiesta stragiudiziale anziché dalla domanda, respingendo ogni altra censura.
Per la revocazione della pronuncia l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria. La Regione Lazio ha notificato controricorso.
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’ art. 394 n. 4 c.p.c., per aver questa Corte omesso totalmente di pronunciare sul motivo con cui era stato dedotto che, anche a voler ritenere che il Tribunale avesse correttamente individuato il valore della lite, la liquidazione era comunque inferiore a quella risultante dalla corretta applicazione dei parametri tariffari.
Il motivo è fondato.
2.1 Non si ravvisano ostacoli per l’ammissibilità della revocazione in dipendenza dell’avvenuta cassazione con rinvio della decisione di appello.
La pronuncia revocanda ha accolto solo il settimo motivo, riguardante la data di maturazione degli interessi, respingendo ogni altra censura, incluso il quinto motivo che è del tutto autonomo dall’unic a censura accolta e il cui esame sarebbe precluso nel successivo giudizio di rinvio in virtù della pronuncia di legittimità affetta da errore percettivo (Cass. 12046/2018).
2.2. L’ordinanza impugnata precisa a pag. 4 che il ricorrente, con il quinto motivo di ricorso, aveva denunciato la violazione e la falsa
applicazione dell’art. 2233 c.c., dell’art. 13 e della tabella A allegata al D.M. 127/2004, dell’art. 115, comma 1 c.p.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c . per essere stato liquidato un compenso inferiore a quello convenuto per le cause di valore pari a quello individuato dal giudice di merito.
Nel definire il giudizio, questa Corte ha esaminato congiuntamente le prime sei censure e le ha respinte, così motivando:
‘ Per i primi sei motivi di ricorso è opportuna una trattazione unitaria, vertendo tutti, anche se sotto diverse prospettive, sulla questione del valore della causa patrocinata dal ricorrente rispetto alla convenzione intercorsa fra le parti.
Occorre premettere che venendo nella specie in rilievo un arbitrato, l’onorario spettante agli arbitri, che siano anche avvocati, deve essere liquidato in base alla tariffa professionale, senza possibilità per il Presidente del Tribunale, che procede alla sua liquidazione ai sensi dell’art. 814, comma 2, c.p.c., di fare ricorso a criteri equitativi, atteso che con decorso dal d.m. 5 ottobre 1994 n. 585 – con il quale è stata approvata la delibera del Consiglio nazionale forense del 1993, relativa ai criteri per la determinazione dei compensi spettanti agli avvocati -è stata prevista, all’art. 5 delle norme generali concernenti l’attività stragiudiziale e al punto 9) della relativa tabella tariffaria, la disciplina degli onorari spettanti al collegio composto da avvocati, indicandone il minimo e il massimo secondo il valore della controversia (cfr. ex plurimis Cass. 2 marzo 2001 n. 3035; Cass. 19 maggio 2000 n. 6513; Cass. 26 agosto 2002 n. 12490). Proprio tale criterio l’impugnata ordinanza ha inteso applicare, tenendo peraltro conto che risultava documentata fra le parti la pattuizione del compenso nella misura minima della tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004 (v. capitolo III, art. 1, comma 1 del D.M. cit.). Con la conseguenza che l’assunto del ricorrente, secondo cui la liquidazione sarebbe spettata nella misura triplicata partiva da un presupposto errato (v. pag. 3 dell’ordinanza impugnata). Passando alla individuazione del valore della causa presupposta, indispensabile per
la corretta applicazione dello scaglione e alla corretta individuazione della tariffa applicabile, quanto alla determinazione dei diritti spettanti per l’attività difensiva prestata, la tariffa professionale degli avvocati (sia quella di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, così come tutte quelle precedenti e quelle successive) distingue i criteri generali per la liquidazione degli onorari a carico del cliente – applicabili nella specie – rispetto a quelli validi a carico del soccombente, e poi osserva come il parametro fondamentale, nel primo caso, resti sempre quello del valore della causa determinato a norma del codice di procedura civile: e quindi, in tema di obbligazioni pecuniarie, sulla base della somma pretesa con la domanda di pagamento (art. 10 c.p.c.), e non sulla base della somma attribuita alla parte vincitrice, che è criterio applicabile nei confronti del soccombente (art.6, comma 1 D.M. cit.) (v. in termini, Cass. n. 18233 del 2009 e Cass. n. 10984 del 2021).
Ne consegue che correttamente il Tribunale di Roma ha liquidato gli onorari dovuti per le prestazioni espletate dall’AVV_NOTAIO per conto della Regione Lazio, in secondo grado, sulla base del valore di euro 224.190.771,00 oggetto della domanda, restando irrilevante che la pretesa relativa all’ulteriore importo di euro 88.660.459,00, che ad avviso del ricorrente faceva parte della controversia presupposta, non risultando riportato nelle conclusioni della domanda, per gli stessi non vi sarebbe alcuna istanza, a prescindere dalla loro maturazione. Peraltro, sul punto le censure sono assolutamente generiche non spiegando dove e in quale atto del giudizio presupposto sarebbe stata fatta richiesta degli interessi maturati.
L’errore revocatorio è sussistente.
Nel caso in esame l ‘ordinanza , pur dando conto della proposizione del quinto motivo di ricorso e del suo corretto contenuto, si è del tutto disinteressata della censura, sicché difetta, per mera svista materiale, la decisione su un capo della domanda impugnatoria.
L ‘impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura
degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. 16003/2011; Corte cost. 36/1991).
La revocazione è ammissibile anche nel caso in cui il giudice di legittimità non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, salvo che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte sul punto, perché in tal caso è dedotto non un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), ma un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (tra le tante, Cass. 2425/2006, Cass. 16003/2011, Cass. 4605/2013, Cass. 25560/16, Cass. 3760/2018, Cass. 10184/2018).
La pronuncia è -in particolare revocabile ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c. se, come nel caso di specie, la Corte di legittimità non abbia pronunciato sul “capo” della domanda riproposta all’esame del giudice dell’impugnazione (Cass. s.u. 31032/2019, pag. 4, par. 2.1; Cass. s.u. 20012/2024 in motivazione).
Passando alla fase rescissoria, con il quinto motivo di ricorso, l’AVV_NOTAIO ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., dell’art. 13 e della tabella A allegata al D.M. 127/2004, dell’art. 115, comma 1 c.p.c. , con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c ., per aver la sentenza quantificato il compenso in un importo inferiore a quello derivanti dall’applicazione dei coefficienti di cui alla tabella A del D.M. 127/2004 in base al valore della causa stabilito dal giudice, superiore ad €. 5.146.600,00 .
Il motivo è fondato.
Effettivamente a pag. 3 dell’ordinanza ex art. 14 d.lgs. 150/2011, il Tribunale ha dato atto che vi era prova dello svolgimento delle attività elencate nel ricorso, salvo che per la collazione ma, nel liquidare il compenso, ha riconosciuto un importo inferiore a quello indicato dal difensore secondo i parametri tariffari applicabili alle
cause di valore superiore ad € 5.164.600,00 , ritenuto congruo dal giudice, pervenendo ad un risultato contraddittorio rispetto alle premesse, in violazione dei criteri di legge.
Provvederà il giudice del rinvio ad una nuova liquidazione del compenso sulla base del valore della controversia individuato con l’ordinanza impugnata, valutando , in particolare, se l’effettuazione delle singole attività elencate in ricorso possa dar titolo, per ciascuna di esse, al compenso previsto dalla tariffa, tenendo conto dell’utilità, del contenuto degli atti, del l’eventuale carattere ripetitivo delle difese e di ogni elemento utile a quantificare il giusto corrispettivo nel rispetto dei parametri di legge.
Restano fermi l’accoglimento del settimo motivo di ricorso , al cui esame provvederà il giudice del rinvio, e il rigetto delle altre censure. In conclusione, è accolto l’unico motivo di revocazione, con conseguente revoca del l’ordinanza di legittimità, limitatamente alle parti impugnate; è altresì accolto il quinto motivo avverso l’ordinanza pubblicata in data 28.11.2017; il provvedimento è cassato in relazione al motivo accolto con rinvio della causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione