Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22591 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22591 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20994/2020 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso da se stesso e dall’Avv. COGNOME
ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende controricorrente e ricorrente incidentale avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 40089/2018 depositata il .
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. e art. 14 D.lgs. 150/2011, la Banca di Credito Cooperativo di Milano società cooperativa propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 16143/2018, emesso dal Tribunale di Milano, con il quale l’avv. COGNOME Roberto le aveva ingiunto il pagamento della somma di euro 33.875,00, a titolo di compenso professionale per attività di recupero di alcuni crediti della banca nei confronti di alcuni clienti.
L’opponente espose che le parti avevano stipulato, in data 16.12.96, un contratto di assistenza professionale annuale, rinnovabile di anno in anno, che all’art.3 prevedeva la liquidazione delle attività giudiziali relative al recupero del credito secondo le tariffe professionali dell’Ordine degli Avvocati e dei Procuratori, con applicazione dei compensi minimi soltanto in caso di credito irrecuperabile o di recupero non superiore al 15% del dovuto.
In data 11.4.2013 era stata stipulata tra le stesse parti un’altra convenzione che modificava ogni precedente accordo, ex art. 5, comma 2, applicabile a tutti gli incarichi in corso alla data della sua entrata in vigore; detta convenzione regolamentava le condizioni normative ed economiche in relazione al conferimento di incarichi per lo svolgimento di attività giudiziali, stragiudiziali, di consulenza e di assistenza alla società, sia a titolo personale, sia quale mandataria.
La finalità della convenzione era di uniformare il profilo operativo e tariffario dei legali fiduciari della banca.
Poiché l’Avv. COGNOME non si era conformato alla convenzione fino al.2013, emettendo fatture fuori termine ed in modo non corrispondenti ai parametri della convenzione, venne concluso un ulteriore accordo, in data 29.4.2015, con il quale le parti concordarono il pagamento dell’importo di € 599.828,22 , quale
residuo dei compensi per l’attività svolta dall’Avv. COGNOME fino al 30 giugno 2014, indicati in un elenco allegato ed aggiornato al 30 marzo 2015, prevedendo una riduzione del 25% su detto ammontare.
In data 16.11.2017 l’avv. COGNOME aveva rinunciato a tutti i mandati conferiti dalla Banca.
A fondamento dell’opposizione la Banca di Credito Cooperativo di Milano dedusse, altresì, l’improponibilità e/o l’improcedibilità della domanda per illegittimo frazionamento del credito, lamentando plurime iniziative monitorie da parte dell’Avv. COGNOME (venti decreti ingiuntivi dinanzi al Tribunale di Milano e numerosi altri davanti al Tribunale di Monza) relative a distinti crediti per compensi professionali.
1.1. L’Avv. COGNOME si costituì e contestò di aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente alla convenzione del 16.12.96, in quanto la convenzione dell’11.4.2013 non si era perfezionata, non essendo stata accettata la sua controproposta di modifica di parti integranti e sostanziali.
Nel resistere all’opposizione, l’Avv. COGNOME chiese l’accertamento incidentale della nullità dell’accordo del 29.4.2015, nella parte in cui richiamava le tariffe della convenzione dell’11.4.2013 per violazione dell’art. 13 -bis della L. 247/2012, in quanto inferiore ai parametri ministeriali.
1.2.Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 6.4.20, accolse parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, condannò la Banca di Credito Cooperativo di Milano al pagamento in favore dell’Avv. COGNOME della somma di € 9.321,82, oltre interessi ex D. Lgs N.231 del 2002.
In primo luogo, il Tribunale rigettò l’eccezione di improcedibilità per illegittimo frazionamento del credito, ritenendo che i crediti non
attenessero ad un unico rapporto, ma a prestazioni professionali svolte sulla base di distinti incarichi.
Secondo la ricostruzione del Tribunale, l’Avv. COGNOME sebbene non avesse sottoscritto la Convenzione del 12.6.13, aveva concluso, in data 29.5.2015, un accordo di liquidazione dei compensi con la BBC Gestione Crediti, mandataria della Banca di Credito Cooperativo, che richiamava le tariffe della convenzione del 12.6.13, integrate con le modifiche ed integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013 inviata dall’Avv. COGNOME alla BCC Gestione Crediti.
Secondo il Tribunale, per le attività svolte fino al 30.6.2014, la somma concordata nell’accordo si riferiva a tutti gli incarichi svolti fino al 30.6.2014 mentre, per le attività svolte successivamente, si applicavano i compensi dell’Allegato 1 della Convenzione dell’11.4.2013, con le modifiche ed integrazioni del 12.6.2013.
Il Tribunale rigettò la domanda subordinata di nullità dell’accordo per violazione dell’art.13 bis della Legge n.247 del 2012, poiché detta normativa era entrata in vigore il 6.12.2017, dopo la rinuncia al mandato da parte dell’Avv. COGNOME in data 16.11.2017, e rigettò , conseguentemente, anche la domanda subordinata di rideterminazione del compenso ex 2233, comma 2, c.c.
Avverso tale ordinanza, l’Avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di diciassette motivi.
2.1.La Banca di Credito Cooperativo di Milano – società cooperativa ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale articolato in sei motivi.
2.2.NOME COGNOME ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
2.3.Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
2.4.In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
E’ opportuno evidenziare che tra le medesime parti pendevano innanzi a questa Corte numerosi giudizi aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale e le stesse questioni di diritto oggi riproposte.
Reputa il collegio di dare seguito ai principi di diritto già enunciati nei numerosi precedenti, tra cui si richiamano Cass. n. 7354/2025, Cass. n.7355/2025, Cass n. 9733/2025, Cass. n. 9735/2025, Cass. n. 12905/2025.
1.1. Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dal NOME COGNOME nella memoria ex art. 378 c.p.c. in riferimento all’asserito vizio di costituzione del giudice, ex art. 276 c.p.c., per essersi svolto il giudizio di opposizione, introdotto secondo il rito semplificato di cui all’art. 14 del D. Lgs. n.150/2011, davanti al giudice relatore, che avrebbe riservato la decisione, autorizzando il deposito della memorie di replica mentre il procedimento ex art.14 del D. Lgs n.150 del 2011 avrebbe dovuto essere trattato e deciso innanzi al Tribunale in composizione collegiale, a pena di nullità.
1.2. L’eccezione non merita accoglimento.
Il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. – derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c. correlato alla previsione speciale di collegialità dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, ratione temporis applicabile, determina una nullità insanabile (Cass. 6.6.2016 n.11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso in esame, il vizio di costituzione del giudice non è stato censurato né col ricorso principale, né con quello incidentale, ma con memoria ex art. 378 c.p.c., sicché non può essere rilevato d’ufficio (Cass. n. 12905 del 2025).
2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la ‘violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. e art. 360, n. 5 c.p.c. per motivazione apparente in relazione agli artt. 641, 645, e 702 bis c.p.c. artt. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794 e artt. 3, 14 del d.lgs. N. 150 del 2011’.
Il ricorrente contesta la mancata declaratoria di tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo, che ritiene avrebbe dovuto essere proposta mediante atto di citazione e non con ricorso ex art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, trattandosi, in parte, di compensi per attività stragiudiziali non accessorie né complementari rispetto alle prestazioni giudiziali.
In particolare, l’Avv. COGNOME si riferisce alla posizione 9.B.C.C./I.C.I., per la quale era stata svolta attività stragiudiziale per un preteso indebito da anatocismo. Il ricorrente evidenzia che tale attività stragiudiziale era relativa a una raccomandata inviata in data 6 maggio 2011 a RAGIONE_SOCIALE in risposta a una comunicazione del 9.2.2011, nella quale l’ICI avrebbe contestato l’illegittimità delle condizioni contrattuali applicate dalla banca. Tale attività avrebbe natura stragiudiziale autonoma, non connessa né strumentale ad alcuna attività giudiziale, e dunque estranea all’ambito di applicazione della procedura speciale di cui agli artt. 28 della legge n. 794/1942 e 14 del d.lgs. n. 150/2011.
Il Tribunale avrebbe, quindi, errato, nel ritenere che essa fosse strettamente connessa all’attività giudiziale svolta per il recupero di
crediti per le posizioni di RAGIONE_SOCIALE e, come tale, soggetta al rito dell’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011.
2.1. Il motivo è infondato.
Il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento del compenso dovuto all’avvocato NOME COGNOME sia per attività giudiziali civili che stragiudiziali connesse, svolte in favore della Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni (Cass. n. 7354/2025; Cass. N. 12905/ 2025).
Correttamente, la banca opponente ha proposto opposizione con ricorso, ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. e dell’art.14 del D. Lgs n.150 del 2011, e non con atto di citazione ai sensi dell’art. 645 c.p.c.
D’altronde, lo stesso avvocato COGNOME aveva richiamato l’art. 3 del contratto di incarico del 1996, che regolava i compensi per le attività giudiziali civili e la banca opponente confidava nell’applicabilità del rito speciale sulla base delle stesse deduzioni svolte dalla controparte (Cass. 10206/2001; Cass. 15720/2006; Cass. 8014/2009).
Questa Corte ha già ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 645 c.p.c. proposta con ricorso quando, come nel caso in esame, l’opponente abbia richiamato l’art. 702 bis c.p.c. e, dunque, le regole del processo sommario disciplinato dal codice di rito (Cass. 34501/2022; Cass. 25543/2023).
Di conseguenza, la banca ben poteva avvalersi del deposito del ricorso entro quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, anziché dell’atto di citazione notificato nello stesso termine ai fini dell’opposizione. L’opposizione era, quindi, tempestiva.
Peraltro, come statuito dalle Sezioni Unite (SSUU 12.1.2022 n. 758; nello stesso senso Cass. n. 5659/2022), nei procedimenti «semplificati» disciplinati dal D.Lgs. n. 150/2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso
eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione.
Pertanto, nel caso di specie, quand’anche il decreto ingiuntivo fosse stato chiesto dall’avvocato anche per il pagamento di compensi per attività stragiudiziali svincolate dall’attività giudiziale civile, una volta scelto dall’opponente, anche se erroneamente, il rito sommario di cognizione semplificato ex artt. 702 bis c.p.c. e 14 del D. Lgs. n. 150/2011 (previsto per le sole attività giudiziali civili e stragiudiziali connesse o complementari), con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo al Tribunale di Milano in composizione collegiale mediante ricorso con richiamo dell’art. 702 bis c.p.c., la tempestività di quest’ultimo non poteva che essere valutata facendo riferimento alla data del suo deposito, secondo le regole del rito scelto, e non a quella della notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, data l’irretroattività degli effetti del mutamento
di rito eventualmente disposto ed anche a prescindere da tale mutamento.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 2909 c.c. ed in relazione agli artt. 132 e 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 cost. relativi all’obbligo di motivazione.
Secondo il ricorrente, il Tribunale ha violato il principio del giudicato con riferimento alle statuizioni contenute nel decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/18 (divenuto definitivo a seguito del rigetto irrevocabile della relativa opposizione), dal quale deriverebbe l’inapplicabilità inter partes della convenzione tariffaria del 2013. Difatti, nel decreto ingiuntivo i compensi sarebbero stati liquidati secondo i parametri del DM 55/14, in considerazione della vigenza tra le parti del contratto stipulato all’inizio degli anni novanta e rinnovato, di anno in anno, fino alla revoca del dicembre 2015.
3.1. Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti sul decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/2018, è insussistente e la motivazione integra il cosiddetto ‘minimo costituzionale’
E’ opportuno richiamare l’articolata motivazione adottata da questa Corte (Cass. n. 12905/2025), con la quale è stata rigettata analoga eccezione di giudicato.
L’ordinanza impugnata ha sottolineato che, nel ricorso avente ad oggetto la richiesta di decreto ingiuntivo innanzi al Tribunale di Monza tardivamente opposto, non era stata fatta menzione della convenzione dell’11.4.2013 né dell’accordo effettivamente raggiunto dalle parti nel il 29.4.2015, per cui non si era formato alcun giudicato implicito in ordine alla vigenza, o meno di quegli accordi per gli incarichi oggetto della presente controversia.
L’impugnata ordinanza ha, altresì, escluso che si fosse formato il giudicato esterno tra le stesse parti sul decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/2018, tardivamente opposto, perché non attinente al pagamento degli stessi incarichi professionali oggetto del presente giudizio, che sono stati autonomamente conferiti, anche se in forza della medesima regolazione tariffaria convenzionale reiterata negli anni fino al raggiungimento dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, e sono quindi connotati da una diversità sia di petitum che di causa petendi.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. e la nullità dell’ordinanza ex art. 360, n.4, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c.; il ricorrente lamenta che il Tribunale si sia pronunciato ultra ed extrapetita, avendo affermato che l’accordo del 29.04.15 fosse omnicomprensivo e dunque relativo a tutte le posizioni affidate all’avv. COGNOME avrebbe, pertanto, errato il Tribunale nell’affermare che tutta l’attività svolta ante 30.06.14 fosse stata già pagata e che quella successiva dovesse essere liquidata secondo le tabelle allegate alla pretesa convenzione tariffaria. La stessa Banca avrebbe precisato che ‘le posizioni in oggetto non sono oggetto dell’accordo di liquidazione del 2015’ , sicché la regolamentazione delle medesime secondo la disciplina prevista nell’accordo del 2015 avrebbe violato l’art.112 c.p.c.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. Il vizio di ultrapetizione è configurabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 702 del 04/03/1968, Rv. 331920; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16608 del 11/06/2021, Rv. 661686).
Non costituisce, quindi, vizio di ultrapetizione la libera valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime, che sia condotta dal giudice di merito nei limiti della questione che è stata sottoposta alla sua cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15734 del 17/05/2022, Rv. 665101).
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 fosse omnicomprensivo e comprendesse i compensi svolti per l’attività compiuta dal legale fino al 30.6.2014 , mentre i compensi per l’attività successiva si sarebbero dovuti liquidare secondo la tabella allegata alla convenzione della convenzione dell’11.4.2013, come modificata ed integrata dalla lettera del professionista del 12.6.2013. Ciò non in virtù di una sottoscrizione formale della convenzione, ma perché l’accordo del 29.4.2015 la richiamava per disciplinare le attività svolte dopo il 30.6.2014.
La decisione del Tribunale, che ha valutato ed interpretato i contratti conclusi tra le parti ed il corredo probatorio in atti, si sottrae, pertanto, al vizio di extrapetizione.
5. Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione alle norme sull’interpretazione dei contratti di cui gli artt. 1362 e segg. c.c. ed in relazione agli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 cost; il ricorrente sostiene che siano state violate le norme sull’interpretazione dei contratti in riferimento all’accordo del 29.4.2015, avendo il Tribunale, con motivazione illogica ed apparente, esteso detto accordo a tutte le pratiche e non solo a quelle specificamente indicate nell’allegato all’accordo.
6. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione
agli artt. 1362 e segg. c.c. ed in relazione all’art. 115 c.p.c., per non avere il Tribunale posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e, segnatamente, le missive della Banca del 12.6.2013 e del 13.6.2013, che deporrebbero per la non retroattività dell’accordo rispetto agli incarichi conferiti e non ancora espletati. In tal senso deporrebbe la missiva della BCC Gestione Crediti e la circostanza, non contestata, che rientravano nell’accordo del 29.4.2015 solo le posizioni espressamente indicate, circostanza non contestata dalle parti.
Con il sesto motivo, il ricorrente deduce l ‘ omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., e violazione di legge ex art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 1362 e segg. c.c. ed agli artt. 112 e 115 c.p.c.; si contesta l’applicazione della convenzione tariffaria richiamata dall’accordo del 29.04.15, escludendo la deroga al punto 5.2. di cui alla lettera 12.06.13, che espressamente prevedeva che rimanessero escluse tutte le pratiche affidate in precedenza alla stipula.
I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
8.1.E’ consolidato il principio secondo cui, in tema di interpretazione e qualificazione dei contratti, l’accertamento della volontà in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 e ss. cod. civ.; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di
merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. ord. 31.12.2024 n.35277; Cass. n. 18214/2024; Cass. n. 99461/2021; Cass. 27136/2017; Cass. 16254/2012; Cass. 24539/2009).
Il sindacato di legittimità non può vertere sul risultato interpretativo in sé, afferendo esso alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (tra le altre, Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465).
La Corte di cassazione non può intervenire per sostituire un’interpretazione plausibile con un’altra altrettanto plausibile (Cass. ord. 27.9.2024 n. 25836; Cass. 10.5.2018 n. 11254; Cass. 28.11.2017 n. 28319; Cass. 15.11.2017 n. 27136), come è certamente l’interpretazione fornita, nella specie, dal Tribunale di Milano.
Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha interpretato l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 secondo il suo tenore letterale e valorizzando il comportamento tenuto dalle parti prima della sottoscrizione, ritenendo contraria a buona fede l’interpretazione proposta dall’avvocato COGNOME volta a limitarne l’applicabilità alle sole pratiche elencate nell’allegato.
Più specificatamente, per le attività svolte dall’avv. COGNOME in data anteriore al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha privilegiato il dato testuale del riferimento a tutte le attività prestate dal professionista per la B.C.C. anche se per errore non riportate nell’elenco degli incarichi allegato, in quanto le parti hanno usato le parole ‘salvo errori o omissioni’, in relazione all’importo di € 599.828,22 (da
ridurre in sede di fatturazione del 25%), intendendolo vincolante ed omnicomprensivo, non essendo stata formalizzata alcuna riserva per attività anteriori al 30.6.2014 non ricollegate ad incarichi ricompresi nell’elenco.
La Corte di merito, ricomprendendo nell’importo di €599.828,22 tutte le attività poste in essere dall’avv. COGNOME per la BCC prima del 30.6.2014, indipendentemente dal loro collegamento con gli incarichi elencati, ha valorizzato la circostanza che l’accordo liquidatorio non era stato predisposto unilateralmente dalla banca.
Quanto alla deroga del punto 5.2 alla convenzione dell’11.4.2013, prevista nella lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013 (quella che prevedeva l’applicazione della convenzione solo alle pratiche nuove), l’ordinanza impugnata ha chiarito che non si era formato alcun vincolo contrattuale nel 2013, poiché la controproposta ivi contenuta non era stata mai accettata dal Direttore Generale della BCC, come si evince dalla lettera a sua firma del 18.6.2013.
Inoltre, tale clausola è risultata superata, per incompatibilità, dalla disciplina dettata nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015 (Cass. n. 12905 del 2025).
L’interpretazione data dal Tribunale di Milano è, quindi, plausibile e conforme ai canoni ermeneutici degli articoli 1362 e 1366 cod. civ.
Con il settimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. e comunque la nullità della pronuncia in relazione agli artt. 132 e 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 cost., perché la motivazione dell’ordinanza sarebbe illogica e contraddittoria, sviluppata con argomentazioni inconciliabili tra loro.
9.1. Il motivo è inammissibile perché, dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è più sindacabile la motivazione
contraddittoria o illogica, e non è certamente configurabile, né risulta lamentata la mancanza o la mera apparenza della motivazione, o una contraddittorietà della stessa di tale gravità da non consentire di comprendere le effettive ragioni della decisione adottata.
Con l’ottavo motivo di ricorso, si censura l’ordinanza del Tribunale di Milano per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2233 c.c. al D.M. n. 55/14 e al D.M. n. 127/04 all’art. 13 bis della l.p.f., come introdotto dal D.L. n. 16.10.17 n. 148 (c.d. decreto fiscale 2018 istitutivo del c.d. ‘equo compenso’), nonché agli artt. 24, 35 e 36 cost.
Con il nono motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale aveva ritenuto non applicabile la legge sull’equo compenso, D.L. n. 16.10.17 n. 148, per intervenuto esaurimento del rapporto avvocato/banca a causa della rinuncia al mandato avvenuta il 16/11/2017, cioè prima dell’entrata in vigore della legge de qua; il ricorrente sostiene, invece, che la normativa in tema di equo compenso sia applicabile anche nelle ipotesi in cui l’attività professionale si sia conclusa all’entrata in vigore della Legge n. 148 del 2017, ma il cliente non abbia ancora pagato l’avvocato.
I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Come già deciso in varie pronunce, questa Corte ha affermato che, in tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del d.l. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai
rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore (Cass. n. 7354/25).
Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza ha escluso l’applicabilità di detta normativa agli incarichi professionali svolti dall’Avv. COGNOME, essendo intervenuta la rinuncia agli incarichi professionali dell’avvocato NOME COGNOME in data 16.11.2017, e quindi in data anteriore all’1.1.2018. A ciò va aggiunto che trattandosi nella specie di tariffe concordate dalle parti nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, il Tribunale non ne avrebbe potuto disapplicare il contenuto economico, in quanto la pattuizione negoziale costituisce il criterio di determinazione del compenso privilegiato anche se difforme dalla tariffa forense (Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020).
13. Con il decimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art.2697 c.c., dell’art. 2233 c.c., oltre al vizio di oomessa motivazione contenendo l’ordinanza impugnata affermazioni inconciliabili, sempre con riferimento al carattere omnicomprensivo dell’accordo, avendo il Tribunale negato i compensi relativi alle attività svolte prima del 30 giugno 2014.
13.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, con esso non si censura la violazione di legge, ma l’interpretazione dei contratti e la valutazione del materiale probatorio, rimesso all’insindacabile valutazione del giudice di merito; né, come già precisato, la motivazione è affetta dal vizio di apparenza in quanto consente di ricostruire l’iter logico della decisione ( ex plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. ord. 28.3.2025 n. 8176; Cass. n. 16448/2024; Cass. n. 4979/2024; Cass. n. 35782/2023; Cass. n. 30878/2023).
Non sussiste nemmeno la violazione della regola dell’onere probatorio dell’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice
abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. Civ., Sez. III, 29.5.2018, n.13395; Cass. Civ., Sez. III, 23.10.2018, n.26769; Cass. Civ., Sez. III, 17.6.2013, n. 15107).
14. Con l’undicesimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1362 e segg., agli artt. 1372 c.c. e 2233 c.c., nonché agli artt. 112 e 115 c.p.c.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale, pur richiamando la pattuizione contrattuale del 2015, così come integrata dalla lettera del 12 giugno 2013, abbia omesso di valutare la documentazione sottoposta al suo vaglio; in particolare, il Tribunale non avrebbe tenuto conto della liquidazione operata dall’Autorità giudiziaria, nonostante le parti avessero concordato con l’accordo del 29.4.2015 che per la liquidazione dei compensi si sarebbe dovuto avere riguardo alla liquidazione operata dall’Autorità giudiziaria a carico del soccombente. 14.1. Il motivo è inammissibile perché sottopone a questa Corte questioni che attengono al merito della causa ed all’interpretazione degli accordi che si sono succeduti tra l’Avv. COGNOME e la Banca di Credito Cooperativo di Milano.
15. Con il dodicesimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2233 e 2234 c.c., all’art. 1372 c.c., al dm 55/14 nonché agli artt. 112 e 115 c.p.c.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale, pur richiamando la pattuizione contrattuale del 29.4.2015, così come integrata dalla lettera del 12 giugno 2013, la ha palesemente violata, omettendo di valutare la documentazione sottoposta al suo vaglio, con riferimento alla mancata liquidazione dei compensi per l’atto di precetto, oltre alla mancata liquidazione degli esborsi e delle spese generali e al mancato riconoscimento dell’avvenuto recupero del credito.
15.1. Anche questo motivo è inammissibile perché non censura il vizio di violazione di legge ma è volto a sollecitare una diversa ricostruzione della volontà delle parti attraverso una differente valutazione del materiale istruttorio, non consentito in sede di legittimità.
16. Con il tredicesimo motivo, il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2233 e 2234 c.c., nonché agli artt. 24, 35 e 36 cost., ed agli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale liquidato somme simboliche non consone al decoro della professione.
17. Con il quattordicesimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c.; l’omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., in relazione all’art. 2233 e 2234 c.c., agli artt. 1364, 1372 e 1374 c.c., nonché agli artt. 24, 35 e 36 cost., agli artt. 2697 c.c. e agli artt. 112 e 115 c.p.c. e al d.l. n. 1/2012 e all’art. 24 l. 794 del 1942; secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la nullità della convenzione del 29.4.2015, perché in violazione applicazione del principio della inderogabilità dei minimi tariffari.
18. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati perché l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 è stato liberamente pattuito dalle parti e non è quindi
modificabile dal giudice per adeguarlo al decoro professionale, in quanto le tariffe forensi sono stabilite a tutela dell’interesse del decoro e della dignità della categoria professionale e non dell’interesse generale della collettività (Cass. n.14293/2018; Cass. n. 1900/2017; Cass. n. 21235/2013; Cass. 22.11.1995 n. 12095).
19. Con il quindicesimo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 10 e segg. c.p.c. ed al D.M.n.55/14; secondo il ricorrente, il Tribunale ha errato nella determinazione del valore della causa di cui al punto 8 del ricorso per decreto ingiuntivo, quantificato in € 15.014,43 anziché di valore indeterminato, trattandosi di reclamo avverso il diniego del Conservatore di procedere alla trascrizione dell’iscrizione ipotecaria, attività i cui parametri di liquidazione non erano previsti nella Convenzione 2013.
19.1.Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha accertato che la convenzione del 29.4.2015, per le prestazioni successive al 30.6.2014, non prevedeva parametri di liquidazione applicabili all’attività di reclamo ex artt. 2674 bis c.c., art.113 bis disp att c.c. ed art. 745 cpc e, pertanto, ha liquidato il compenso secondo il DM n. 55/2014 con riferimento ai procedimenti di volontaria giurisdizione dinnanzi al Tribunale, in base al valore del decreto ingiuntivo, pari ad € 15.014,43.
Il valore della causa relativa al reclamo proposto dall’avvocato avverso il diniego del Conservatore di procedere all’iscrizione ipotecaria -i cui parametri di liquidazione non erano previsti nella Convenzione 2013 è riconducibile all’art. 17 c.p.c. in materia di esecuzione forzata, rivestendo la natura di attività para-esecutiva.
L’art. 17 parametra il valore della causa al credito per cui si procede e tale criterio trova applicazione anche ai casi di reclamo avverso il
diniego del Conservatore di procedere alla trascrizione dell’iscrizione ipotecaria, conseguente a un provvedimento giudiziale.
Ne consegue che il valore della causa di reclamo è stato correttamente correlato in modo immediato al valore del decreto ingiuntivo in base al quale si era proceduto ad iscrivere ipoteca.
20. Con il sedicesimo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., nonché all’art. 2 dm 55/14 ed all’art. 112 c.p.c.
Il ricorrente lamenta la mancata attribuzione delle spese forfettarie previste per legge, escluse dal Tribunale in quanto non previste dalla Convenzione.
20.1. Il motivo è fondato.
L’ordinanza impugnata ha negato il rimborso delle spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato COGNOME perché non previsto nella convenzione del 2013.
In realtà, il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 – facente rinvio alla convenzione del 2013 come integrata dalla lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013 – e non la convenzione dell’11.4.2013; nel momento in cui è stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15% anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.
21.E’ assorbito il diciassettesimo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole della regolamentazione delle spese di lite, deducendo la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del DM n.55/2014.
22. Passando ora all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo di ricorso incidentale, la Banca di Credito Cooperativo di Milano deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione di illegittimo frazionamento del credito, violando i principi di correttezza e buona fede, in quanto l’Avv. COGNOME avrebbe avviato plurime azioni legali volte all’accertamento di un credito nascente da un unico rapporto professionale.
22.1. Il motivo è infondato.
La giurisprudenza consolidata ammette il frazionamento del credito, qualora si ravvisi un “unico rapporto obbligatorio” (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito – relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, proposte nel medesimo giudizio – siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. SSUU n. 7299/2025; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/2019).
È, perciò, ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023; Cass. 9733/25). Recentemente, le Sezioni Unite, con sentenza del 19/03/2025, n.7299 hanno confermato detto orientamento, stabilendo che non si versa nell’ipotesi di abusivo frazionamento del credito quando si
accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata.
Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza ha escluso che ricorra un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito, sottolineando che si trattava di una pluralità di crediti discendenti da incarichi professionali distinti conferiti nel corso degli anni dalla BCC all’avvocato COGNOME, ancorché regolati da convenzioni tariffarie in relazione alle quali il professionista era legittimato ad agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca.
23. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la BCC deduce la nullità della pronuncia impugnata in relazione all’art. 134 c.p.c. e all’art. 111 cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per la presenza di affermazioni inconciliabili in relazione al mancato perfezionamento della convenzione dell’11.4.2013, perché la decisione impugnata avrebbe, per un verso, ritenuto che le fatture emesse dall’Avv. COGNOME avessero la funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di detto contratto e, dall’altra parte, avrebbe ritenuto che il contratto non si era concluso.
23.1. Il motivo è inammissibile, avendo il Tribunale, con motivazione non apparente, le ragioni della decisione ed il ricorso è volto alla rivalutazione, in sede di legittimità, del materiale istruttorio rappresentato dalle fatture emesse dall’avvocato COGNOME allo scopo di desumere che le parti avessero concluso l’accordo dell’11.4.2013, che, invece, secondo la plausibile ricostruzione effettuata dal Tribunale, non si era perfezionato.
24. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver il Tribunale ritenuto spettante all’avvocato il compenso da questi richiesto per la redazione del
ricorso per decreto ingiuntivo del 6 marzo 2015 e del precetto del 17 giugno 2015, in riferimento alla posizione 1 del decreto ingiuntivo (BCC/ RAGIONE_SOCIALE, senza accertare l’effettivo recupero della somma da parte della Banca.
25. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, si denuncia la nullità dell’ordinanza del Tribunale di Milano per violazione dell’art. 134 c.p.c. dell’art. 111 cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere il Tribunale liquidato all’Avv. COGNOME il rimborso forfettario e gli accessori di legge relativi alla procedura monitoria, senza accertare l’effettivo recupero del credito da parte della banca della relativa somma a titolo di spese legali.
26. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
L’impugnata ordinanza ha violato il canone interpretativo dell’art. 1362 cod. civ. attribuendo all’avv. NOME COGNOME il compenso liquidato dal Tribunale di Monza nel decreto ingiuntivo n.1519/2015 a favore della BCC ed a carico di ZecchiniRAGIONE_SOCIALE Battisti, senza accertare se la BCC avesse effettivamente recuperato quella somma dalla debitrice e senza nulla motivare sul punto, ancorché tale recupero costituisse condizione per l’attribuzione all’avv. NOME COGNOME di quel compenso, secondo la modifica, da lui stesso richiesta, nella lettera del 12.6.2013, alla convenzione del 2013, come accettato dalle parti con la sottoscrizione dell’accordo liquidatorio del 2015.
Il Tribunale di Milano non ha accertato il verificarsi di tale condizione, che avrebbe dovuto provare l’avvocato creditore e non ha reso alcuna motivazione, con la conseguenza che l’ordinanza deve, sul punto, essere cassata affinché il giudice di rinvio, attenendosi alla lettera della convenzione come modificata, accerti se la BCC abbia
recuperato i compensi liquidati a suo favore dal Tribunale di Monza nel decreto ingiuntivo n.1519/2015.
27. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, la BCC deduce la nullità della pronuncia impugnata in relazione all’art. 134 c.p.c. e all’art. 111 cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. perché, in relazione alla trattazione dei punti 6, 7 e 8 del ricorso monitorio, la motivazione conterrebbe un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
27.1. Il motivo è inammissibile, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. operata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 134, non è più censurabile la contraddittorietà della motivazione e la motivazione soddisfa il requisito del minimo costituzionale e si sottrae al vizio dell’apparenza, non contenendo affermazioni inconciliabili.
28. Con il sesto motivo di ricorso incidentale, la BCC deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c. e dell’art. 4 d.lgs. n . 231/2002, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente condannato la Banca alla corresponsione degli interessi moratori, di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, a decorrere dalla data di notifica del decreto ingiuntivo, essendo carente il requisito della liquidità del credito.
28.1. Il motivo è infondato.
Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ. competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del
procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora solo perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611). Nel caso in esame, essendo stato notificato il decreto ingiuntivo opposto il 14.02.2019, trovava applicazione l’art. 1224 comma 4° cod. civ., introdotto dal D.L. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, il quale dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002).
Il Tribunale ha, pertanto, correttamente fatto decorrere gli interessi ex D. Lgs. 231/2002, dalla data della domanda giudiziale, da individuarsi in quella della notifica del decreto ingiuntivo dell’avv. NOME COGNOME
29. In conclusione, deve essere accolto il sedicesimo motivo del ricorso principale, il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale, vanno rigettati i restanti motivi del ricorso principale ed incidentale e va dichiarato assorbito il diciassettesimo motivo del ricorso principale; l’ordinanza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio al Tribunale di Milano in diversa composizione.
30. Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il sedicesimo motivo di ricorso principale, dichiara assorbito il diciassettesimo, rigetta i restanti, accoglie il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale e rigetta i restanti, cassa l’ordinanza in relazione ai
motivi accolti con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione